martedì 15 dicembre 2015

Crazy for Xmas: Profumo di Natale (a New York) di Antonella Maggio

Ciao Crazy, 
eccoci oggi al primo appuntamento della nuova rubrica Crazy for Xmas. In questo periodo natalizio vi pubblicheremo due racconti a settimana scritti da autrici italiane del panorama self published, che hanno deciso di donare un loro piccolo racconto inedito in esclusiva per le lettrici di Crazy for romance.  Pronte allora a farvi riscaldare il cuore con tante letture ad effetto?
Oggi partiamo con Profumo di Natale (a New York) di Antonella Maggio, che ci regala un piccolo racconto sequel del suo romanzo Profumo d'amore (a New York) pubblicato con la casa editrice Butterfly Edizioni.



Sono trascorsi solo quattro anni dal loro primo incontro nella Grande Mela. Sofie Van De Broeck, nota fioraia di Brooklyn  e Logan Allen, ex donnaiolo e imprenditore prepotente di New York, conducono finalmente una tranquilla vita matrimoniale, ma una chiamata improvvisa dall’Olanda, proprio all’approssimarsi del Natale, rischia di far riemergere, ancora una volta, il terribile passato della giovane donna…



Logan e Sofie. Quattro anni dopo.

Il tempo, dapprima trascorso lento e tranquillo, aveva poi visto il suo fluire diventare rapido, come la strana sensazione e il bisogno inspiegabile di strappare i fogli del calendario prima ancora della fine del mese, alla stessa velocità di un libro sfogliato da chi non ama la lettura e vuole costatare il numero delle pagine e poi, il sentirsi bloccati in una corrente di risacca proprio all’approssimarsi delle festività natalizie. Sofie si era sentita più o meno così da quando aveva risposto a quella telefonata intercontinentale. All’altro capo del telefono qualcuno aveva parlato in olandese, raccontandole le pessime condizioni di salute di suo padre e i ricordi avevano bussato alla porta del cuore, i ricordi si erano presentati come soldatini sull’attenti anche sull’uscio della sua memoria. La donna aveva poi guardato Logan, lui era il flusso di ritorno che compensava e arginava i danni di quella maledetta risacca, che compensava anche lei, rendendo la sua vita qualcosa che assomigliava in parte alla perfezione, facendola sentire sicura sempre, desiderata, una persona tornata a vivere nel momento in cui era stata amata per davvero. Lui, di contro, assisteva a quel fenomeno, studiava i sorrisi tirati sul bel viso della sua donna e pensava...
«Sai cosa potremmo fare oggi, te ed io?» biascicò l’uomo appena sveglio. «Fingeremo impegni inderogabili per non recarci a lavoro, manderemo Hope all’asilo e poi…» continuò mentre, ancora sotto le lenzuola intrise d’amore, tirava con dolcezza Sofie verso di sé, pretendendo la sua vicinanza.
«E poi?» domandò la donna stando al gioco e disegnando con i polpastrelli cerchi concentrici sul torace nudo di lui.
Logan le baciò la linea del collo e sorrise compiaciuto quando Sofie gemette, dimostrando apertamente di apprezzare le sue amorevoli cure, il preludio di quella che sarebbe stata una bella sessione di sesso mattutino.
«E poi?» chiese di nuovo la donna, per stuzzicarlo ancora.
«Suvvia! Lo sai benissimo» borbottò l’uomo prima di ritornare a baciare la sua pelle calda e profumata.«Ci chiuderemo in questa stanza, se preferisci possiamo anche sbarazzarci della chiave».
«Ah! Davvero?».
«Sì, potremmo lanciarla dalla finestra e dubito che lì sotto, dopo un volo di dieci piani, arriverebbe sana e salva; dovremmo aspettare dunque che qualcuno giunga a salvarci» continuò ed oramai le era addosso, puntato con i gomiti sul materasso, con il viso a una spanna da quello di lei in modo tale che, ritrovandosi occhi negli occhi, potessero specchiarsi in maniera reciproca e riconoscersi uno nei sentimenti dell’altro. «E faremo l’amore per tutto il giorno, mi prenderò cura di te» e la baciò, le labbra di Logan si avventarono su quelle di Sofie, morse prima il suo labbro inferiore, poi le diede un bacio casto e non ci volle molto a perdere il conto dei baci dati, a smarrire la ragione; quest’ultima soffocata dalla passione.
«Mamma, mamma! Papà?».
La vocina della piccola dietro alla porta spense tutti i bollenti spiriti, inibì ogni voglia e Sofie spinse via Logan prima che Hope, salendo sulle punte, arrivasse ad abbassare la maniglia della porta.
«Rivestiti!» ordinò al marito e Logan sospirò.
«Ha sempre un tempismo perfetto, non l’avrai mica pagata per venirci a disturbare di prima mattina?» borbottò l’uomo intanto che indossava di nuovo il pantalone del pigiama.
«Da qualcuno avrà preso e si dà il caso che tra noi due, quello con la mania del denaro» pronunciò mentre anche lei si sistemava in fretta, «sei tu» concluse puntandogli un dito contro.
La porta della loro camera si spalancò e la piccola Hope giunse come un uragano, saltò sul letto con le pantofole e si accucciò nel mezzo. A Logan bastò guardarla, riconoscere Sofie dentro gli occhi color del cielo di sua figlia, nei tratti del volto molto simili ai suoi per dimenticare ogni cosa e gli si riempì il cuore di gioia. La vita gli aveva fatto un altro dono importante e lui non avrebbe mai smesso di sentirsi riconoscente nei confronti del suo destino, lo stesso che una volta aveva detestato, ignaro che si trattasse solo di una questione di tempo. Tutti meritiamo la felicità e prima o poi, arriva e bussa sulla porta del nostro cuore. Basta aspettare, basta portare pazienza, crederci e arrendersi all’amore.
«Mamma, ho male al pancino» squittì la piccola stringendosi alla donna.
Sofie respirò il profumo di camomilla, quel profumo dolce e soave, l’odore che caratterizza tutti i bambini, l’essenza della sua bambina ma al contempo, non si lasciò corrompere da quel faccino vispo e incorniciato da una marea di capelli castani come quelli di Logan.
«Sei sicura, Hope?» le domandò con voce amorevole, voce di madre. «Lo sai che non si dicono le bugie… se lo sapesse Babbo Natale, potresti non trovare nulla sotto l’albero, sai?».
«Uffa!» sbottò la piccola, accigliandosi e assumendo la stessa faccia indispettita del padre, anzi, di Mr. Allen alle prese con il lavoro e i grattacapi derivanti da esso. «Non voglio andarci! Posso venire al negozio con te? Posso, mamma? Ti prego» la supplicò alternando stizza agli occhi dolci.
«Chiedi a tuo padre» tagliò corto Sofie e Logan le lanciò un’occhiataccia.
«Potresti venire da me e giocare alla brava segretaria, che ne dici?» domandò, consapevole che sua figlia, essendo testarda quanto lui e Sofie messi assieme, avrebbe fatto di tutto per scampare a una giornata di scuola.
«No, mi annoio. Io voglio giocare con i fiori della mamma e poi oggi» esclamò la bambina rivolgendosi di nuovo a Sofie, «avevi promesso che avremmo fatto l’albero».
L’uomo e la donna sospirarono, lasciando dunque che Hope avesse la meglio su di loro. Abbandonarono il letto, ogni buon proposito di coccolarsi tra le lenzuola e si recarono in cucina per una rapida colazione.
«Domani la spediamo da mia madre» disse Logan quando furono ormai fuori di casa, nella sua automobile.
La piccola, seduta sui sedili posteriori econ la faccia premuta sul finestrino, guardava il traffico di New York al mattino. Il suo respiro caldoappannò il vetro e Hope disegnò in fretta un cuore con le sue piccole dita; i suoi genitori sorrisero mentre la spiavano dagli specchietti per non perderla di vista mai.
«Ottima idea» biascicò Sofie e prima di scendere dall’auto, baciò rapidamente il suo uomo.
Erano giunti a destinazione, su Henry Street, a Brooklyn, dove si ergeva il grande grattacielo che accoglieva gli uffici di Mr. Allen e immediatamente di fronte sorgeva Flowers, il negozio di fiori che Sofie gestiva ormai da anni.
«Buon lavoro, amore» lo salutò ancora e con la manina della piccola stretta nella propria, attraversò la strada, lì dove, proprio davanti alla vetrina del negozio, c’era Eva Delgado ad attenderle.
«Buongiorno alle mie adorate» esclamò la donna mentre afferrava la piccola tra le braccia per stamparle un bacio sonoro sulle guance.
«Ciao nonna, oggi niente scuola. Ho il male al pancino, sai? E poi devo aiutare mamma con l’albero di Natale» pronunciò in fretta la bambina, pretendendo al contempo, di scendere dalle braccia della donna che considerava una nonna a tutti gli effetti.
Sofie inserì la chiave nella toppa e alla svelta si precipitarono all’interno, nel caldo rincuorante del suo locale, lì dove il profumo dei fiori restava inconfondibile e infondeva tranquillità. Hope, che conosceva quel posto come le sue tasche, si precipitò lì dove un piccolo alberello era in attesa di essere vestito a festa per rendere più bella la vetrina del negozio e senza attendere le istruzioni della madre, la piccola cominciò ad afferrare le decorazioni natalizie conservate in una vecchia scatola.
«Come stai oggi?».
Eva manteneva sempre quella sua straordinaria abilità di riconoscere l’umore di Sofie anche da lontano, nelle piccole ombre che rendevano di un azzurro spento le iridi della ragazza, nel vano tentativo di dimostrarsi serena agli occhi del prossimo, anche se la serenità cominciava a sfuggirle dalle mani.
«Sto bene» rispose Sofie ma dinanzi all’espressione per nulla convinta dell’amica sbuffò, preparandosi dunque a vuotare il sacco e ad ammettere come si sentisse. «Okay, non sto benissimo» ammise, poi guardò Hope per sincerarsi che la piccola fosse distante e lontana dalle loro chiacchiere, da quelle parole intrise di verità scomode e pericolose, inadatte per una bambina di tre anni.
«Secondo me dovresti tornare ad Amsterdam» esclamò Eva. «Non da sola, s’intende. Sofie, lui è pur sempre tuo padre e adesso ha bisogno di te».
«Ma se neppure è in grado di riconoscermi» pronunciò la donna torturandosi le mani per l’ansia.
«E cosa cambia, Sofie? È sempre lui nonostante il tempo e la malattia, lui è l’unica cosa buona che ti resta della tua vecchia vita e non puoi rinnegarlo. Non essere ingiusta, vai da lui prima che sia troppo tardi».
Eva fece una pausa. Entrambe le donne spostarono lo sguardo e l’attenzione sulla piccola Hope che giocava con gli addobbi di Natale e cantava Jingle Bells. Sorrisero felici dinanzi a quella vocina così deliziosa e innocente.
«Non lo so, Eva. Secondo me non è una buona idea e poi ho paura di quello che potrebbe pensare Logan, lui è a conoscenza della chiamata, però non ha detto nulla…».
***
Il giorno di Natale, casa Allenaveva un profumo diverso, nell’aria si respirava l’odore del vecchio abete intriso di polvere e ricordi di famiglia; il fuoco nel camino bruciava la legna, ardeva persino le scorze degli agrumi e quelle scoppiettavano sul fuoco, rendendo vivace, calda e profumata l’atmosfera.
«Ogni anno è sempre più bello» le sussurrò Logan in un orecchio.
Era alle spalle di Sofie, entrambi in piedi, di fronte al caminetto che aveva assistito e partecipato alla rinascita di quella donna, e a quell’albero di Natale pieno di luci e decori glitterati che avevano acquistato tutti insieme, il giorno in cui si erano recati al Rockefeller Center,per mostrare alla piccola l’accensione del grande abete. Anche il loro albero era tanto alto, non sfiorava il soffitto solo per pochi centimetri. Logan teneva stretta in un abbraccio sua moglie, stringeva a lui la sua donna, il suo mondo e insieme guardavano la vita, uno scricciolo tanto caro e peperino a cui avevano dato il nome della speranza, la stessa che non aveva mai abbandonato i loro cuori. Forse la speranza si era solo assopita, oppure nascosta per giocare ad acchiapparello come piaceva tanto ad Hope e poi aveva aspettato il momento buono, quello giusto per mostrarsi, per fiorire e germogliare proprio come quel tulipano bianco sul davanzale della finestra di Logan quattro anni prima. La bambina, intanto, preparava la tavola e sistemava su di un piatto, aiutata dalla nonna paterna, una generosa fetta di Mince Pie per la quale, tutti sanno che Babbo Natale va ghiotto e che di sicuro, avrebbe consumato per rifocillarsi, dopo aver trascorso tutta la notte in giro con la sua slitta e le renne a consegnare i doni a tutti i bimbi del mondo.
«Ed io faccio ancora fatica a credere che tutto questo sia reale» rispose Sofie con occhi sognanti, la voce piena di gratitudine e felicità.
«È reale, è reale» la rassicurò Logan senza smettere di stringerla e inebriarsi del suo profumo. «Secondo te, avrei mai permesso che tutto ciò restasse solo un sogno?».
«Mr. Allen, lei resta sempre un uomo troppo sicuro di sé».
«È tu una donna di poca fede, Signora Allen. Adesso le dirò di più, ha dieci minuti di tempo per mettere a nanna la piccola peste, nel frattempo, io caccerò i miei genitori…».
«Che hai intenzione di fare?» domandò Sofie con la voce piena di malizia, lo sguardo provocante.
Si scostò appena da lui per guardarlo dritto negli occhi, per assecondare il suo gioco e non dimostrarsi da meno.
«Lo scoprirai presto. Ti voglio a rapporto da me! Qui, davanti all’albero di Natale e tra dieci minuti» ordinò con finto tono perentorio.
«Agli ordini capo!».
Sofie derise il marito e dopo aver convinto Hope a salutare i nonni e a correre a letto, pena il mancato arrivo di Babbo Natale con i regali, ritornò nel grande salone. Lui era già lì, con le spalle allo splendido panorama dello skyline illuminato in piena notte come un presepe, seduto sul divano, bellissimo come sempre nella sua mise elegante, con quella camicia bianca che gli fasciava il torace e le maniche appena sollevate e arrotolate sugli avambracci. Tra le mani stringeva una busta da lettera di colore bianco.
«Non mi dire che quello è il mio regalo» esclamò scherzosamente Sofie.
«Hai indovinato» la rimbeccò lui e dopo aver contemplato la sua bellezza, la invitò a prendere posto accanto a sé.
«Un’assegno in bianco? Una lettera d’amore?».
«Niente di tutto ciò, Sofie» e il tono della voce mutò, si fece amorevole e serio allo stesso tempo. «Il mio unico scopo nella vita è quello di rendere felice te e nostra figlia» continuò.
Allungò una mano e le sistemò una lunga ciocca di capelli biondi dietro a un orecchio, la guardò ancora e poi le toccò una guancia. Sofie afferrò in fretta quella mano gentile affinché non smettesse mai di toccarla in quel modo, quella mano d’uomo che aveva saputo darle solo affetto e carezze, lì dove qualcun altro era passato lasciando lividi e ferite. Poi Logan le porse la bustina e lei con riluttanza l’afferrò, cercò negli occhi di lui il coraggio per aprila e quando i suoi occhi scorsero la destinazione stampata su quei biglietti aerei, il cuore fece una giravolta. Amsterdam. Sollevò ancora i suoi occhi sorpresi e lui sorrise.
«Devi andarci, Sofie. Ci andremo insieme, ovvio, e nessuno oserà farti del male» la rassicurò con prontezza. «Io e te, sempre!».
«Logan, ti amo!» gli disse prima di posare da parte quel regalo fatto con il cuore e avventarsi su di lui. «Questo è il miglior regalo di Natale che tu potessi farmi» mormorò sulle sue labbra prima di toccarle con le proprie mentre nel petto si agitava il cuore, anche lui consapevole di quanto Logan fosse adorabilmente previdente, sempre pronto a soddisfare anche i suoi desideri silenziosi, a realizzare tutti i sogni e scacciare via il buio.
«Lo so, lo so… modestamente» scherzò lui e lei lo compì con affetto.
Rimasero per qualche attimo a guardarsi, occhi negli occhi, lei su di lui, a cavalcioni e con le mani incrociate dietro la sua nuca, poi entrambi avvertirono il bisogno di sentirsi uniti, di regalarsi affetto e piacere, illuminati solo dalle fiamme che si agitavano deboli sui ciocchi di legna nel camino, avvolti da quell’aura magica del Natale. Logan le sfilò quel delizioso maglioncino di colore rosso, lo stesso che aveva desiderato toglierle dal primo momento in cui glielo aveva visto indossato.
«Sei così bella» le disse mentre con le labbra sfiorava la sua pelle bianco latte in corrispondenza della gola, morbida al tatto, calda e poi sempre più giù a disegnare scie bollenti e invisibili mentre i suoi polpastrelli, ogni volta vibravano e bruciavano al solo contatto.
Sofie lo richiamò a sé, pretese ancora le sue labbra, i suoi occhi. Era tutto perfetto, era Natale ma provarono entrambi la stessa felicità e quel senso di sicurezza che faceva loro compagnia anche durante tutti gli altri giorni dell’anno, quando tutto profumava di amore, di loro e di ciò che erano, di famiglia, di emozioni e sentimenti che con il tempo erano cambiati, consolidandosi e diventando sempre più forti.



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