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giovedì 22 ottobre 2020

Scandalous. Senza Inibizioni di L.J. Shen: ESTRATTO!

 Ciao Crazy,

oggi 22 ottobre esce in digitale Scandalous. Senza Inibizioni di L.J. Shen, il terzo attesissimo stendalone della The Saint's Series che dal 29 ottobre potrete anche acquistare in cartaceo. 

In occasione dell'uscita di questo indimenticabile romanzo vogliamo lasciarvi un lungo estratto -senza spoiler- perchè siamo convinti che nessuno debba farsi scappare l'occasione di conoscere due personaggi come Trent Rexroth e Edie Van Der Zee... 

Lasciamo parlare le parole. Buona lettura!



Estretto di

SCANDALOUS - SENZA INIBIZIONI

di L. J. Shen


EDIE


Pazzesco. 

Questo posto era la definizione stessa della follia. 

Non ero mai stata nell’ufficio di mio padre prima di allora, ma ero in grado di riconoscere l’anarchia quando me la trovavo davanti agli occhi. E al quindicesimo piano del palazzo della Oracle a Beverly Hills, dove la Fiscal Heights Holdings aveva la sua sede, feci il mio incontro con il caos vero. 

L’unico uomo la cui follia poteva eguagliare quella di Bane.

Baron “Vicious” Spencer.

Da ogni parte si levava il brusio dei telefoni, di donne in gonne a tubino firmate St. John intente a spettegolare e uomini in completo elegante impegnati a discutere. La sala d’aspetto della FHH era arredata in granito color avorio e cuoio invecchiato marrone scuro. Le finestre alte fine al soffitto offrivano una vista perfetta sulla bruttissima, bellissima, fasulla, vera e autentica Los Angeles in tutta la sua gloria. 

E lì, in mezzo al lusso, al vizio, al potere, mi ritrovai faccia a faccia con l’uomo che alla All Saints High era considerato una leggenda, al punto che anche dopo più di un decennio avevano intitolato una panchina col suo nome: Vicious.

«Se proprio devi plagiare un intero articolo del cazzo sul mercato azionario, almeno non rubarlo dallo stramaledetto Financial Times. Chi cazzo ti ha assunto come responsabile delle pubbliche relazioni? Chi?» L’uomo dai lucidi capelli corvini e gli occhi color indaco scuro scagliò un mucchio di documenti in faccia a un ragazzo dall’aria inorridita. I fogli piovvero giù come grandine, non coriandoli. Vicious ebbe uno spasmo alla mascella mentre infilzava un dito nella camicia stirata del tipo.

«Risolvi questo casino e poi raccogli le due foto e mezzo della tua fottuta famiglia che probabilmente ti sei portato dietro per decorare i tuoi quattro centimetri quadrati di ufficio, testa di cazzo. E fallo entro le cinque, perché quando mi siederò alla mia riunione delle sei voglio fingere che non sia mai successo. Sono stato chiaro?» 

Benché quasi tutti i presenti sul piano si fossero riuniti in un semicerchio per assistere allo spettacolo, nessuno richiamò Vicious per il suo comportamento infame. Nemmeno mio padre. Sembravano tutti troppo spaventati e, sebbene mi sentissi dispiaciutissima per il ragazzo delle pubbliche relazioni, che balbettò di chiamarsi Russell, non volevo inaugurare il mio impiego facendo incazzare altra gente. 

«La prego, signore. Non può licenziarmi.» Russell sembrò sul punto di mettersi in ginocchio. Restare a guardare era una vera tortura, niente di meno. Mi feci piccola piccola nel pratico abito di lana nero firmato da un qualche stilista francese che avevo fregato dal guardaroba di mia madre quella mattina, e tentai di non lasciarmi scappare alcuna smorfia.

«Io posso, io lo sto facendo e, che cazzo, dov’è il mio caffè?» Vicious si guardò intorno, tamburellandosi un dito sul labbro. Portava una fede nuziale alla mano sinistra. Si poteva pensare che il matrimonio l’avesse reso più docile. Enorme errore. 

Il trambusto si interruppe all’improvviso. La schiera di completi eleganti si aprì in due e allora fecero il loro ingresso tre uomini che riconobbi fin troppo bene grazie alle riviste di finanza abbandonate in giro per casa mia. 

Dean Cole, Jaime Followhill e Trent Rexroth.

I primi due, che fiancheggiavano Trent da un lato e dall’altro, erano semplici ornamenti, un po’ più bassi e più smilzi e in generale dall’aspetto un tantino meno divino. Era Trent a tenere in pugno la stanza, a rubare la scena. Indossava una camicia button-down celeste e dei pantaloni eleganti grigio chiaro. Il suo aspetto gridava sesso, la sua camminata gridava sesso e chiaramente non ero l’unica a pensarla così, considerato che almeno tre donne nelle mie vicinanze si abbandonarono a risatine senza fiato.

«Spencer.» Trent lo osservò freddamente, un bicchiere di Starbucks stretto in mano. «Hai le tue cose? Piantala con questo casino. Sono le otto, ed è lunedì mattina.»

«Già, che ti si è infilato su per il culo, V?» intervenne allegro Dean Cole. Il suo ampio sorriso rese l’atmosfera nella stanza decisamente più cordiale e meno intimidatoria.

«Attento a come parli!» tuonò mio padre accanto a me, serrando la presa sul mio braccio. Avevo dimenticato che mi stava tenendo bloccata dove mi trovavo. Aveva iniziato a maltrattarmi quando, a sedici anni, ero tornata a casa con due piercing alla narice sinistra ed era passato a strette che mi lasciavano il segno quando mi ero fatta tatuare un’enorme croce nera sulla parte inferiore del busto. Non si trattava mai di nulla di eclatante – come già spiegato, i ricchi non picchiano i figli – ma sapevamo entrambi che lui agiva così perché io detestavo stargli accanto. Ai suoi occhi, i lividi che talvolta mi lasciava costituivano solo un gradevole incentivo.

La croce non aveva un significato religioso. Era un messaggio, uno sfregio in inchiostro nero e marcato. 

Vietato. Oltrepassare.

«Questa mezzasega è licenziata. Voglio il suo portatile sulla scrivania entro mezzogiorno. Oltre a tutte le password, il telefono aziendale e il pass per il parcheggio che darò a qualcuno che valga di più. Magari il dannato ragazzino che ci consegna i cestini di frutta tutte le mattine.» Vicious agitò una mano dalle parti di Russell, poi fregò uno dei due caffè che reggeva Jaime. Mi si strinse il cuore. 

Senza far rumore, Trent aprì con un piede quella che immaginai essere la porta del suo ufficio. 

Probabilmente non avrei dovuto provare una pura delizia per il modo in cui tutti loro avevano liquidato mio padre. «Oggi non verrà licenziato nessuno. E comunque, abbiamo pesci più grandi da far abboccare all’amo. Nel mio ufficio.»

«A, che si fottano i tuoi pesci. E B, non darmi ordini.» Vicious finì il caffè in due sorsi e consegnò il bicchiere alla prima persona che si trovò a portata di mano. «C, caffè. Me ne serve altro. Ora.»

«Vicious…» Jaime si schiarì la voce mentre il tizio che aveva in mano il bicchiere di Vicious corse verso l’ascensore per andare da Starbucks a prendergli un altro caffè. 

«Questo tipo ha copiato e incollato un articolo del Financial Times sul nostro sito. Avrebbero potuto denunciarci, o peggio.»

«La p-prego» balbettò Russell che con tutta la debolezza che trasudava stava solleticando cruenti istinti di caccia in tutti i predatori nelle vicinanze, compresa me. «È stato un errore. Non ho avuto il tempo di scrivere l’articolo. Mia figlia ha due settimane e non dorme la notte…»

Non riuscii a sopportare oltre.

«Date un po’ di tregua a quest’uomo!» sbottai. 

Divincolai il braccio, scrollandomi la presa di mio padre di dosso e presi a farmi strada verso gli HotHoles. Tutti e quattro voltarono di scatto lo sguardo su di me e, benché apparissero tutti sorpresi, Trent era l’unico ad avere anche un’aria d’orrore in viso. Lo ignorai e indicai Russell. 

«Ha detto che gli dispiace. Perché avrebbe dovuto danneggiarvi di proposito? Andiamo, ha una famiglia da mantenere.»

«Adoro tutto questo!» Cole ridacchiò schiaffando una mano sulla schiena di Spencer e scuotendo il capo. «Rimesso in riga da un’adolescente. Lo adoro.»

Mi si infiammarono le guance. Vicious sembrava indifferente: prese a malapena atto della mia esistenza nella stanza e guardò di nuovo Russell, per poi scacciarlo via con un cenno e risparmiargli il licenziamento, mentre Trent snudò i denti in un ringhio, la sua attenzione su di me.

«Cos’è, il giorno del porta-tua-figlia-al-lavoro? Perché non ricordo di aver ricevuto l’email.» Il suo tono era intriso di così tanto veleno da uccidere una balena. Lo ricambiai con uno sguardo severo, scegliendo di rifugiarmi in una falsa sicurezza che non provavo.

Ti sei ridotta a una potenziale vittima sacrificale: le sue parole mi si riversarono nella testa, affogando qualsiasi pensiero positivo su di lui e sul suo aspetto attraente. Parole che risalivano giusto a qualche settimana prima, ma avevo quasi rimosso che, lavorando qui, la sua presenza avrebbe presentato un problema. 

«Edie lavorerà qui per un po’.» Jordan mi attirò di nuovo al suo fianco, come una sua proprietà. 

«E chi lo dice?» chiese Trent.

«Lo dico io.»

«Non ho dato il mio consenso. Nessuno di noi l’ha dato.»

«Allora meno male che non l’ho chiesto.» Mio padre sorrise educatamente, stritolandomi il braccio tra le sue dita forti e affusolate. Ignorai il dolore. Se gli avessi piantato un’altra grana, avrei corso il rischio di non poter incontrare Theo sabato, e non potevo permettermelo. Trent avanzò deciso verso di noi, a ogni suo passo una scarica elettrica attraversò il mio corpo, un po’ come quando remavo in acque turbolente.

«Con tutto il rispetto per il nepotismo dei bianchi di alta estrazione sociale e per la decisione di premiare tua figlia, che non ha uno straccio di qualifica, con un lavoro per cui candidati ben più meritevoli sarebbero disposti a uccidere, ma ogni decisione rilevante in materia di risorse umane deve essere approvata da tutti i soci, corretto?» Si voltò verso i suoi amici che annuirono solennemente, ormai del tutto dimentichi del povero Russell. Ero una nuova vittima su cui accanirsi, debole e indifesa. Un topolino che era stato attirato nella fossa dei leoni. 

«Per carità del cielo, Rexroth. Farà l’assistente, non la manager.» Il cenno impaziente di Jordan non migliorò minimamente la situazione. La presa sul mio braccio si strinse al punto che sentivo le ossa sul punto di spezzarsi e lacerarmi la pelle. 

«Lavorerà su questo piano, avrà accesso agli affari nostri. Non m’importa se il suo incarico sarà sbucciare banane in cucina. La questione verrà discussa durante la riunione del consiglio di domani mattina. Fine della discussione» ringhiò Trent. 

Aveva tutti gli occhi puntati addosso, l’oscura energia della sala ora pullulava di stupore. Il Muto aveva parlato. Non soltanto qualche parola, ma delle frasi. E a causa mia, nientemeno.

Alla fine, l’avevo trovato: l’unico uomo più spaventoso di mio padre. Non che lo stessi cercando. Perché, sebbene Vicious facesse un gran chiasso, il cacciatore silenzioso disposto a braccarti per ore e a sferrare il suo attacco quando meno te l’aspettavi era Trent Rexroth.

Una pantera solitaria. Selvaggia, silenziosa, scaltra. I suoi gelidi occhi chiarissimi percorsero mio padre come fosse sterco, per poi soffermarsi sul punto in cui la sua mano mi stringeva il braccio come una tenaglia. Non avevo mai visto nessuno guardare mio padre con tanto disprezzo. Le dita di Jordan si allentarono sulla mia pelle. 

«Hai davvero intenzione di opporti a me?» Mio padre si sfregò con le nocche una guancia sbarbata, incredulo. Ovvio: era così abituato a me e a mia madre che chinavamo la testa di fronte a ogni suo capriccio che non ero del tutto sicura di non parteggiare per Rexroth. Certo, il Muto non mi voleva tra i piedi, ma nemmeno io volevo stargli tra i piedi, per cui ci trovavamo sulla stessa lunghezza d’onda. Trent arrestò la sua avanzata a pochi millimetri da mio padre, da qui potevo respirare il suo profumo singolare, di uomo pulito e scopate sporche. Rexroth trasudava sensualità, mi spingeva a desiderare cose sudicie, proibite. L’attrazione che scatenava in me era quasi nauseante, così presi mentalmente nota di stargli alla larga.

Trent inclinò verso il basso la testa per guardare mio padre negli occhi, e sussurrò cupamente: «Mi opporrei a te fino alla morte su qualsiasi argomento, Jordan, inclusa l’assistenza per la macchinetta del caffè, se necessario.»

Cattivo sangue. Questo posto era un veleno per l’anima. Per fortuna sembrava che Rexroth mi odiasse, e gli HotHoles si spalleggiavano sempre l’un l’altro. Così narrava la loro leggenda alla All Saints High e dubitavo fortemente che sarebbero venuti meno alla loro tradizione per la povera piccola moi.

«E va bene» replicò Jordan a denti serrati. «Ne discuteremo in consiglio d’amministrazione.»

Lo sguardo di Trent saettò verso il mio e si bloccò quando i suoi occhi grigi incontrarono l’azzurro dei miei. Finalmente, mio padre mi liberò il braccio per raggiungere Jaime e Dean – forse nel tentativo di guadagnarsi alleati e solidarietà – e le parole di Vicious, che in lontananza sbraitava alla gente di darsi una mossa, svanirono del tutto. 

«Tu non mi piaci» sussurrò Rexroth sottovoce, il tono aspro.

«E chi te l’ha chiesto?» Feci spallucce.

«Non verrai a lavorare qui.» Il suo braccio mi sfiorò la spalla e non pensai che si trattasse di un caso. Sfoderai un sorriso smielato, esaminandogli attentamente il viso e il torace solo e unicamente per provocarlo. 

«Ottimo, mi faresti un favore. È mio padre che vuole obbligarmi. È incazzato perché ho rifiutato cinque college della Ivy League. Mi rinfreschi la memoria, signor Rexroth, lei in quale prestigiosa università si è laureato?»

Il colpo basso avrebbe dovuto farmi recuperare un po’ della dignità perduta, si supponeva, e invece l’acidità mi bruciò la gola e mi risalì dallo stomaco come una palla di cannone. 

Tutti a Todos Santos conoscevano l’entusiasmante storia di successo di Trent Rexroth, iniziata dai bassifondi di San Diego. Aveva frequentato uno scadente college statale che ammetteva persino gli analfabeti, aveva lavorato come bidello nel campus dopo le lezioni. Erano tutti fatti noti, che lui stesso aveva menzionato in un’intervista a Forbes. 

E io avevo davvero appena tentato di umiliarlo solo perché non era nato con la camicia? Mi disgustava più questo degli abiti griffati di mia madre che indossavo. 

Trent sorrise, protendendosi sul mio corpo, sulla mia anima. Quel suo sorrisetto compiaciuto era più spaventoso di qualsiasi cipiglio, occhiataccia o smorfia avessi mai visto. Minacciava di ridurmi a brandelli per poi ricucirmi come più gli aggradava. 

«Edie.» Le sue labbra erano pericolosamente vicine al mio orecchio. Un brivido delizioso mi scivolò giù per la schiena. Qualcosa di caldo si avviluppò dentro di me, qualcosa che supplicava di liberarsi e sbocciare in un orgasmo. Che stava succedendo e perché diavolo stava succedendo? «Se sai cos’è meglio per te stessa, gira i tacchi e vattene adesso.»

Sollevai la testa per incrociare il suo sguardo e gli mostrai la mia versione di un ampio sorriso. Ero nata e cresciuta in un mondo popolato da uomini ricchi e minacciosi e che mi venisse un colpo se avessi fatto la stessa fine di mia madre: dipendente dallo Xanax, da Gucci e da un uomo che l’aveva sfoggiata al suo fianco per un breve decennio di gloria prima di relegarla esclusivamente alle apparizioni pubbliche.

«Credo che andrò a cercare la mia scrivania adesso. Le augurerei una buona giornata, signor Rexroth, ma penso che quel treno sia partito da un pezzo. Lei è un uomo molto infelice. Oh, e per il viaggio…» Ripescai una barretta Nature Valley dalla borsa di mia madre e gliela schiacciai sul suo petto forte e muscoloso. Il cuore mi si schiantò in gola, volteggiava come un uccellino in gabbia.

Mi affrettai a seguire mio padre che in quel momento stava imboccando l’ampio corridoio dorato, senza osare guardarmi indietro. Sapevo di aver iniziato una guerra per cui mi ero presentata male equipaggiata. Ma c’era anche un’altra cosa che sapevo, e che mi accendeva la stessa euforia del surf: se fossi riuscita a sferrare il colpo di grazia al mio impiego qui e a spingere Rexroth a votarmi contro, sarei stata fuori dai guai.

E avevo un piano perfetto per l’occasione. Tutto ciò che mi serviva era comportarmi da mocciosa viziata. Si gioca.





2 commenti:

  1. Bellissima serie ��❤️ si sa se ci saranno dei libri sui figli? ❤️

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    Risposte
    1. Concordo *.* anche io vorrei sapere dei possibili futuri libri sui figli <3

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f
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