martedì 25 novembre 2014

Il tempo che ci serve di M.S.: Segnalazione.

Buona sera Crazy,
questa sera vogliamo segnalarvi  Il tempo che ci serve di M.S, contemporary romance self published che uscirà il prossimo primo dicembre ma già prenotabile online. Questo romanzo segna per l'autore, Manuel Sgarella, che abbiamo già conosciuto in una trilogia storica mesi fa (qui recensione), il passaggio ad uno stile prettamente più romance. Ne Il tempo che ci serve l'amore si intreccia fra passato e presente attraverso il doppio POV dei protagonisti, in un susseguirsi di piacevolissime colonne sonore che vi accompagneranno passo dopo passo lungo tutta la lettura.... a voi la sinossi e un estratto del romanzo.










Titolo: Il tempo che ci serve

Autore: M.S.

Data: 1 dicembre 2014

Casa editrice: Self

Genere: Contemporary Romance






Andi e Joy hanno 39 anni. Non si vedono dal giorno dell’ultimo esame scritto della maturità. Si incontrano per caso, in ospedale. Entrambi hanno appena ricevuto pessime notizie. Tra loro c’era stato qualcosa di intenso. Poi nulla. Per vent’anni. Una vita. Per lei fatta di scelte sbagliate. Per lui di decisioni non prese.
Ora, l’istinto dice loro di non lasciarsi sfuggire ancora questa occasione. Fanno una scelta: cinque giorni da passare insieme. Per annullare il mondo, per dimenticare gli anni “persi”, per tornare indietro nel tempo. O almeno provarci. Con regole precise: niente dottori, niente rimpianti. Ma le brutte notizie, il presente, il futuro, e il tempo che è stato, non possono essere cancellati. Sono sempre dietro l’angolo, pronti a inseguire chi cerca di dimenticare.
Riusciranno Andi e Joy a superare queste barriere? Riusciranno a oltrepassare gli ostacoli del tempo, le avversità che negli anni hanno temprato i loro caratteri, il loro fisico? Riusciranno Andi e Joy, a vivere, assaporare, far esplodere, quello che hanno interrotto vent’anni prima?


ESTRATTO


CAPITOLO 1

“Rome wasn't built in a day” - Morcheeba

L’INCONTRO


1

La testa contro il muro bagnato. A guardarsi i seni, tondi, perfetti. Sotto, una pancia quasi piatta, non troppo. La giusta rotondità anche nelle gambe, nelle braccia. Tutto quello che serviva, per non sembrare uno scheletro ambulante, era al suo posto.
Eppure, nonostante la perfezione di quel corpo, sotto quella doccia fredda, era sola. Indossava ancora i jeans. Entro un’ora sarebbe dovuta andare a scoprire cosa ne sarebbe stato del suo futuro. Senza nessuno. E non ne aveva il coraggio.
Andrea, ma la chiamavano tutti Andi, una storpiatura che le piaceva molto, non voleva più uscire da quel box, servito anche di un inutile idromassaggio verticale a getto.
Il freddo dell’acqua non le faceva più alcun effetto. Tutto quell’ambiente le dava sicurezza, la faceva sentire invincibile, protetta. Era sempre stato il suo rifugio, anche durante le discussioni con Mick, che ormai, dopo anni di matrimonio, non vedeva più da mesi. Da quando il Mago aveva fatto la sua comparsa.
Andi chiuse l’acqua e aspettò che i capelli smettessero di gocciolare. Si asciugò così, immobile. In attesa. Mentre il tempo avanzava inesorabile. Aspettò e assaporò il proprio corpo. L’acqua che evaporava come tutto quello che aveva fatto fino ad oggi. Niente aveva più importanza. Solo quell’incontro.
Nel resto della casa, silenzio.
Nel bagno c’erano i vestiti sparsi per terra: il reggiseno nero, la maglietta rossa, attillata, la giacca scura sciancrata, tutto lasciato lì, in posti diversi. Ma era quello il suo ordine, lo era sempre stato.
Andi uscì dalla doccia quasi asciutta. A piedi nudi entrò in salotto, lasciando le impronte bagnate sul pavimento di cotto tirato quasi a lucido. La casa era arredata come lei aveva sempre voluto: moderno, spigoloso, niente quadri dipinti, niente orologi che fanno tic tac, niente soprammobili che fanno invecchiare, che scoloriscono negli anni.
I piedi lasciavano piccole pozze d’acqua. Si asciugheranno anche loro, pensò, come tutto il resto.
Il giradischi sulla pensilina vicino alla televisione, si era incantato alla fine dei soliti Pink Floyd, la passione di Mick. Anche a lei piacevano, ma a lui aveva detto di odiarli.
Dal giradischi usciva ormai solo rumore.
Con fatica si sfilò i jeans bagnati. Prese un vestito nero che era appoggiato al divano.
Andò verso il giradischi. Spostò la puntina senza alcuna cura, facendola gracchiare sul 33 giri di “Dark side of the moon”, graffiandolo. Lentamente.
Michele vaffanculo.
Mago, a noi.


2

E poi arriva quel giorno in cui ti senti una merda. Non capita sempre, ma capita. Arriva come un uragano che si porta via i campi coltivati con tanto amore, le gioie e le fatiche di una vita. E tu stai lì, immobile come uno scemo, fermo a guardare la devastazione. Potresti fuggire, ma non lo fai. Chiudi la porta di quella stanza di ospedale, te la lasci alle spalle sperando che sia l’ultima volta. Sai che non sarà così, ma ci vuoi credere, ti illudi perché è quello che ti permetterà di andare avanti nei prossimi mesi, forse settimane. Non sapevano ancora dirtelo, i dottori.
La tua vita sai che, ormai, non sarà più la stessa. Tutto qui. Prima ci fai i conti, prima potrai davvero entrare in un’ottica diversa e vedere il mondo per quello che è. Uno schifo.
«Giorgio, non andare via, non così.» Senti la voce di tua madre che cerca di fermarti, dopo aver parlato con l’ennesimo medico. Lo stesso dottore supponente e insensibile che cerca di calmarla.
«Gli lasci il tempo».
La maniglia della porta sembra appena uscita da un freezer. Oppure è la tua mano a essere bollente. Senti di essere entrato dalla porta dell’inferno, anche se non ci hai mai creduto davvero.
In fondo, quando si muore forse succede sempre la stessa cosa. Ti spegni, come un orologio a cui non funziona più la carica, a cui mancano le batterie. Peccato che tu gli orologi li sai riparare, e anche bene. Ti pagano per farlo, profumatamente. Come quando fai resuscitare un vecchio orologio da taschino che ha più di un secolo. Lo pulisci, lo accudisci, lo coccoli e lo lavi con amore e rispetto. E poi, magicamente, quando hai finito il tuo lavoro, quando con attenzione rimetti insieme tutti i piccoli meccanismi, lo vedi riprendere a camminare, a muoversi, a fare quell’inconfondibile tic tac che ti dà tanta soddisfazione. Lo resusciti.
Ma quando un dottore ti dice quelle parole, parla del tempo, dei giorni, delle settimane, qualcosa dentro te si rompe. Per sempre.
Non siamo tutti orologi che si possono aggiustare.
Ci sono poche persone nel corridoio dell’ospedale. Le guardi una a una, nessuno ricambia il tuo sguardo. Solo un’infermiera ti passa vicino e ti mostra un sorriso. Tu non ricambi. Lei ti chiede qualcosa, ma non la ascolti, vedi solo muoversi le labbra. Scuoti la testa, abbassi lo sguardo e te ne vai.
Come al rallentatore, vai oltre le persone che aspettano nelle varie stanze. Ti chiedi se anche loro sono in attesa di un verdetto.
Ma poi hai un pensiero che sai essere terribile. Non te ne frega un cazzo di saperlo. Prosegui e non incroci i loro sguardi. Ti chiedi solo che tipo di orologio portano, se glielo hai mai aggiustato.
Senti vibrare il cellulare nella tasca dei pantaloni. Lo afferri e lo guardi: non c’è l’ora digitale. Non ti serve, sai di avere il tic tac in testa. Sono le 14.45, lo sai.
Fermi la chiamata in arrivo, non guardi chi è, non ti interessa e non hai voglia di parlare con nessuno.
Guardi il vecchio orologio a lancette sul muro. Segna le 14.48. Sicuramente avanti o rotto.
Non sai più quanti corridoi hai percorso, ma sotto l’orologio a muro vedi una macchinetta automatica del caffè. Eccola. L’àncora di salvezza. Momentanea. Ma amica. Non ti era mai piaciuto bere quell’intruglio, ma il suo potere terapeutico era innegabile. Amaro, lungo, perfetto. Quello di cui hai bisogno in questo momento.
Ma c’è una persona prima di te. Una donna. Dai lineamenti famigliari. Non la vedi da venti anni esatti, dal giorno dell’ultimo esame scritto della maturità. Proprio a una macchinetta del caffè.
Andi.
Sorridi, pensi alle ironie del tempo. Il tempo che gioca con gli spazi. Pensi che certi fatti accadono solo in certi luoghi, non prima e non dopo, non al mare o in montagna. Ma in una merda di reparto tumori di un ospedale di Milano.
E la domanda che vorresti porle è una sola: Andi, cosa cazzo ci fai qui?
Non sai se ti riconoscerà. Noti solo che prende il caffè, lungo, amaro, come ti aveva insegnato proprio lei. Speri che almeno qui il caffè sia migliore che al distributore della scuola. Ma in fondo sai che, anche di questo, non te ne frega un cazzo.

E nemmeno a lei.

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5 commenti:

  1. 1. Prenotato
    2. Pronta a rileggerlo (si perché ho avuto la fortuna di leggerlo in anteprima)
    3. Mi limito dicendo che è un libro molto bello. Che non f

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  2. Manuel scrive in maniera semplice, diretto e pulito . Si è avvicinato al romance e l'ha fatto benissimo. Un uomo che scrive questo genere? si, e ancora si, perché la consistenza dei protagonisti sente questa influenza e io che adoro i POV maschili, anche io questo libro mi sciolgo quando è Joy a parlare. Tutto il libro scorre in un tempo ben scandito , come solo la perfezione di un orologio sa dare.
    Insomma Consigliatissimo.

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  3. Sinceramente questo romanzo non mi ispira. Ho scaricato l'estratto da amazon e non mi ha colpito...in particolar modo il cambio di tempo nei punti di vista secondo me crea casino e a me personalmente rallenta la lettura. Non è proprio il romanzo che fa per me.
    Sabrina G.

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  4. Una storia bellissima. Un amore che si riscopre ma anche si conosce per la prima volta allo stesso tempo.
    20 anni. Anni di scelte e non scelte, passati un po' facendo da spettatori della propria vita, e poi arriva la possibilità di prendere in mano la situazione e provarci davvero. Saltare su quel treno in corsa e provare per una volta a prenderti quella felicità che ti spetta.
    Una storia raccontata tra quello che sono e quello che sono stati i protagonisti, i pensieri di lui e di lei si affacciano a narrare quelli che sono i giorni che segneranno le loro esistenze e le loro decisioni.
    Un romanzo che una volta iniziato non puoi mollare, la necessità di proseguire e scoprire cosa accadrà, ma anche cosa sia successo prima; fino al capitolo finale. Quella fine che ti porti dietro anche dopo aver spento l'ereader, a cui ti ritrovi a pensare spesso anche dopo.
    Voglio tranquillizzare gli amanti dell'epilogo (in quanto facente parte della categoria) L'EPILOGO C'È E MERITA PURE!!!

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  5. Quando guarderete una macchinetta del caffè, la guarderete con occhi diversi
    Questo libro è un inno all'amore, alla vita, ti fa pensare tanto.. perchè ognuno di noi ha il mago nella propria vita, ma solo con una persona colorata accanto possiamo sconfiggere il grigio che c'è dentro di noi.
    La storia mi ha toccata particolarmente, l'ho letta 3 volte.
    Fra Andi e Joy ho patteggiato per lui..perchè è colui che si mette di più in discussione, si getta ad occhi chiusi in questo gioco che all'inizio sembra folle.
    I 2 protagonisti si conoscono ma non ricordano bene quanto e lo scrittore ci fa fare questo viaggio insieme a loro tra dolore gioia e posti descritti in modo fantastico...ti sembra davvero di stare accanto a loro.
    Vi consiglio vivamente di leggerlo, perchè oltre a leggere una bella storia, ricca di particolari, scritta in modo semplice ma ricercato.. vi ritroverete in un viaggio vissuto nel presente ma che ha il retrogusto del passato.
    Ricordate: ogni corona ha bisogno del suo bilanciere per far funzionare il meccanismo della vita

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