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sabato 27 gennaio 2018

Il tatuatore di Auschwitz di Heather Morris. La giornata della memoria.

Ciao Crazy,
oggi ci spostiamo un po’ dai soliti romance e andiamo a presentarvi Il tatuatore di Auschwitz di Heather Morris, un libro uscito il 18 gennaio edito Garzanti che oggi 27 gennaio, nel giorno della memoria, ci aiuta a pensare, a ricordare perché certe cose non dovevano e non dovranno mai più accadere.




Titolo:  Il tatuatore di Auschwitz

Autrice: Heather Morris

Editore: Garzanti

Genere: History romance

Categoria: Drama

Narrazione: Terza Persona

Non esiste luogo in cui l’amore non possa vincere
Il cielo di un grigio sconosciuto incombe sulla fila di donne. Da quel momento non saranno più donne, saranno solo una sequenza inanimata di numeri tatuati sul braccio. Ad Auschwitz, è Lale a essere incaricato di quell’orrendo compito: proprio lui, un ebreo come loro. Giorno dopo giorno Lale lavora a testa bassa per non vedere un dolore così simile al suo finché una volta alza lo sguardo, per un solo istante: è allora che incrocia due occhi che in quel mondo senza colori nascondono un intero arcobaleno. Il suo nome è Gita. Un nome che Lale non potrà più dimenticare.
Perché Gita diventa la sua luce in quel buio infinito: racconta poco di lei, come se non essendoci un futuro non avesse senso nemmeno un passato, ma sono le emozioni a parlare per loro. Sono i piccoli momenti rubati a quella assurda quotidianità ad avvicinarli. Dove sono rinchiusi non c’è posto per l’amore. Dove si combatte per un pezzo di pane e per salvare la propria vita, l’amore è un sogno ormai dimenticato. Ma non per Lale e Gita, che sono pronti a tutto per nascondere e proteggere quello che hanno. E quando il destino tenta di separarli, le parole che hanno solo potuto sussurrare restano strozzate in gola. Parole che sognano un domani insieme che a loro sembra precluso. Dovranno lottare per poterle pronunciare di nuovo. Dovranno conservare la speranza per urlarle finalmente in un abbraccio. Senza più morte e dolore intorno. Solo due giovani e la loro voglia di stare insieme. Solo due giovani più forti della malvagità del mondo.




Non voglio essere definito dall’essere ebreo. Non lo nego,
ma prima di tutto sono un uomo, un uomo innamorato di te.

Leggere libri di questo genere mi aiuta a tornare un po’ con i piedi per terra, per ricordare che in passato sono successe cose che per mia fortuna non ho vissuto, ma che tanti invece hanno dovuto vivere.
La storia del tatuatore di Auschwitz è una storia vera e ci riporta al 1942, dentro i campi di concentramento, nel mezzo di una guerra assurda e senza pietà.
Con Lale Eisenberg entriamo dentro questi luoghi dell’orrore dove impera la paradossale scritta “ARBEIT MACHT FREI” (Il lavoro rende liberi), attraverso i suoi occhi vediamo la disperazione di tanti uomini ma sentiamo anche la sua tenacia, la sua dignità e la forza di riconoscere che “scegliere di vivere è un atto di sfida, una forma di eroismo”.
Lale è un ragazzo di venticinque anni che va ingenuamente incontro al suo destino pur di aiutare la sua famiglia e si ritrova dentro un incubo dal quale non riesce a svegliarsi.
“Fuori” non esiste più. C’è solo “qui”
E’ un uomo molto saggio, riflessivo, capace di reprimere i suoi sentimenti di ira nei confronti dei suoi aguzzini nella speranza di uscirne vivo.
L’unico sentimento che non riesce a reprimere è quello per la sua Gita, una donna mite che lui stesso è costretto a marchiare con il numero 34902. Lale infatti, per una serie di eventi, diventa il tätowierer, colui che imprime indelebilmente sulla pelle dei nuovi arrivati un numero che diventa un vero e proprio nome, perché nel momento che entri nel campo di concentramento, non sei più una persona, un individuo, diventi un semplice e insignificante numero. 
Questa sua mansione gli permette di avere delle agevolazioni, ma riesce a combattere i sensi di colpa sfruttando queste sue maggiori libertà per aiutare gli altri perché per lui “Salvare un essere umano è salvare il mondo
In mezzo a tanta crudeltà riesce ad andare avanti e ad aiutarlo è il suo amore per Gita e la promessa che le ha fatto.
«Mia bella Gita. Mi hai stregato, mi sono innamorato di te.»
Gli sembra di avere atteso tutta la vita per pronunciare quelle parole.
«Perché? Perché mi dici così? Guardami. Sono brutta, sono sporca... I miei capelli... Una volta avevo dei bei capelli.»
«Mi piacciono i tuoi capelli come sono adesso e mi piaceranno come saranno in futuro.»
«Ma noi non abbiamo un futuro.»
Lale la stringe e la obbliga a guardarlo negli occhi.
«Invece sì. Per noi ci sarà un domani. Quando sono arrivato qui ho giurato a me stesso di sopravvivere a quest’inferno.
Sopravvivremo e ci costruiremo una vita in cui saremo liberi di baciarci quando vogliamo e di fare l’amore quando ci va.»

Questo sentimento sostiene anche Gita che si innamora di Lale, l’uomo che con il suo amore riesce a trasformarla da una ragazza silenziosa, insicura e sfiduciata, a una donna che crede nel futuro, in un futuro con lui e che trova la forza di reagire.
Una cosa che mi ha colpito molto è l’affetto che Lale nutre per sua madre tanto da ricordarla continuamente. Ha una venerazione per la donna che lo ha amato, cresciuto e gli ha insegnato a valorizzare e apprezzare le donne. Lei è il suo esempio, la sua guida, la sua forza, caratteristiche che ha poi ritrovato nella sua Gita.
Per fortuna ma non senza difficoltà, Lale riesce a mantenere la sua promessa, ma la vita di entrambi, come di tutti i sopravvissuti all’olocausto, rimane segnata da un numero tatuato su un braccio che, se da una parte è fonte di tristezza, dall’altra è un modo per affrontare la vita sapendo che «Finché siamo vivi e abbiamo la salute, tutto andrà per il meglio» frase abusata e forse anche scontata, ma per chi ha vissuto esperienze simili mai troppo sentita.
Il tatuatore di Auschwitz è un libro bello nella sua amarezza, che ti costringe a pensare, a non dimenticare. Una lettura intensa, ma che devo ammettere non mi ha coinvolto emotivamente come mi aspettavo, non per il tema trattato, ma probabilmente per lo stile dell’autrice che ho trovato forse un po’ troppo “asciutto” nel narrare i fatti.
Mi hanno emozionato molto invece la nota dell’autrice dove lei parla dei suoi incontri con Lale durante la stesura del libro e la postfazione, un piccolo spaccato della vita familiare di Lale e Gita raccontato dal figlio Gary che mi ha veramente commosso.

Jo



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