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lunedì 18 marzo 2019

The KingDom: estratto in anteprima!

Ciao Crazy!
Oggi il blog grazie ad Harmony vi da la possibilità di leggere in anteprima le prime pagine del secondo capitolo della Take me SeriesThe KingDom, di Silvia Carbone e Michela Marucci, che sarà disponibile dal primo aprile nella collana elit. Proprio ieri vi abbiamo parlato del primo volume della serie, The Pleasure e vi lascio qui il link per saperne di più. Ora non vi resta che leggere la trama e poi il lungo estratto in attesa che finisca presto marzo.



Dopo aver creato a Miami l'esclusivo club The Pleasure, dedicato ai cinque sensi, Rafiq è tornato a Takei per assumersi le sue responsabilità in qualità di sultano, ma dopo un paio di anni la vita che conduce lo sta annullando. Il suo unico sfogo nelle giornate piene di impegni sono le sessioni di arti marziali in palestra e quelle di sesso con l'amante, briciole per un uomo affascinante e dalla sensualità prorompente come lui. Poi, un giorno, incontra una straniera al mercato, e rimane colpito dalla sua bellezza e dall'attrazione che prova immediatamente. È sicuro che non la rivedrà ma non può impedirsi di fare di lei la protagonista delle sue più spinte fantasie. E quando inaspettatamente la rivede sfodera tutte le sue armi per sedurla. Mai gioco è stato più dolce della conquista del corpo e del cuore di Harmony e mai la felicità così labile...


E S T R A T T O

Dedica

È facile capire come nel mondo esista sempre qualcuno che attende qualcun altro,
che ci si trovi in un deserto o in una grande città.
 E quando questi due esseri s'incontrano e i loro sguardi s'incrociano,
tutto il passato e tutto il futuro non hanno più alcuna importanza.
Esistono solo quel momento e quella straordinaria certezza che tutte le cose,
sotto il sole, sono state scritte dalla stessa mano, la mano che risveglia l'Amore
e che ha creato un'anima gemella per chiunque lavori,
si riposi e cerchi i proprio tesori sotto il sole,
perché se tutto ciò non esistesse non avrebbero più alcun senso i sogni dell'umanità.

Paulo Coelho - L'alchimista
Dedicato a tutte le donne del mondo


Prologo 


Rafiq El Kahlid, sultano dell'isola di Takei, se ne stava in piedi al centro della Stanza delle Armi con lo sguardo rivolto verso le alte finestre che si affacciavano sui giardini reali. La brezza che proveniva dall'oceano faceva ondeggiare le tende in un moto sinuoso e il silenzio che aleggia-va in tutto il palazzo gli dava i brividi tanto da provocargli una sensazione inquietante. Quando un anno prima aveva lasciato in mano al cugino Shad la direzione di The Pleasure, non si aspettava gli mancasse tanto. Quel club lo rappresentava in tutto e per tutto. Prendendo spunto dai propri gusti personali sul sesso, aveva voluto creare un luogo dove ogni inibizione fosse lasciata sulla terraferma e là, in mezzo al mare, ognuno potesse esprimersi liberamente e senza pregiudizi. Perché per Rafiq il sesso era quello: non una limitazione all'atto carnale o un bisogno corporeo ma un'espressione di intima libertà che coinvolgeva tutti i sensi. Un'esplorazione completa di tutte le parti del fisico con un'attenzione particolare alla percezione che, stimolata, regalava sensazioni intense. Volgarmente si poteva chiamare Bondage o BDSM, ma per lui la costrizione che regalava alle sue donne non era fatta per dare dolore ma un piacere estremo. 
E poi gli mancava Miami con il suo stile di vita occidentale che era diventato solo un piacevole ricordo. La frene-sia, gli incontri con i massimi esponenti politici mondiali, e l'adrenalina che certi appuntamenti gli facevano salire erano qualcosa che aveva dovuto dimenticare in fretta. In fondo, era stato deciso tutto nel momento della sua nascita: sarebbe salito al trono, succedendo al padre, e avrebbe dovuto sposare Yasmeen. Un matrimonio combinato così come si usava una volta per consolidare alleanze politiche, economiche e finanziarie. Usanza che avrebbe abolito con la speranza di aiutare i suoi eredi a scegliere il proprio consorte. Forse, almeno loro, avrebbero conosciuto quel sentimento a lui oscuro che era l'amore. 
In ogni caso Yasmeen si era dimostrata una moglie amorevole, fedele e a volte troppo accomodante. Figlia di uno sceicco di un regno limitrofo, era una bellezza classi-ca mediorientale, con occhi scuri come la notte e capelli lunghi, diligentemente nascosti sotto il velo, tradizione della sua regione natia che purtroppo Rafiq non era riuscito a convincerla ad abbandonare. Con il tempo avrebbe imparato a vivere con la giusta indipendenza che il governo dell'isola di Takei concedeva alle donne. 
Nonostante i suoi nemici continuassero a tramare contro di lui e le sue nuove regole, Rafiq sapeva di fare del bene. Avendo vissuto per tanti anni a Miami, era consapevole di cosa significasse vivere in libertà, e così aveva provato ad apportare delle modifiche alle leggi del suo paese. Ma quel percorso era molto lungo, soggetto a discriminazioni, e non sarebbe stato facile per lui trasformare il suo regno in uno stato democratico. 
Rafiq indossava la kandura, il vestito tradizionale che copriva il suo corpo statuario fino alle caviglie, soltanto in occasioni ufficiali. Nella vita quotidiana si poteva confondere con un qualunque turista americano. Amava l'abbigliamento casual sportivo e aveva un'intera collezione di t-shirt e cappellini di squadre sportive e sembrava più un modello di Abercrombie & Fitch che il sultano di Takei. Ma quello era lui, e non intendeva per nessun motivo al mondo rinunciare alla propria personalità. 
A parte in quel momento. Perché, in quell'istante, avrebbe dato qualsiasi cosa per sapere cosa stava succedendo nell'ala opposta del palazzo. Continuava a passarsi le mani fra i folti capelli neri tagliati sui lati e leggermente più lunghi sul davanti. La frustrazione di quel silenzio iniziava a farsi sentire. Yasmeen si trovava nell'area riservata alle donne per dare alla luce il loro primogenito. Quella zona, dove lei aveva le stanze personali, un tempo era stata dedicata all'harem che veniva usato per le concubine del sultano. Quell'usanza era stata abolita dal padre di Rafiq per amo-re della moglie, che si rifiutava di condividere il marito con altre donne. 
Rafiq era agitato, perché sua moglie era in travaglio dal giorno prima e nessuna delle balie era ancora andata ad avvertirlo della nascita del bambino. 
Yasmeen era una donna mite, e con il tempo lui aveva imparato ad apprezzarla. Ogni donna meritava rispetto e dedizione. 
Rafiq poteva darle quello, ma non l'amore, e per questo, quando vedeva lo sguardo ferito della moglie, si sentiva un grande stronzo. Sentimenti come l'amore, la passione fra coniugi non erano proprio contemplati in quel mondo. 
Un rumore riscosse Rafiq dai pensieri. Voltandosi, posò lo sguardo stanco sulla donna rimasta ferma sulla soglia dell'entrata, in un inchino, e con un fagotto fra le braccia. 
Il Generale Aamir El Alì entrò in quel momento nella stanza. «Maestà.» Aprì le braccia in un movimento platea-le. «Vostro figlio.» 
Rafiq rimase con lo sguardo puntato verso il bambino e con passi lunghi e cadenzati si avvicinò al suo erede, che prese in braccio scostando leggermente la coperta per contemplare il viso. Il neonato dormiva pacifico e stremato, come se venire al mondo gli fosse costata una gran fatica. La bocca a cuore sembrava sorridere e il taglio degli occhi era allungato verso l'esterno con ciglia nere lunghissime. Rafiq tese l'indice che il piccolo strinse facendo-lo sorridere; poi contò mentalmente le dita delle mani e dei piedi. Era assorto in un momento di beata gratitudine quando si costrinse a spostare l'attenzione verso la donna. «Mio figlio sta bene?» 
La ragazza deglutì e abbassò la testa in segno di rispetto. «Sì, mio signore. È forte e sano.» 
«E mia moglie?» La ragazza voltò la testa per un attimo incontrando lo sguardo del generale. 
Rafiq corrugò la fronte e si rivolse all'ufficiale. «Zio, come sta mia moglie?» 
L'uomo fece un gesto con la testa alla ragazza, come per suggerirle di portare via il piccolo. 
Rafiq si oppose. «Mio figlio resta con me.» 
«La sultana ha avuto un parto difficile» ammise Aamir. 
«Sta male?» chiese con tono minaccioso Rafiq. «Vuoi rispondermi?» 
«C'è stata una complicazione. Ti sta aspettando nella sua stanza.» 
Rafiq si voltò e, dopo aver lasciato il piccolo nelle braccia della balia, s'incamminò verso l'ala sud del palazzo, con passo sempre più veloce, che infine si trasformò in una corsa. Poteva sentire Aamir affrettarsi dietro di lui insieme alle sue guardie personali. 
Una volta davanti alla porta della camera della moglie la spalancò e quello che vide gli tolse il respiro. La donna era nel letto stesa supina, coperta dalle lenzuola candide, con i capelli neri che le incorniciavano il viso. 
Dopo un momento di smarrimento, Rafiq andò verso il letto intimando alle domestiche di uscire. S'inginocchiò e prese la mano di Yasmeen stringendola fra le proprie. Piegò la testa e avvicinò le labbra alle nocche, sentendole fredde. Quando la mano ebbe una contrazione, alzò la te-sta. La donna lo stava guardando da sotto le ciglia, con oc-chi di un colore spento e con un sorriso delicato destinato a svanire. «È un maschio, Rafiq» mormorò con un filo di voce. «Forte e sano. La mia vita per la sua.» Una lacrima le scivolò lenta lungo il viso. 
Rafiq si avvicinò ancora di più e si chinò sulla mano del-la moglie. «Mi dispiace, è tutta colpa mia.» 
Con grande sforzo Yasmeen mise l'altra mano sulla te-sta del marito. «Ti ho rispettato, mio signore, e amato per quanto me ne è stata data possibilità. Prenditi cura del piccolo Yalim.» 
Il sultano si sentì morire. Yalim. Come la fiamma che non muore mai. «È un bellissimo nome.» Yasmeen fece scivolare la mano sul letto e Rafiq alzò lo sguardo. «Perdonami, Yasmeen. Perdonami. Mi prenderò cura di lui, diventerà un buon sovrano e gli parlerò di te. Di come sei stata buona, e paziente. Una sultana degna di questo nome.» 
Yasmeen sorrise perdonandolo e, con quell'ultimo do-no fatto al suo sovrano, spirò. Rafiq rimase immobile stringendole la mano per tempo immemore. 
Aamir lo osservava da lontano consapevole, per averlo provato sulla propria pelle, che per il nipote sarebbe ini-ziato un periodo terribile. E anche se Rafiq non aveva amato Yasmeen, era un uomo buono e aveva imparato a volerle bene e rispettarla. 
Il sultano si alzò posando delicatamente la mano ai lati del corpo di Yasmeen e si piegò per darle un ultimo bacio sulla fronte per dirle addio. Con passo lento raggiunse il fondo della stanza e guardò fuori dalle alte vetrate. 
Sapeva che il popolo si era raccolto nella piazza davanti al palazzo per assistere alla presentazione del piccolo erede dell'isola di Takei. Ma la morte di Yasmeen impone-va il lutto immediato. 
Chiuse gli occhi e respirò a pieni polmoni. «Come si può morire di parto ai giorni nostri?» mormorò più a se stesso che agli altri. Deglutì e cercò di trovare la lucidità di cui aveva bisogno. Poteva piangere Yasmeen nel silenzio dei suoi appartamenti dopo aver dato l'annuncio al popolo. «Fate mettere i tendaggi a lutto su ogni finestra del palazzo, la bandiera a mezz'asta e sospendere ogni attività fino alla cerimonia funebre della sultana di Takei. Aamir, in-forma tu i genitori di mia moglie dell'accaduto. In questo momento non riesco ad avere la lucidità per affrontarli.» Un vagito lo fece voltare. 
«Il principe ha fame» mormorò la balia. «Posso dargli il biberon con il latte?» 
Rafiq guardava la donna ma non la vedeva. Yalim sarebbe cresciuto senza l'affetto della madre, senza un suo ricordo, senza sapere cosa significasse essere abbracciato e avvolto nel suo calore e non avrebbe mai sentito i suoi baci sulla pelle morbida. Una rabbia cieca lo assalì. Era tutta colpa sua e delle leggi che ancora vigevano in quel posto. Se solo non l'avesse sposata... 
Guardò il figlio e gli fece una promessa silenziosa: Takei sarebbe cambiata per il bene di ogni cittadino. 
«Maestà, il popolo desidera conoscere il bambino.» 
Si riscosse. «E sia. Che venga presentato il principe Yalim, erede al trono di Takei.» Il bambino come se sapes-se che si parlava di lui iniziò a piangere. Rafiq sorrise lentamente nonostante la morte nel cuore. «Dopo avergli da-to da mangiare» chiarì. 
E con quelle parole s'incamminò verso il terrazzo; il popolo lo stava attendendo.


Capitolo 1

Un anno dopo
Rafiq se ne stava seduto comodamente in giardino e osservava il piccolo Yalim giocare con i bambini del palazzo.
Dopo la morte di Yasmeen aveva fatto arrivare la migliore balia del paese, Aisha Todei, una ragazza appena ventenne che aveva avuto il suo terzo figlio poco prima di arrivare a palazzo. In un primo momento si era dimostra-ta timorosa nell'affrontare il sultano di Takei, ma aveva capito presto che quell'uomo aveva un cuore di grande valore. Infatti, Rafiq aveva insistito per avere tutta la fa-miglia della donna lì, dando un lavoro come stalliere an-che al marito, che era molto più grande di lei e non si curava granché della propria famiglia.
Quella era stata la scelta migliore che aveva fatto dopo aver affidato The Pleasure al cugino Shad. Yalim cresceva sereno con i figli di Aisha come se fossero fratelli e Rafiq sperava che quell'unione sarebbe durata nel tempo, con-cedendo a suo figlio una parvenza di famiglia che lui non poteva dargli da solo. Non gli importava che fossero considerati di una classe sociale inferiore, l'amore e i senti-menti non si basavano sui ceti. Stava lottando con tutte le forze per abbattere quelle idee retrograde e classiste e per quello aveva deciso che i bambini, una volta cresciuti, avrebbero ricevuto la stessa istruzione di suo figlio.
Mentre osservava Yalim, si rese conto che con lo scorrere del tempo i capelli del bambino avevano preso una tinta scura, proprio come quelli di Yasmeen; gli occhi era-no neri come la pece e coperti da ciglia lunghissime. La pelle olivastra era una caratteristica che il piccolo aveva ereditato invece da lui. Il corpo era paffuto e da poco Yalim aveva imparato ad alzarsi per provare a camminare; si reggeva in modo instabile a tutto ciò che gli dava modo di stare in piedi guardando con curiosità il mondo da quell'altezza, ma il più delle volte faceva dei grossi capitomboli e si rialzava, caparbio e determinato, senza lasciarsi scoraggiare.
Ogni volta che Rafiq lo guardava, non poteva fare altro che sorridere. Probabilmente da grande avrebbe sentito la mancanza della madre ma lui contava sulla presenza di Aisha per riempire quel vuoto.
Sentì lo spostamento d'aria al suo fianco e la figura di Aamir che gli si accomodava di fianco. Guardarono Yalim in religioso silenzio.
«È un bambino felice» dichiarò Aamir.
«Sì, lo è» confermò Rafiq. «Grazie anche alla presenza di Aisha.»
«È merito soprattutto tuo, figliolo.» L'espressione di Aamir si fece pensierosa. «Ho fatto solo il mio dovere di padre. Lui mi ha rubato il cuore appena i miei occhi si sono fissati sul suo corpicino. Ha perso la madre e ho cercato di ricoprire anche la figura di Yasmeen.»
Aamir scosse la testa come per togliere dalla mente un pensiero. «Avrei voluto avere la tua forza quando Hannah è rimasta incinta di Shad. Se potessi tornare indietro, metterei da parte i doveri verso mio padre e il popolo, per vi-vere anche solo un minuto in più con lei.»
Rafiq pensò alla storia d'amore e di tragedia che aveva vissuto lo zio con la madre di Shad. Non conosceva i dettagli della loro relazione ma Aamir, dopo la morte della donna, non l'aveva mai dimenticata né sostituita. «Tu hai vissuto con lei.» «Non come avrei voluto. E dovuto. Ho permesso al padre della moglie che mi è stata imposta di dettare leggi sul mio destino. Non avrei dovuto permetterglielo. Ma Hannah era così cocciuta e aveva paura che lui potesse fare del male a me e Shad.»
Rafiq spostò lo sguardo verso lo zio appoggiando una mano sulla sua spalla. «Se verrà abrogata la legge non ci saranno più matrimoni di convenienza. E nessuno si troverà a vivere quello che hai passato tu.» «O tu» concluse Aamir voltandosi a guardarlo. «Abbia-mo la maggioranza dei voti ed è solo questione di tempo. Inoltre, basterebbe una tua parola per far passare la legge a tutti gli effetti.»
Rafiq scosse la testa. «Voglio essere un sovrano democratico. Impormi non aiuterebbe la causa. Non posso in-segnare a vivere in libertà se sono il primo a toglierla a ognuno di loro.»
Aamir annuì. «E allora non ci resta che aspettare. Sarà una svolta memorabile quando accadrà» concluse.
«Com'era lei?» chiese Rafiq dopo qualche istante di silenzio.
Aamir strinse gli occhi non capendo la domanda.
«Hannah, com'era?» chiarì il sultano.
Il generale sorrise, ma la sua espressione divenne malinconica. «Un angelo. Il mio angelo. Pura e corretta fino alla fine. Tenace e piena d'amore. E bellissima.»
«Allora Shad è stato fortunato a crescere insieme a una donna simile.»
«Mio figlio meritava di più. Una famiglia su cui poter contare, un'eredità che gli spettava fin dal principio e un padre presente. Non ha avuto niente di tutto questo. Hannah l'ha nascosto fino a quando ha potuto.»
«Sei sempre in tempo per recuperare con Shad» disse pragmatico Rafiq.
Aamir fece un gesto con la testa in segno di assenso. «Sì, ci sto provando. E Hannah probabilmente da lassù...» Alzò l'indice verso il cielo. «... ci ha mandato Madison per aiutarci a ritrovare la nostra serenità. Da quando c'è lei nella sua vita, è più disponibile nei miei confronti. Mi ha raccontato del suo lavoro al Pleasure, ne è entusiasta. A volte mi chiede anche consigli.»
Rafiq alzò l'angolo della bocca in un mezzo sorriso. «Spero che non siano consigli riguardanti i piani alti del Pleasure.»
Aamir ridacchiò ricordandosi che il club esclusivo di Miami, The Pleasure, era un locale consacrato ai cinque sensi, e nei piani alti si praticava la libertà di vivere il sesso a proprio piacimento. «Più che altro mi chiede consigli sui vini» lo informò.
Aamir El Alì aveva viaggiato molto nella vita e conosce-va ogni vino esistente al mondo. O almeno era quella la sua convinzione a discapito dei più famosi sommelier. «Shad ti ha detto se verrà a Takei?» chiese Rafiq.
«Lui e Mad pensavano di venire a trovarci entro la fine dell'anno.»
«Non vedo l'ora di vederlo. Mi manca tantissimo. Lui non è solo mio cugino, ma un fratello.»
Aamir sapeva che Rafiq e Shad, dopo essersi conosciuti, non si erano mai separati, e lui ne era felice. Amava quei due ragazzi allo stesso modo. «Sono sicuro che anche lui senta la tua mancanza.»
«Dovrò andare a Miami per controllare come vanno le cose al club. Dalla morte di Yasmeen non ho più avuto tempo.»
Aisha arrivò in quel momento con i bambini che saltellavano intorno alle sue gambe e il piccolo Yalim in braccio. «Signore, porto il Principe a fare un sonnellino.»
Rafiq si alzò e prese il bambino stringendolo fra le braccia, gli diede un bacio sulla fronte e lo restituì alla ba-lia che si allontanò fra risa e urla di divertimento.
Aamir si alzò e insieme a Rafiq s'incamminarono verso le stalle del palazzo.
«Ma dimmi, zio. Avevi bisogno di comunicarmi qualcosa? Non è così usuale vederti ai giardini reali. Mi aspetto di sorprenderti in cortile con i tuoi uomini ad allenarvi con la spada» lo canzonò.
Molte volte Rafiq gli aveva chiesto di diventare il suo braccio destro ma lo zio non ne aveva voluto sapere. O meglio, lo era già anche se non in veste ufficiale. Aveva scelto l'esercito proprio per non doversi occupare a tempo pieno di politica.
«In effetti, volevo dirti un paio di cose. È arrivato il nuovo funzionario del Consolato Britannico con la famiglia. Bisognerà organizzare una cena, magari già dalla prossima settimana. Gli concediamo qualche giorno per sistemarsi nella casa che gli abbiamo riservato, ma poi è necessaria una presentazione ufficiale. Potrebbe andar bene per te?»
Rafiq ci pensò un attimo. «Devo far controllare l'agenda dal mio segretario. Non credo di avere impegni ufficiali, ma mettiti d'accordo con lui e fatemi sapere tutto una volta organizzato l'evento.»
«Okay.» Aamir si fermò davanti alle stalle lasciando andare avanti Rafiq, che si voltò.
«Perché mi guardi così?»
«Non c'è un modo semplice per dirlo quindi andrò dritto al punto. Il popolo ha bisogno di una regina.»
Rafiq s'irrigidì e proseguì verso l'interno delle scuderie.
«Devi ascoltarmi, figliolo. Il popolo, soprattutto le donne del popolo, ha bisogno di una figura da seguire» continuò Aamir, dopo aver raggiunto il nipote.
«Non ho intenzione di risposarmi» rispose Rafiq in modo semplice e andando dritto al punto.
«Be', dovrai cambiare idea. Non è accettabile che il sultano resti single a vita.»
«Non sono single. Sono vedovo. E ho una sorta di relazione.» Aamir si appoggiò alla staccionata. «Con tutto il rispetto, ma scopare con Raja non significa avere una relazione. Inoltre, credo abbia una sorta di amicizia speciale con la balia di tuo figlio.»
«Mi sta bene così.» Rafiq, che era intento ad accarezzare il muso del suo mustang, fermò la mano quando Aamir riprese a parlare con voce tesa.
«I membri anziani del governo ti stanno con il fiato sul collo. Non ammettono errori da parte tua. Da parte del potere assoluto. Se ti succedesse qualcosa o ancora peggio, se succedesse qualcosa a tuo figlio, Takei rimarrebbe senza sovrano.»
«Ci saresti tu, zio» sbottò Rafiq, esasperato.
«Neanche per sogno. Io sono un uomo di guerra. Non ci provare con me e assumiti le tue responsabilità.» Il silen-zio e la sfida che leggeva nello sguardo di Rafiq costrinse-ro Aamir ad alzare le mani in segno di resa. «Almeno promettimi di pensarci.»
«A una condizione.»
«Quale?»
«Non accetterò nessuna donna imposta per convenienza sociale o politica. Se...» E rimarcò volutamente quella singola parola. «... mi sposerò, sceglierò io la ragazza.»
Aamir annuì e si piegò in un inchino. Capiva perfettamente e Rafiq lo sapeva. In fondo chi poteva farlo meglio del Generale Aamir El Alì, che aveva dovuto abbandonare la donna che amava, e di cui continuava a essere innamorato anche se ormai morta da anni? Hannah Blein aveva lasciato nel suo cuore un grande vuoto che non si sarebbe mai sanato.
Rafiq lo vide allontanarsi e finalmente rimase da solo con i cavalli. Dove diavolo l'avrebbe trovata una donna forte abbastanza da sostenerlo nella battaglia per la libertà del popolo di Takei? Che avrebbe lottato con lui per da-re alle donne il diritto al voto e la possibilità di uscire per strada con il volto scoperto? Un mondo dove una donna non era obbligata a sposare un uomo che non amava?
Con quel pensiero si fece sellare il cavallo e partì per una galoppata, immerso nelle proprie elucubrazioni.

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