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giovedì 12 novembre 2020

Leggi FREE i primi capitoli di Imprevedibile e perfetto di Abbi Glines

Ciao crazy,

vi lasciamo la possibilità di leggere free i primi capitoli di Imprevedibile e perfetto di Abbi Glines, uscito oggi per Always Publishing. Siete curiose di tornare a Rosemary Beach e conoscere la storia di Woods e Della?

PS: Questo è il primo volume della serie Perfection e fra due settimane uscirà il volume conclusivo.


IMPREVEDIBILE E PERFETTO

di Abbi Glines




Tre anni prima

“You are my sunshine, my only sunshine. You make me happy when skies are gray”.

Non smettere di cantare, mamma. Non adesso. Mi dispiace di essere andata via. Volevo solo vivere un po’. Non sono terrorizzata quanto te. Ho bisogno che tu canti. Ti prego canta per me. Non farlo. Non andare da lui. Lui non era reale. Non capisci? Non è mai stato reale. È morto sedici anni fa.

Avrei dovuto parlare con qualcuno di te. È tutta colpa mia. Avevi bisogno di aiuto e io non te ne ho dato. Forse, dopotutto, ero terrorizzata… terrorizzata che ti portassero via.

«Della, tesoro, dammi le mani. Le devo pulire. Guardami, Della. Torna da me. Lei non c’è più, ma tu starai bene. Dobbiamo darci una ripulita. Hanno portato via il suo corpo ed è il momento di lasciare questa casa, per sempre. Senza farci ritorno. Della, ti prego, guardami. Di’ qualcosa.»

Sbattei le palpebre per scacciare i ricordi e alzai lo sguardo su Braden, la mia migliore amica. Stava ripulendo il sangue dalle mie mani con uno strofinaccio bagnato, e le lacrime le rigavano il viso. Mi sarei dovuta alzare e lavare per conto mio, ma non ci riuscivo. Avevo bisogno che lei lo facesse per me.

Ho sempre saputo che un giorno sarebbe accaduto. Magari non esattamente nel modo in cui stava succedendo. Non mi ero mai figurata la morte di mia madre. Ogni volta che avevo lasciato vagare la mia mente verso quel pensiero, mi ero sentita in colpa. Ma ciò non mi aveva comunque impedito di rifletterci. Il senso di colpa non era bastato a trattenermi dall’immaginare la mia libertà. 

Avevo sempre pensato che qualcuno si sarebbe accorto che mia madre non era del tutto a posto. Che avrebbe capito che non ero una ragazzina strana che voleva starsene dentro casa tutto il giorno e che si rifiutava di mettere piede nel mondo esterno. All’inizio avevo desiderato che qualcuno lo notasse… poi, non più. Perché ottenere la libertà, avrebbe significato perdere mia mamma. Anche se sapevo che era pazza, lei aveva bisogno di me. Non potevo lasciare che la portassero via. Lei era solamente terrorizzata… da tutto.





Quattro mesi prima

Quando Braden mi aveva dato la sua vecchia auto, consigliandomi di andare a esplorare il mondo, nessuna di noi due aveva pensato al fatto che non sapessi fare benzina. Avevo preso la patente da soli tre mesi. E in realtà avevo una macchina da guidare da solo cinque ore. Fare rifornimento era una cosa di cui non avevo avuto bisogno, fino a quel momento.

Infilai la mano nella borsa e presi il telefono. Avrei chiamato Braden e le avrei chiesto se poteva aiutarmi. Però era in luna di miele, e odiavo doverla disturbare. Quando, alcune ore prima, mi aveva messo in mano le sue chiavi dicendomi: «Va’ a farti un giro. Trova la tua strada, Della» ero rimasta talmente rapita dal suo gesto che non mi era venuto in mente di domandarle altro. L’avevo semplicemente abbracciata e guardata correre via con il suo nuovo marito, Kent Fredrick, prima di infilarsi sul sedile posteriore di una limousine. 

Il pensiero di non essere in grado di fare benzina non mi aveva minimamente sfiorato. Fino ad allora. Il serbatoio era così vuoto che ero arrivata per inerzia nella piccola stazione di servizio di una qualche località balneare in mezzo al nulla. 

Ridendo tra me e me, ascoltai la voce di Braden recitare: «Non sono disponibile. Se volete mettervi in contatto con me, vi suggerisco di riagganciare e mandarmi un messaggio.» La sua segreteria telefonica. Probabilmente era sull’aereo. Avrei dovuto risolvere la questione per conto mio.

Scesi dalla piccola e scolorita Honda Civic rossa. Per fortuna avevo accostato dal lato giusto della pompa. Individuai lo sportellino in cui sapevo di dover ficcare l’erogatore. Lo avevo già visto fare a Braden. Potevo farcela. Forse. 

Il mio primo problema fu tentare di capire come aprire il magico sportellino. Era lì. Lo vedevo, ma non aveva nessuna maniglia. Lo fissai per qualche istante, poi mi guardai attorno per vedere se ci fosse qualcuno nei paraggi che non avesse un aspetto inquietante. Mi serviva aiuto. Mi ci erano voluti due interi anni di terapia per riuscire a parlare con gli sconosciuti. Adesso lo facevo spesso. In realtà, quel risultato era più merito di Braden che dello psicologo che ero stata costretta a incontrare settimanalmente. Braden mi aveva spinto fuori nel mondo e insegnato a vivere. 

Avevo la citazione di Franklin D. Roosevelt appiccicata allo specchio del bagno: “L’unica cosa di cui dobbiamo avere paura è la paura stessa”. La leggevo ogni giorno, o almeno era quello che avevo fatto negli ultimi tre anni. La ripetei silenziosamente nella testa e il mio corpo si rilassò. Non ero terrorizzata. Non ero mia madre. Ero Della Sloane ed ero in viaggio per trovare me stessa. 

«Tutto bene? Serve aiuto?» Una pesante pronuncia strascicata mi colse di sorpresa e girai di colpo la testa, imbattendomi in un tipo che mi sorrideva dall’altro lato della pompa di benzina. Mentre mi guardava, i suoi occhi castano scuro sembravano brillare di risate. Non avevo molta esperienza con i ragazzi, ma ne avevo abbastanza da sapere che l’essere belli, come questo sconosciuto, non li rendeva automaticamente delle brave persone. Avevo perso la verginità con un suadente ragazzo del Sud, con un sorriso in grado di far cadere ogni ragazza ai propri piedi. Era stata l’esperienza peggiore della mia vita. Ma questo tipo avrebbe potuto tornarmi utile. Non mi stava offrendo del sesso. Mi stava offrendo aiuto. O, almeno, così pensavo. 

«Non so… io, ehm… Vedi, non ho mai…» Dio, non riuscivo neanche a confessarlo. Come faceva una ragazza di diciannove anni a spiegare di non saper fare benzina? Una risata mi sgorgò dal petto e mi coprii la bocca. Avrebbe pensato che fossi pazza. Soffocai la risata meglio che potei e gli sorrisi. «Non so fare benzina.» 

Le raffinate sopracciglia scure del tizio scattarono all’insù e mi studiò per qualche istante. Immaginai che stesse cercando di capire se fosse vero o no. Se solo avesse saputo. C’erano così tante cose di cui non avevo la più pallida idea. Braden aveva cercato di insegnarmi come girava il mondo, ma adesso era sposata ed era arrivato il momento che io affrontassi la vita senza di lei a farmi da stampella. 

«Quanti anni hai?» chiese, e notai i suoi occhi squadrarmi lentamente. Non avevo l’aspetto di una ragazzina. All’età di sedici anni, il mio corpo si era già del tutto sviluppato. Era chiaro che stesse cercando di indovinarla da solo. La giovane età doveva essere l’unica spiegazione che aveva trovato per giustificare la mia incapacità di fare benzina. 

«Ho diciannove anni, ma non guido da tanto tempo e questa è la prima volta che devo fare rifornimento.» Sospirai e poi ridacchiai. Suonava ridicolo, persino a me. «So che è difficile da credere, ma mi serve davvero aiuto. Se potessi indicarmi da dove iniziare, poi potrei farlo da sola.» Mi voltai di nuovo verso il suo grande e costoso fuoristrada. Era tutto luccicante e nero. Si addiceva molto a lui e al suo corpo alto e muscoloso, alla carnagione olivastra e ai capelli scuri. Era uno di quei tipi sexy, bellissimi e pericolosi. Riuscivo a capirlo dal sorrisetto che aveva stampato in faccia. 

Quando si avvicinò, mi resi conto che era molto più alto di quanto avessi supposto all’inizio. Ma, del resto, io ero solo un metro e sessantacinque. I jeans aderenti e gli stivali da lavoro di pelle marrone scura facevano un bel lavoro sulle sue gambe. Mi resi conto un po’ troppo tardi che lo stavo fissando. Alzai di scatto lo sguardo e finii per incrociare il suo, divertito. Aveva un sorriso davvero bello. Perfetti denti bianchissimi, incorniciati da un viso che sembrava non incontrare la lama del rasoio da qualche giorno. Il suo aspetto trasandato non si sposava con il costoso fuoristrada. 

«Per prima cosa devi aprire questo sportellino» spiegò, picchiettandoci sopra con le nocche. Il modo seducente in cui gli si incurvavano le labbra a ogni parola mi incantò al punto che temetti di essermi persa ulteriori istruzioni. Stavo quasi per fargli una domanda, quando mi girò attorno e aprì la portiera del conducente. Si piegò in avanti, offrendomi una perfetta visuale dei jeans che gli fasciavano il sedere squisitamente sodo. Apprezzai sul serio quel panorama. 

Il magico sportellino che mi aveva lasciato perplessa si aprì di scatto, cogliendomi di sorpresa. Emisi un gridolino e mi voltai per scoprire che ora era spalancato. «Oh!» esclamai, piena di entusiasmo. «Come hai fatto?» 

Il suo grande corpo caldo si posizionò dietro al mio e riuscii a percepire odore di erba e di qualcosa di più intenso… forse pelle. Quegli odori invitanti mi travolsero. Visto che non ero una che si faceva scappare un’opportunità (ne avevo perse fin troppe nella mia vita), mi spostai leggermente all’indietro, quel tanto che bastava perché la mia schiena sfiorasse il suo petto. 

Lui non si spostò alla mia invasione del suo spazio personale. Anzi, abbassò la testa per parlarmi all’orecchio. La sua voce era bassa e rombò in modo delizioso. «Ho premuto il tasto che apre lo sportello del serbatoio. È dentro la macchina, proprio sotto al cruscotto.» 

«Oh.» Fu tutto ciò che riuscii a elaborare come risposta. 

Una profonda risata nel suo petto vibrò contro le mie spalle. «Vuoi che ti mostri come mettere la benzina nella macchina, adesso?» 

Sì, sarebbe stato fantastico, ma mi piaceva molto anche stare in piedi in quel modo. Riuscii ad acconsentire con un cenno della testa, felice che il suo corpo non si fosse spostato. Magari anche a lui piaceva il contatto fisico come a me. Era davvero una pessima idea. Avrei dovuto scostarmi. I tipi come lui non trattavano bene le donne. Perché dovevano profumare in quel modo e avere un aspetto così meraviglioso? 

«Dovresti lasciarmi passare, tesoro.» Il suo fiato caldo scaldò i capelli che coprivano il mio orecchio sensibile. Cercai di non farmi venire la pelle d’oca, mentre annuivo e mi scansavo frettolosamente, schiacciando la schiena contro la macchina per farlo passare. 

I nostri petti si sfiorarono appena, quando mi girò attorno. Mi catturò con il suo sguardo penetrante. I suoi caldi occhi color cioccolato con striature dorate non sembravano più così divertiti. 

Deglutii e abbassai la testa. Una volta a distanza di sicurezza, decisi che era arrivato il momento di guardarlo mettersi all’opera. Era necessario che rammentassi che si trattava di una lezione. Una di quelle che dovevo disperatamente apprendere. 

«Come prima cosa, devi pagare. Carta di credito o contanti?» La sua voce era tornata normale. Niente più sussurri profondi e sexy all’orecchio. 

Soldi. Mi ero dimenticata dei soldi. Annuii, mi chinai dentro la macchina per frugare nella borsetta e tirai fuori il portafogli. Presi il bancomat e mi raddrizzai per porgerglielo. Questa volta furono i suoi occhi a indugiare sul mio sedere. Il pensiero di lui che mi squadrava il fondoschiena mi fece sorridere. Un po’ troppo allegramente. 

«Ecco» dissi, porgendogli la carta, mentre il suo sguardo risaliva in alto. La prese e mi fece l’occhiolino. Sapeva che l’avevo beccato a guardare e la cosa lo divertiva. Era un playboy, uno di quei tipi da cui le ragazze furbe si tengono alla larga. Ma io non ero così furba. Avevo perso la verginità proprio con uno come lui. Era successo nell’appartamento del suo migliore amico. Io non avevo avuto idea che questo suo “migliore amico” in realtà fosse una ragazza folle¬mente innamorata di lui. La cosa non era finita bene. 

Il tipo stava studiando il mio bancomat. «Della. Mi piace il tuo nome. Ti si addice. È sexy e misterioso.» 

In quel momento, mi resi conto di non conoscere il suo. «Grazie, ma adesso sei in vantaggio rispetto a me. Io non so come ti chiami.» 

Mi indirizzò un sorrisetto. «Woods.» 

Woods. Era un nome singolare. Non lo avevo mai sentito prima. 

«Mi piace. Ti si addice» risposi. 

Sembrava sul punto di aggiungere qualcos’altro, ma poi il suo sorriso si fece serio e lui sollevò in alto la carta. «Lezione numero uno: come pagare.» 

Lo guardai e ascoltai attentamente mentre mi spiegava passo passo come utilizzare una pompa di benzina. Era difficile non farmi distrarre dal modo autoritario con cui si esprimeva. La tristezza si impadronì di me, quando ripose l’erogatore della benzina e strappò la piccola ricevuta. Non volevo che quel momento terminasse, ma dovevo rimettermi in viaggio. Dopo tutto quel tempo, avevo bisogno di concentrarmi sulla ricerca di me stessa. Non potevo fermarmi solo perché un tizio aveva catturato la mia attenzione in una stazione di servizio. Sarebbe stato sciocco. 

«Grazie mille. La prossima volta non sarà così difficile» commen¬tai, riprendendomi carta e ricevuta e cercando goffamente di infilarle nella tasca dei pantaloncini. 

«Figurati. Sei qui in vacanza?» domandò. 

«No. Sono solo di passaggio. Sto facendo un viaggio in macchina senza una particolare destinazione.» 

Woods aggrottò la fronte e mi studiò per qualche istante. «Davvero? Interessante. Sai già quale sarà la destinazione finale?» 

Non ne avevo idea. Mi strinsi nelle spalle. «No. Immagino che, quando la troverò, me ne accorgerò.» 

Rimanemmo lì in piedi in silenzio per un momento. Stavo per andarmene, ma poi lui allungò una mano e mi toccò un braccio. «Ti va di cenare con me prima di rimetterti in viaggio? Farà buio tra un’ora. Non dovrai comunque fermarti tra poco per cercare un posto dove passare la notte?» 

Aveva ragione. Quella era una cittadina carina – molto di classe e sulla costa. Sembrava una soluzione affidabile. In realtà, non mi stavo preoccupando affatto dell’affidabilità. Finalmente stavo vivendo. Stavo gettando al vento la prudenza. Guardai lo sconosciuto misterioso davanti a me. Lui non era affidabile. Neanche per sogno. 

«Una cena, affare fatto. Dopo potrai indicarmi il posto migliore dove prendere una stanza per stanotte.» 





Procedevo controllando la piccola macchina rossa nello specchietto retrovisore. Mi stavo facendo seguire da Della appena fuori città in direzione di un ristorante messicano che aveva dei piatti davvero buoni. E dove avevo meno probabilità di incontrare qualcuno che conoscessi.

Quella sera mi sarei preso una pausa dallo stress di cui si era riempita la mia vita. Mio padre mi stava spingendo sempre di più a dare prova di me stesso. Non ero sicuro di sapere cosa diavolo volesse ancora da me. No, non era vero. Sapevo bene quali fossero i suoi piani per la mia vita. Si aspettava che mi sposassi. Non con qualcuno di mia scelta, però. Aveva già individuato la candidata ideale: Angelina Greystone. Sin dalla mia nascita, papà aveva pianificato di legare il cognome dei Kerrington a quello dei Greystone. Per tutto quel tempo era rimasto fermo sul proprio obbiettivo. Ogni anno passavamo una settimana alle Hawaii con i Greystone, e papà mi incoraggiava sempre a conoscere meglio Angelina. A passarci del tempo assieme. Cavolo, ci avevano sollecitati talmente tanto a metterci insieme da ragazzini che eravamo finiti a fare sesso a quindici anni. Io avevo creduto di essere il primo per lei, finché ero andato a letto con una vera vergine e mi ero reso conto che Angelina mi aveva mentito. Io potrei anche essere stato vergine quell’anno, ma di sicuro lei no. Quella scoperta aveva rovinato la considerazione che avevo della bella biondina. Più diventava grande e attraente, più io scappavo da lei. Aveva gli artigli e voleva piantarmeli addosso. Sapevo che sarebbe arrivato il giorno in cui avrei ceduto solo per far felice mio padre, ma lo stavo rimandando più che potevo. O, almeno, l’avevo fatto finché Angelina non si era trasferita al Sud. 

Stava prendendo residenza nella casa al mare dei suoi genitori, e mio padre mi spingeva continuamente verso di lei. 

Avevo bisogno di allontanarmi da tutta la merda che derivava dall’essere un Kerrington e, con un po’ di fortuna, di divertirmi con questo bel bocconcino che aveva l’aspetto di una bomba sexy e il viso di un angelo. 

All’inizio mi era sembrata un po’ sulle sue, ma poi era emersa una ragazza spontanea e spensierata, e io non ero uno da voltare le spalle a degli ammiccamenti sexy. Quel corpo e quei grandi occhi celesti erano tutto l’incoraggiamento di cui avevo bisogno. E, soprattutto, la tipa non si sarebbe trattenuta da queste parti. Avrebbe rappresentato una piccante distrazione che poi non sarebbe sfociata in una sindrome da necessità di grandi attenzioni. Sarebbe semplicemente ripartita… (continua qui)


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