Care Crazy,
sono qui oggi per parlarvi della mia ultima lettura: Oltre il buio di Sara Purpura che ripubblica oggi 8 febbraio in versione self in formato digitale questo suo lavoro in una nuova veste. Incomincio
dal dirvi che il titolo è molto esplicito e fa già presagire che questa non sarà una storia molto semplice. Quanto è facile pensare al futuro se non si è disposti a
lasciarsi andare? Quanto può essere difficile oltrepassare
quella linea immaginaria che si è costruita intorno e non si vuole cancellare?
Quanto il passato può influenzare il presente?
Questi, ed altri, i tormenti per Stephan e Rachel ... Inoltre in fondo al post potrete leggere i primi due capitoli.. buona lettura!
Autore: Sara Purpura
Editore: Self Publishing
Data di uscita: 8 febbraio 2015
Genere: erotic Romance
Lui è Stephan Queen: dirigente dell’Elle Journal. Bello
come un Dio, pieno di segreti e arrogante come pochi.
Lei è Rachel Stone: giovane e ingenua praticante che si
affaccia alla vita con eccessiva timidezza.
Potrebbe essere una storia come tante mossa dai soliti
cliché, ma per Rachel e Stephan niente è come sembra. Un passato difficile
influisce sul loro presente. Un destino beffardo si diverte a intrecciare le
loro vite nella maniera più improbabile. La passione che li spinge l’una verso
l’altro, scandirà tragicamente il loro tempo insieme. Fra orrori, intrighi e
brame di potere, il loro amore sarà messo a dura prova. La felicità è là, a
portata di mano, ma qualcosa sembra sfuggirgli.
Riusciranno ad andare oltre e ridipingere i toni di un
futuro oscuro? Ce la faranno a trovare le assoluzioni che gli servono per
sentirsi liberi di amarsi?
Quando lo conosciamo Stephan Queen è un giovane ragazzo
che frequenta la Columbia University. Rifugiatosi al college ha una situazione familiare molto delicata
che all'apparenza non desterebbe nessun sospetto ma che in realtà è molto più
complicata di quello che si pensa. Il padre, miglior broker finanziario, uno
dei nomi più illustri di New York, oltre ad essere, agli occhi degli altri, un
bravissimo marito nonché padre premuroso, è per la propria famiglia un
alcolizzato che sfoga le sue
insoddisfazioni sulla propria moglie, picchiandola, a volte anche pesantemente,
e se qualcuno dei suoi due figli prova ad intromettersi ne ha anche per loro.
Questa situazione però per Stephan crescendo diviene insostenibile, più volte si trova a consolare la sorella più piccola e nasconderla nella sua camera, come tante sono le volte in cui si ritrova a dover soccorrere sua mamma e prestarle le dovute cure. Eppure non si spiega il perché la madre continui a farsi trattare così, lei che, ironia della sorte, è un'assistente sociale e che in teoria dovrebbe in primis lottare per ribellarsi al modo di fare del marito. Una notte però la sua vita cambia radicalmente e sprofonda sempre più nell'oscuro. Oltre il buio per l'appunto. Ritroviamo Stephan dopo qualche anno: sempre bello e molto
dannato ma con l'arroganza e la freddezza di un uomo affermato. A capo di una
testata giornalistica oramai famosa e avviata, fondata grazie al fondo
fiduciario costituito dal padre, è alla ricerca di nuovo personale.
Rachel Stone, è una giovane donna di venticinque anni. Un
passato non semplice che l'ha vista privata dall'essere bambina spensierata e
adolescente ribelle, ma che l'ha fatta crescere immediatamente per potersi
prendere cura della propria mamma che a fasi alterne cadeva in depressione. Laureatasi con il massimo dei voti all'università è ora alla
ricerca di un buon lavoro, un impiego che la soddisfi a pieno e che le permetta
di poter badare a se stessa e alla propria mamma. Quando su un giornale,
lasciato sul tavolo del bar dove lavora , vede che
la "Elle Journal", una delle testate giornalistiche più famose della
city, cerca personale, è fermamente convinta che sia un'opportunità da non
farsi scappare per lei che vorrebbe fare la giornalista.
Al colloquio due occhi azzurri la fulminano e la
rapiscono, perde la parola davanti al proprietario Mr Stephan
Queen: Rachel lo reputa all'istante affascinante e alquanto
superbo ma fortunatamente le darà un'occasione e affiancherà il
caporedattore in qualità di praticante. L’incontro per lei segna l’inizi di una nuova vita,
qualcosa di positivo che sicuramente la cambierà. L'incontro per Steph
rappresenta l'alba di nuove sensazioni mai provate prima. Ma è proprio sicuro
che quella ragazza dal carattere forte e sicura di se va data in pasto al suo
acerrimo ex amico Steve?
L'attrazione è immediata e reciproca ma sia Rachel che Stephan sono due anime smarrite, perse nell'oscuro dei loro tormenti, un
passato che ha lasciato in entrambi un segno indelebile, due persone che non
conoscono cosa vuol dire amare, ed essere amati, non sanno lasciarsi andare, ma
sanno perfettamente lottare.
Averti accanto distrugge te e inabissa me nelle
macerie della mia esistenza. Non odiarmi, Rachel. Sono solo un uomo che ha
paura. Sii guerriera, nella vita come nell’amore. Rendi la tua vita migliore,
sarebbe migliore senza di me, credimi. Malgrado tutto, io non riesco a
lasciarti andare… ma ci sto provando.
Quanto dolore. Tanto, troppo. Un dolore che ti annienta
che ti fa morire dentro, per la quale non vale più la pena di lottare. Ti
logora l'anima, ti fa diventare un'altra persona. Sei sempre tu, ma non sei più
quello di prima. Due
persone tormentate dal loro passato che cercano in qualche modo di andare avanti,
di continuare a vivere, ma esso invece si presenta sempre lì come una costante
nella loro vita e non gli permette di poterla vivere liberamente. Lei è una vera combattente, forse perché lo è sempre
stata, fin da piccola ha dovuto controllare la propria vita e quella della
propria mamma, rare le volte che ha effettivamente fatto la parte della figlia... è una vera guerriera!
Lui è un ragazzo che si è costruito da solo, è andato avanti, ma i suoi demoni passati non lo lasciano tranquillo, anzi per dimenticarsene si getta a capofitto nel lavoro, riuscendo alla grande e in poco tempo a costruire un impero alquanto notevole.
Lui è un ragazzo che si è costruito da solo, è andato avanti, ma i suoi demoni passati non lo lasciano tranquillo, anzi per dimenticarsene si getta a capofitto nel lavoro, riuscendo alla grande e in poco tempo a costruire un impero alquanto notevole.
Quando i due però si incontrano,
subito qualcosa tra di loro scatta, vibrazioni che anche a me lettrice non sono
passate inosservate, che lo rende nudo, finalmente vivo. Ma è pronto Stephan
per lasciarsi andare? È sicuro che vuole lei, lo fa capire il suo modo di
comportarsi, di agire, di nascondersi, di maledirsi, ma è veramente disposto a
lasciarsi tutto alle spalle, ad accantonare il suo passato, i suoi demoni che
convivono insieme a lui?
Vorrei elencarvi quante volte mi sono infuriata con
Stephan, quante altre invece mi sono trovata a parteggiare per Rachel, quante
altre ancora ho provato pena per quello che quel ragazzo ha dovuto vivere. Ho
lottato con Rachel, per il suo amore per Stephan... per il loro amore. Ho sorriso per il modo che ha Steph di
proteggere la sua donna . Attraverso i loro due punti di vista questi due
personaggi mi hanno catturato e mi hanno conquistato. C'è un personaggio tra
tutti quelli incontrati che mi ha saputo affascinare in modo particolare...
Paul. Ma lascio a voi l'onore di conoscerlo meglio.
Posso dirvi che il libro è un susseguirsi di colpi di scena, è un
andamento smisurato di emozioni che non ti danno tregua. Scorrevole il
modo di scrivere dell'autrice che ti seduce e ti tiene incollata alla storia
senza sosta. Indubbiamente una splendida storia che non si dimenticherà
facilmente..
Alla prossima! Tina
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Bello |
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Capitolo uno
Stephan
Urla, stoviglie che si rompono poi un tonfo. Ancora urla.
«No, ti prego!» La voce implorante di mia madre.
«No, ti prego cosa, Jessica?» Quella impastata dall'alcol
di mio... padre.
Ci risiamo! Afferrai la mano di mia sorella e correndo la
trascinai su per le scale. Entrai nella mia stanza, inciampando nella valigia che
non avevo ancora disfatto da quando ero tornato dal campus. Il cuore a mille a
rimbalzarmi nel petto e una furia cieca a offuscarmi la mente. Chiusi a chiave
la porta, con l'irrefrenabile voglia di scendere di sotto.
«Non piangere Marie.» Cercai di tranquillizzarla, ma
singhiozzava sconvolta. Sono un uomo, mi dissi. Non sono più un bambino, non
può farmi più nulla. Avevo quasi vent’anni e le palle di affrontarlo. Per una
volta, avrei potuto picchiare quel bastardo che ero costretto a chiamare padre.
Ero alto come lui, avrei potuto, sì.
Invece non lo feci. Mia madre me lo avrebbe impedito,
abituata com'era a prendere le botte e restarci insieme.
Ancora urla. «Sei una puttana!»
Strinsi i pugni, digrignai i denti fino a sentirli quasi
rompere.
La voglia di andare di sotto era troppa. Stavolta lo
avrei pestato a sangue e buttato fuori di casa.
«Non farlo Steph, ti prego.»
Cristo santo! Marie...
Con una mano sulla maniglia della porta e l'altra sulla
chiave per aprirla, ero pronto, convinto di fare l'uomo per una dannata volta
nella vita. Invece eccolo lì, il mio motivo per restare: quello scricciolo
biondo che mi teneva per le braccia, con occhi scuri nei quali perdersi e
ricoprirsi migliore. Dimostravano un'innocenza che avevo smarrito da qualche
tempo ma che lei conservava ancora.
Mi fissò, risoluta. Una lacrima le solcò una guancia
mentre la bocca le tremava di terrore. Mi sentii morire. Un'altra volta dovevo
scegliere e scelsi Marie.
«Vieni qui, tesoro.»
La abbracciai e la cullai mentre dabbasso si consumava la
solita guerra. Una preghiera colorò le mie labbra.
Ti prego, trova il coraggio, ti prego.
Pregavo che mia madre trovasse la forza di lasciarlo.
Che, alla fine, restasse viva e che poi, bussasse alla nostra porta dicendoci
di andare, che ne aveva abbastanza.
Silenzio.
Rimasi fermo, paralizzato di nuovo dalla paura.
Non sentii nulla. Sembrò che rimanessimo in un tempo
sospeso, per attimi interminabili.
Sperai che l'avesse ucciso perché quell'uomo meritava di
morire. Lo volevo sepolto sotto metri di terra, lontano da noi, anche se sapevo
che sarebbe rimasto nella mia testa per sempre. Il suo sangue scorreva nelle
mie vene, ogni volta che ci pensavo, sentivo uno strano formicolio che presto
diventava un prurito insopportabile.
Mi sfregavo con forza.
Il suo sangue. Continuavo fino a scorticarmi le braccia,
il petto.
I suoi geni. Infilzavo le mie unghie nella carne fino a
quando il bruciore diventava insostenibile e correvo a rifugiarmi sotto la
doccia, lavando con acqua gelata le ferite che mi ero inferto. Nemmeno quello
bastava. Mi odiavo, odiavo lui e il suo seme che mi aveva generato.
Quando udii la porta d'ingresso sbattere e i singhiozzi
di mia madre squarciarmi l'anima, guardai Maria.
«Rimani qui?»
Era balzata in piedi tremando. «No! Scendo con te.»
Ci avviammo di sotto. Già sapevo cosa avrei visto.
La tavola, che avevamo preparato con cura per il
compleanno del bastardo, era distrutta: la tovaglia bianca di lino, macchiata
di vino rosso, il vaso di camelie infranto contro la parete. L'arrosto a terra,
così anche i piatti e i bicchieri di cristallo che mia madre aveva preso per il
grande evento. L'avevo vista sfiancarsi tutto il giorno mentre la guardavo con
compassione, scuotendo il capo.
«Non fare così, Steph» mi aveva intimato, stremata dal
mio scetticismo. «Tuo padre è un brav'uomo!»
Se lo raccontava ogni giorno.
Non valeva a nulla arrabbiarmi. Non lo facevo mai con
lei, anche se avevo voglia di urlarle contro. Nell'intento di non essere come
lui, me ne restavo a rodermi il fegato, impotente, di fronte a tutte le scuse
che trovava per difenderlo.
«Sarà stanco, quindi vedi di essere comprensivo e di non
infastidirlo.»
«Tu non sei stanca, mamma?» avevo obiettato acido.
Che cosa voleva che me ne importasse di quella
sottospecie di uomo? Era lei che vedevo sola, ad affrontare ogni problema
mentre lui si attaccava alla bottiglia dando fondo a tutti i suoi soldi. Un
nome: Conrad Queen, il migliore broker finanziario. Marito fedele, padre
irreprensibile, professionista stimato e osannato dai giornali. Almeno agli
occhi della società e a quelli di mia madre. Era uno dei nomi più in vista di
New York. Lo era ancora per buona parte del suo tempo, ma smessi i panni
dell'uomo d'affari, tornava a casa col suo guscio pieno di frustrazioni che
sfogava su di lei e a volte anche su di noi, se solo osavamo metterci in mezzo.
Capivo, o meglio, cercavo di comprendere perché soffrisse
in silenzio. L'intento era nascondere quel vizio. Un'assistente sociale con un
marito alcolizzato che la picchiava non si era mai vista. Chi poteva sapere che
in casa, viveva gli stessi drammi che combatteva ogni giorno? La beffa, stava
nel fatto che non era in grado di combattere per se stessa. La maledicevo
sentendomi un verme un attimo dopo, colpito ogni volta da quella paura
invalidante che aveva di rimanere da sola.
La raccolsi da terra. Sì... è esattamente quello che feci
e che facevo ogni volta: la raccoglievo.
Era incapace di mettersi in piedi pestata a sangue ancora
una volta. Ferita, nel corpo e nell'anima.
Lurido figlio di puttana!
«Va tutto bene, Steph. Prendimi solo del ghiaccio.»
La adagiai sul divano, sofferente. Probabilmente le aveva
incrinato qualche costola. Le procurai del ghiaccio, glielo appoggiai sullo
zigomo tumefatto con delicatezza, ma trasalì lo stesso dal dolore. Il labbro
inferiore era spaccato e sanguinava, così mi alzai e andai a prendere il
necessario per medicarla. Maria se ne stava seduta sulla poltrona, stringendosi
le braccia intorno in maniera convulsa. Aveva gli occhi gonfi di lacrime ma
l'espressione ferrea di chi sa che non è più ora di piangere. Dal canto mio,
tremavo ancora di rabbia e insoddisfazione per non essere capace di cambiare
quell'obbrobrio.
«Dai un'occhiata alla mamma» le dissi. «Torno fra un
attimo.»
Un'ora dopo, mia madre si era addormentata sul divano,
Maria sulla poltrona. Il bastardo non era rientrato ed io avevo cercato di
scaricare la collera, rassettando quello che aveva combinato.
Mentre guardavo i cocci delle stoviglie rotte, sparsi sul
pavimento, mi chiesi se i pezzi in cui era ridotta mia madre, potessero ancora
essere recuperati e se Marie, avrebbe avuto mai fiducia negli uomini, poiché
quell'elemento indegno che le aveva dato il cognome, le stava facendo passare
l’inferno.
Fissai mia madre ancora una volta, prevedendo la sua
reazione. Avrebbe chiesto di nuovo la malattia e sarebbe rimasta tre giorni a
casa a curare lividi e tumefazioni, fisiche ed emotive.
Non avrebbe aperto a nessuno, nemmeno al postino. Ci
avrebbe intimato di non portare compagnia a casa, mi avrebbe incaricato di fare
la spesa, di accompagnare Marie a scuola poiché non poteva uscire rischiando di
essere vista. Il solito copione, insomma! Che vita di merda stava scegliendo di
vivere e farci vivere! Volevo provare pena e un sacco di volte, giuro, l'avevo
provata per lei, ma era finito il tempo di ogni debolezza. Ero come una pentola
che ribolliva di sdegno, pronto a scattare all'ennesimo segnale.
Dovevo uscire da lì. Presi Marie, la portai di sopra,
aspettai che si mettesse sotto le coperte. Aveva quindici anni, il suo bagaglio
già pesante da portarsi in spalla ed io non stavo facendo nulla per impedire
che si riempisse di sassi. Notò il mio sguardo colpevole e mi abbracciò
tirandosi dietro le coperte.
«Tu non sei come lui, Steph.»
Mi ero preso l'abbraccio e avevo fatto volare via le sue
parole, convinto che fosse meglio lasciarle al vento. Era un’enorme cazzata. Io
ero anche peggio di lui! L'avevo lasciata chiedendole di riposare e di
chiamarmi al cellulare se avesse avuto bisogno.
Ero sceso di nuovo di sotto e avevo coperto mia madre.
Dormiva profondamente, con il viso già più gonfio di qualche minuto prima,
sussultando per un pianto che bramava di esaurirsi. Non la riconoscevo ormai da
tempo così esposta e piegata a una debolezza umana. Della donna che amavo con
tutto me stesso, non era rimasta che un'ombra.
Avevo serrato i pugni, ormai invano; il bastardo non
sarebbe tornato per quella notte. Faceva sempre così. Sicuro di questo, avevo
afferrato il mio giubbotto di pelle, avevo preso le chiavi dell'utilitaria di
mia madre ed ero uscito nella lieve brezza primaverile, diretto non so dove, ma
in testa l'unico obiettivo di dimenticare per un po', quale grande raccapriccio
fosse la mia vita.
Rachel
«Tesoro, è pronto!»
Sentii il profumo del soufflé di patate prima ancora di
svegliarmi del tutto. Era il mio piatto preferito e mia madre lo sapeva bene.
Era il suo modo di viziarmi e me ne beavo, aspettando – come un condannato
attende il giorno della sua esecuzione – che il male oscuro tornasse a
toglierle il sorriso e la voglia di farmi da madre.
Mi stiracchiai guardando fuori, oltre la tenda della mia
camera: c'era il sole. La primavera ormai era inoltrata, presto sarebbe
arrivata l'estate e con essa, le belle giornate: lunghe, calde, piene di ogni
entusiasmo. Ma per me non sarebbe cambiato nulla.
Erano mesi ormai che vivevo nell'incubo che ci
ricascasse. Ogni tanto spegneva l'interruttore e non ricordava chi fosse. Era
accaduto già una volta ed essendo minorenne, l'avevo tenuto nascosto a tutti
nella speranza che passasse. Era passata in effetti, ma ogni tanto, avevo il
sospetto che il mostro potesse tornare ad avvincerla di nuovo.
«Rachel, mi hai sentito? Dai che si fredda!»
«Arrivo!» le avevo urlato alzandomi in fretta.
Quando ero arrivata in cucina, mi aveva sorriso lucida e
perfettamente in sé.
«Sei una dormigliona!»
Le avevo sorriso anch'io.
«Ieri notte ho fatto tardi per ripassare storia.
Stamattina in pratica dormivo a lezione di fisica. Non vedevo l'ora di tornare
a casa per appisolarmi un po'» mi giustificai.
«Non dovresti stressarti tanto» mi aveva rimbrottato,
porgendomi il piatto.
«Che buon profumo!»
«Grazie! Ma non divagare, non sto scherzando Rachel!»
Merda! Ci risiamo.
«Hai sedici anni. Dovresti avere degli amici, uscire con
loro, divertirti un po', insomma.»
«Io ho degli amici, mamma» avevo obiettato. «Ma li vedo a
scuola.»
Aveva sospirato stanca. «Non era quello che intendevo!»
«Lo so cosa intendevi, ma sono presa dallo studio.»
Come ogni normale sedicenne, avrei voluto aggiungere con
la voglia di alzare gli occhi al cielo per l'assurdità della mia affermazione.
«Rachel!»
«Mamma!»
Mi aveva guardato di sbieco con la rabbiosa consapevolezza
di essere lei la ragione della mia vita vissuta a metà, ma io avevo cominciato
a mangiare.
«Possiamo cenare adesso?»
«No!»
Okay, poteva bastare! Avevo posato cautamente le posate e
mi ero alzata.
«Dove vai?»
«Vado a studiare. Questa conversazione è insensata.
Ma proprio quando stavo per prendere le scale, mi aveva
afferrato un braccio.
«Tesoro, ascoltami!» mi aveva intimato dolcemente. «So
che ti stai mettendo da parte per me, ma è tutto passato, devi credermi!»
Avrei voluto, sì, ma il ricordo dei giorni in cui l'avevo
persa era ancora troppo vivo.
«Vorrei poter cancellare tutto Rachel, ma non posso.»
«Non è stata colpa tua.» Non lo era stata davvero. Come
potevo incolparla di qualcosa?
«Sì, invece, ma non mi lascerò fregare di nuovo, te lo
prometto. Puoi credermi?»
Come facevo a dirle che la vedevo ancora così fragile da
avere paura di un suo imminente crollo? L'espressione decisa sul suo volto mi
suggerì che no, non potevo certo confessarle i miei timori.
«Ti credo mamma.»
Mi aveva abbracciato e fatto promettere che nei giorni a
venire avrei ripreso in mano la mia vita, che avrei ricominciato a frequentare
la mia cerchia di amici, che sarei uscita di nuovo come prima e che, magari, mi
sarei guardata in giro alla ricerca di un ragazzo per il ballo di fine anno.
Alla fine della serata, nella quale avevamo visto un film
d'amore di fronte alla nostra ciotola di popcorn caldi come ai vecchi tempi, mi
ero quasi convinta che forse, avesse ragione. Potevo ricominciare a sentirmi
normale e uguale agli altri.
«Perché Casablanca ci fa sempre lo stesso effetto?» le
domandai asciugandomi le lacrime due ore dopo, mentre scorrevano i titoli di
coda.
«Perché sei un'inguaribile romantica come me, frignona!»
Mi aveva risposto, anche se lei non stava meglio di me e si asciugava
convulsamente il viso bagnato. C’eravamo guardate un attimo ed eravamo
scoppiate a ridere, forse di sollievo, per una normalità ritrovata.
Ma meno di una settimana dopo, il suo castello di buone
intenzioni era crollato di nuovo ed io, ero ripiombata all'inferno con lei.
Capitolo due
Stephan
«Merda! Paul, smetti di strillare amico.»
Ero in preda ai postumi dell'alcol e la sua voce mi
arrivava amplificata di parecchi decibel. Quella notte avevamo fatto baldoria e
giacevo supino nel mio letto. Mi girai su di un fianco, aprendo leggermente un
occhio. O era il letto del mio amico?
«Cazzo! La testa» imprecai, massaggiandomi le tempie.
«Prendi questa» mi suggerì Paul passandomi un'aspirina e
dell'acqua. La ingoiai subito, aggrappandomi alla speranza che quel martello
pneumatico che sentivo dentro il mio cervello, smettesse di trapassarmi il cranio
da una parte all'altra.
Aprii lentamente entrambi gli occhi, cercando di
abituarmi alla luce del giorno, ma fu come se mille aghi mi crivellassero la
retina. Imprecai.
«Straccio d'uomo, come pensi di superare il test di
oggi?»
Merda! Il test di diritto aziendale. L'avevo dimenticato!
«In qualche modo farò», mormorai in una sorta di auto
convincimento che non servì a placare l'ansia.
«Che ore sono?» chiesi.
Paul mi passò una tazza di caffè che afferrai subito.
Magari mi avrebbe dato un po' di sollievo!
«Hai un'ora per renderti presentabile, Queen. Sono le
nove.»
Non mi sarebbe bastata nemmeno un'intera giornata per
come mi sentivo in quel momento.
Feci per alzarmi e liberarmi dal groviglio di lenzuola
che mi avvolgeva e fu allora, che notai una testa bionda che faceva capolino
fra i cuscini.
«E questa chi diavolo è?» Il mio amico se la rideva ed
era solo perché mi sentivo uno schifo che non lo seguì a ruota. Non era la
prima volta che mi risvegliavo accanto a un corpo femminile che avevo
sicuramente conosciuto in ogni dettaglio, ma di cui non ricordavo il nome.
Ammesso che me l'avessero detto poi, o che io glie l'avessi chiesto.
«Margaret, Meredith...No! Aspetta, cominciava con la B.
Che cazzo ne so, amico? Non stavo messo meglio di te ieri sera.»
«Okay! Non importa» tagliai corto. «Mi serve una doccia.
Ti dispiace svegliarla e liberartene prima che io torni e si cominci con la
storia del Sei stato meraviglioso, magari potremmo rifarlo?»
«Che miserabile egocentrico…!»
Sorrisi. In fatto di sesso sapevo il fatto mio. Sul modo
di coccolare le donne dopo... ecco, questo era certamente un mio limite.
«E dai, aiutami! Mi chiederà il numero di telefono» lo implorai
Paul sbuffò ma stette al gioco come sempre. «Glielo darei
solo per darti una lezione» scherzò. «Va a darti una ripulita. Ci penso io!»
Paul non era solo un amico, era un fratello e conosceva
ogni dettaglio della mia vita e… della mia famiglia. Ero tornato a casa, cinque
volte in tre anni da quel giorno. Fortunatamente, mio padre aveva avuto il buon
gusto di farsi vedere il minimo ogni volta, giusto il tempo di fare una doccia
e cambiarsi. Per il resto, adduceva a continue cene di lavoro ed io ringraziai
Dio che non dovessi ritrovarmelo di fronte, spesso. Ancora adesso, al pensiero
mi tremavano le mani dalla collera, ma ero lontano e avevo il sospetto che mia
madre mi volesse proprio lì, a chilometri di distanza da loro. Sapeva che ero
al limite e che presto, molto presto, quella situazione sarebbe degenerata.
Al diavolo anche lei che continuava a proteggerlo!
Entrai in bagno, accesi la luce e wow! «Ehi amico, non
hai una bella cera!» sibilai al mio riflesso allo specchio.
Accidenti! Il test... quello sì che era importante. Come
cazzo avevo fatto a dimenticarlo? Se volevo passare, dovevo recuperare
l'andazzo del semestre. Mi ero preparato alla grande per superarlo, ma conciato
così, la percentuale di riuscita si era abbassata notevolmente.
La doccia che seguì batté ogni record. In una manciata di
minuti ero già rasato, profumato e vestito, più o meno decentemente.
Con i capelli ancora bagnati, raggiunsi Paul in cucina.
L'odore del bacon aveva risvegliato il mio stomaco che brontolò, ricordandomi
che dal pomeriggio precedente, aveva visto solo alcol.
«Ciao, Steph». mi accolse cinguettando la bionda che non
era andata ancora via. Perlomeno era già vestita, il che mi fece ben sperare
che sarebbe volata via fra poco.
Guardai il mio amico in cerca d'aiuto. Come diamine si
chiamava? Paul intercettò il mio sguardo interrogativo e mimò Beth con un
sorriso divertito sulle labbra. La faceva facile lui!
«Ciao... Beth» le risposi calcando il tono sul suo nome.
Paul soffocò una risata che sembrò simile a un grugnito.
Bastardo!
«Dormito bene?»
«Oh sì! Magnificamente.» Rispose maliziosa allungandosi
verso di me.
«Hai sentito Paul?» lo provocai baciandola. «Ha detto che
ha dormito magnificamente.» Lo presi in giro sapendo che lui era andato in
bianco con Lola: una mora spagnola sulla quale sbavava da mesi.
«Divertente, Queen! Puoi scordarti la colazione» rispose
agitandomi la paletta di fronte agli occhi.
«Oh, andiamo amico... non puoi essere così crudele!»
«Beh, nemmeno tu se è per questo e due secondi fa, lo sei
stato davvero molto, Steph.»
Lo guardai divertito. Credevo ancora che stesse
scherzando, ma il cretino mise un piatto davanti a... Beth? E uno davanti a
lui. Nulla per me che lo guardai a bocca aperta.
«Va a fare colazione al campus, stronzo!»
La risata che seguì fu di pancia per entrambi. Rise
perfino la biondina, captando quella complicità solo nostra.
«E va bene, ma me la paghi.»
Paul prese la mia sacca di libri e me la mise in spalla
accompagnandomi alla porta. «Se non la smetti, le do il tuo numero di telefono.
Vedi di sparire. Sono andato in bianco con Lola» disse sospirando e guardando
verso la ragazza che aspettava paziente, seduta a consumare la colazione che
doveva essere mia. «Magari stamattina sarò più fortunato. Non ti dispiace
vero?»
«Macché!» avevo esclamato. «Se ci sta, vai tranquillo.
Ora fammi andare, o all'esame di diritto aziendale non mi fanno proprio
entrare!»
Rachel
È tutto bianco, un colore accecante, talmente cristallino
e luminoso da farmi strizzare gli occhi alla ricerca di qualcosa. Mai visto un
posto così. Il silenzio lo pervade e una strana sensazione di pace si fa largo
dentro di me. Non c'è nessuno, sono sola, eppure, mi sento stranamente
tranquilla.
Alla fine la scorgo: una sagoma familiare con lunghi
capelli rossi a incorniciarla. La sua risata e il suono della sua voce mi
riempie il cuore. «Mamma» la chiamo. So che è lei.
Ma il bianco diventa nero quando i suoi occhi incrociano
i miei e la sua risata cessa, così come la sua voce. Rimango al buio,
terrorizzata. La imploro di venire a prendermi, ma non arriva nessuno. Mi muovo
tentoni, con le mani protese in avanti, aspettando un tocco che mi salvi e mi riporti
da lei, ma nulla. Spezzo il silenzio di quel posto inquietante e urlo.
Disperatamente, agonizzando. Bramo una salvezza che non arriva e così scalcio e
combatto, forse con me stessa, perché a un tratto, sento mille mani che mi
toccano e non so a chi appartengano. Forse sto impazzendo anch'io.
Mi
risvegliai dal sonno madida di sudore, avvinta dal solito sogno che facevo
ormai da giorni. Ero nella mia stanza e, con la mente ancora offuscata
dall'incoscienza, guardai la sveglia.
«Oh cavolo! Sono in ritardo» esclamai, balzando giù da
letto.
Mentre mi lavavo velocemente, prestai attenzione al fatto
che dalla cucina non provenisse nessun odore. Ormai da due mesi, per me, non
c’era nessuna colazione. Mia madre non era più in sé… di nuovo. Quell’anno
aspettavo novità migliori. Avrei dovuto essere precisa con gli esami al
college, invece, mi ritrovavo indietro per le assenze che ero stata costretta a
fare… e andava sempre peggio. Finii di lavarmi e, avvolta solo
dall'accappatoio, mi fiondai nella sua camera per controllarla; i
tranquillanti, di solito, la facevano dormire dodici ore di fila, per cui non
era ancora il momento del risveglio.
Mi vestii: una camicetta a righe bianche e blu e un paio
di shorts potevano andare bene. Era estate inoltrata ed io studiavo ancora.
Dovevo recuperare alcune materie nella sessione estiva, se volevo mantenere
almeno la mia media. Quella era l'unica opportunità che mi stavo dando nella
vita e l'avrei inseguita a costo di sacrificare ogni cosa. Ogni cosa, tranne
mia madre e meno che me stessa. Io, mi ero sacrificata già da un pezzo.
Non mi truccai, non lo facevo mai. Non ne avevo il tempo
e neppure la voglia; d'altro canto, non ero una normale ragazza con tutti i
vezzi della propria età. Io ero Rachel Stone e ormai tutti sapevano che ero...
strana.
Quella definizione mi stava bene, purché non si sapesse
cos'era che mi rendeva così diversa. Tutto sommato, quell'epiteto non era poi
così male e voleva poter dire un sacco di cose.
Era cominciato a circolare qualche pettegolezzo. Lo stato
di mia madre non era una cosa che potevo tenere del tutto nascosta,
specialmente al rettore o al corpo docenti. E quando loro avevano stabilito che
anch’io avessi bisogno di un supporto psicologico, per gli altri studenti ero
diventata appunto quella “strana”. La compagna da lasciare perdere, che non
accettava mai un invito. Che non partecipava agli eventi, né alle feste
organizzate al campus. Facevo una vita totalmente diversa dalla loro, ma la
cosa che li aveva fatti desistere dall'indagare oltre, era che in classe fossi
socievole. Avevo degli amici, insomma e beh! Forse amici era un parolone, ma
ridevo delle loro battute, scherzavo, non mi estraniavo dai loro discorsi. Solo
non dovevano chiedere. Nessuna domanda perché, altrimenti, mi chiudevo a riccio
e dicevo addio anche ai rapporti di circostanza.
Mentre ero presa a valutare la mia vita, il trillo del
campanello mi riportò alla realtà. Doveva essere la mia dirimpettaia che mia
aiutava con mamma nelle ore in cui ero costretta ad allontanarmi per la scuola.
Mrs. Kenner era un'anziana signora tutto pepe amante dei
gatti, un po' eccentrica ma tanto buona e disponibile, ed era anche la mia
ancora di salvezza, giacché non potevo contare su nessun parente. Niente nonni,
zii, sorelle o fratelli. Niente padre. Sospirai prima di prendere la mia sacca
di libri. Mio padre. Non sapevo neppure che faccia avesse!
«Sta ancora dormendo» informai la donna che si era già
messa comoda sul divano col suo micio in grembo.
«Stai tranquilla, Rachel. Ho intenzione di farle godere
un po' di sole sul terrazzo appena si sveglia. Staremo bene, vedrai!»
Le sorrisi. «Per qualunque cosa, ha il mio numero.
Mancherò solo un paio d'ore.»
«Oh certo!» esclamò. «Ma adesso vai. Su! Non vorrai fare
tardi!»
No, che non volevo. Mi affrettai a uscire, chiusi l'uscio
dietro di me e mi appoggiai alla porta, respirando furiosamente l'aria fuori
dalla mia casa.
«Posso farcela!» pregai pensando al college come
all'unica soluzione per me. Mi sarei laureata e avrei trovato un buon lavoro
che mi permettesse di prendermi cura di mia madre e anche di me stessa.
«Devo farcela!» Corressi la mia riflessione,
intimandomela. Ed era il solo augurio che potessi farmi, senza che suonasse
come l'ennesima imposizione alla mia vita.
Stephan
«Spogliati!»
La ragazza che mi ero portato a casa quella sera, era una
rossa mozzafiato con un culo da urlo e tanta voglia di essere sbattuta per
bene.
Mugolò al mio ordine come una gattina e cominciò a
spogliarsi velocemente. Troppo. Quella volta avevo bisogno di andarci piano.
«Più lenta, tesoro. Voglio godermi lo spettacolo» le
ordinai, prendendo posto su una poltrona.
Cominciai a massaggiarmi il membro mentre lei faceva come
le avevo chiesto. Quando fu del tutto nuda, fermai lo sguardo sui capezzoli
rosa, perfettamente eretti. Poi lo feci scivolare fino ai suoi ricci scuri che
indicavano il paradiso. La linea dei fianchi era abbondante. I seni pieni e
pesanti. Era stupenda e assolutamente scopabile!
«Adesso Vieni qui!»
Quando me la trovai di fronte e la baciai con impazienza,
ero duro da fare male. Le presi la testa e la guidai piano verso la mia
erezione. Non obiettò e si abbassò languida su di essa, avvolgendomi con la sua
bocca calda e stretta.
«Cristo santo! Sì... così. Fammi vedere cosa sai fare» e
cazzo, se ci sapeva fare! Mi stava mandando dritto in estasi. Prima che fosse
troppo tardi, la tirai su. «Sdraiati, piccola Non voglio ancora venire.» I suoi
occhi si dilatarono, lucidi e spalancati per l’attesa.
Amavo come riuscivo a fare accendere la passione di una donna.
Poteva essere anche la più fredda e composta fra le creature, ma sotto, si
celava un fuoco che non perdevo occasione di scoprire.
«Allarga le gambe per me», le avevo ordinato mentre la
raggiungevo.
Ansimava pesantemente e m’implorava: «Non resisto, ti
prego.»
Abbassai la testa pronto a ricambiare il favore ricevuto
e quando appoggiai la lingua sul suo bocciolo duro, mi bastò stuzzicarlo
appena. Venne con un grido acuto capace di fomentare il mio ego maschile a
dismisura. La penetrai mentre ancora tremava per l'orgasmo, aizzandone un altro
che sapevo di poterle regalare.
«Oh Dio!» urlava.
«Oh sì! Implora Dio, ma abbi bene in mente chi ti sta
scopando!»
Avevo aumentato le mie spinte imponendomi di durare,
anche se mi sentivo al limite. Gliene avevo promesso un altro e glielo avrei
dato a costo di restarci secco!
Per fortuna, quella dolce creatura che mi prendeva così a
fondo dentro di lei, non si fece attendere. La sentii tremare e stringermi
nella sua calda morsa, mentre con un grido, finalmente, venni anch'io.
«Mai una
volta che va in bianco, Queen. Cos'è, il fascino del bel tenebroso?»
«Tenebroso e bastardo, Steve. Non dimenticarlo. Sul
bello, non mi pronuncio. Non lo trovo un granché.»
«Ma la smettete di parlare di me come se io non ci
fossi?»
Rimproverai bonariamente i miei amici davanti al caffè
annacquato del campus. Faceva sempre più schifo!
«Piuttosto, dobbiamo considerare l'idea di fare colazione
da Starbucks. Questa brodaglia non darebbe la carica nemmeno al più sveglio fra
noi!»
«E chi sarebbe quello più sveglio?» chiese giustamente
Steve.
Eravamo a metà del nostro percorso di laurea. Ci davamo
dentro con lo studio, almeno Steve ed io. Paul se ne fregava, ma eravamo
ragazzi e da buoni universitari, ogni serata si terminava con una festa.
Questo, equivaleva a sballarsi fino a non capirci più nulla. Era la norma ed
era assolutamente eccitante. Peccato che, al mattino seguente, messi i panni da
studenti modello, avessimo anche le facce sbattute di chi si è buttato sotto un
treno, rimanendo vivo per miracolo.
«Ci vorrebbe una vacanza!» esclamò Paul che fra tutti,
era quello messo peggio.
Anche Steve era d'accordo. Si grattò la faccia resa
ispida dalla barba di un giorno. «Fra poco questo martirio finirà. Ancora pochi
giorni e poi giuro che mi faccio una settimana di sonno di fila.»
Realizzai che giugno stava per finire e, che da lì a
poco, avremmo avuto qualche settimana di libertà per tornare a casa. Al solo
pensiero m'irrigidii. Era sempre più
facile per me restare in quel posto, malgrado morissi dalla voglia di rivedere
mia madre e Marie. Il solo pensiero di lui mi toglieva ogni buon umore. I miei
amici se ne accorsero e cercarono di darmi coraggio.
«Puoi venire a casa mia, Steph. Sai che non c'è problema
e che i miei ne sarebbero felici.»
«Lo so. Ma non sono più un bambino. Potrò affrontare
questa cazzo di cosa, o no?»
Paul annuì. Steve mi fissò scettico. Io invece, mi
limitai a guardare altrove.
«Ci darò dentro con lo studio. Non avrò praticamente il
tempo di uscire dalla mia camera se non per cenare. Spero che mio padre, abbia
l'intelligenza di non farsi vedere molto.»
«Ricevuto, amico!» acconsentì Steve. «Ma se dovessi
cambiare idea, sai dove venire a bussare.»
Lo ringraziai, ma era una cosa che dovevo imparare ad
affrontare se volevo sopravvivere, e poi era vero che lo studio mi avrebbe
tenuto occupato. Avevo gli ultimi due esami. Poi sarebbe seguito il master di
Tecnica della comunicazione alla Columbia University.
Pregustavo il giorno in cui avrei spiccato il volo e
acquistato una testata giornalistica: il mio sogno. Avevo il denaro e anche il
talento. Potevo farlo. Avrei compiuto il grande salto con il fondo fiduciario
istituito da mio padre. Quel bastardo mi doveva ogni fottuto soldo, lo doveva
anche a mia madre e mia sorella, quindi, ne avrei usufruito per far cambiare
corso alla nostra vita. Avrei potuto sgobbare come un cane e non me ne sarebbe
importato comunque. Il risultato valeva ogni goccia di sudore se, alla fine,
fossi riuscito a portarle via da lui.
«Basta pensieri tristi!» Paul era già in piedi e mi diede
una pesante pacca sulla spalla che per poco non mi fece rovesciare il caffè
addosso.
«Chi ti piega a te, lurido figlio di puttana?»
«Prova a rifarlo e vedrai chi finirà piegato!» scherzai,
volendo credere all'incoraggiamento del mio amico.
Due settimane dopo, tornai a casa pieno di buoni intenti
e deciso a reagire. Volevo che mio padre capisse che c'era un altro uomo in
casa e che mia madre mi vedesse finalmente, per la seconda opportunità che
potevo essere. Il problema era però il solito: dubitavo che lei volesse
un'altra occasione. Tuttavia, glielo dovevo e lo dovevo a Marie che era
costretta a vivere quell'assurdità, anche se finalmente era al college, un po'
lontano da tutto. Rimasi calmo per tutto il viaggio, convinto, così mi aveva
detto mamma, che papà fosse cambiato. Mi disse che aveva cominciato a seguire
un gruppo di terapia, che i suoi scatti d'ira erano rari e che non alzava un
dito su di lei da mesi. Ero scettico, ma Marie me lo aveva confermato per
telefono, ed io credetti che il miracolo fosse realmente avvenuto.
Peccato che dopo nemmeno cinque giorni, in cui realmente cominciai a crederci, la mia presenza inquietò talmente mio padre, da fare uscire allo scoperto il bastardo che era sempre stato. Quell'estate segnò la mia vita per sempre... e mi riporta a oggi. Gloria, successo, soldi e donne. Il mio giornale. Una vita piena del nulla e un'anima oscura incapace di vedere la luce.
Buongiorno carissime Crazy e buona domenica.
RispondiEliminaVolevo sapere se i libri di Sara Purpura si trovano solo in formato digitale o se c'è possibilità di averli in formato cartaceo.
Grazie per la vostra cortese risposta e anche per il bellissimo lavoro che fate per noi.
Un abbraccio
Marisa
Intanto grazie al blog e al suo fantastico team <3
RispondiEliminaMarisa, cara... rispondo io alla tua domanda. Il cartaceo di Oltre il buio è in arrivo. Per il momento, lo trovi solo in ebook. Il dono della felicità, invece, è disponibile in entrambi i formati che puoi trovare sullo store Youcanprint e/o tutte le libreria a esso affiliate.
Ma è solo su amazon?sullo store del kobo non lo trovo....ciao Elena
RispondiEliminaoh mon dieu
RispondiEliminafantastico
L ho scoperto per caso e mi è piaciuto moltissimo. Un plauso all autrice ( italiana)
RispondiElimina*-*
RispondiEliminaScusatemi, che differenza c'è tra la versione originale e quella rivisitata?
RispondiElimina