sabato 1 febbraio 2014

Red Passion: Gioco Di Ruolo e Giveaway


Buongiorno Crazy
Oggi siamo qui per farvi conoscere il "GDR di Red Passion. La saga", ispirato all’omonima serie paranormal romance scritta dalla tre sapianti mani di Anna Grieco, Fiorella Rigoni e Alexia Bianchini.

Vi posso dire personalmente che questa è una serie che ben si presta ad un gioco di ruolo, sia per la molteplicità di personaggi che subentrano all’interno del romanzo, ma soprattutto per la storia che è molto avvincente e ricca di intrecci che offrono numerosi spunti di approfondimento, ma se volete un quadro più chiaro della saga vi consiglio di leggere ovviamente i primi due libri: Red Pession. Nemesi. (qui recensione) e il seguito Dark Passion. Desiderio Oscuro (qui recensione). Vi garantisco che se siete amanti del genere vi piacerà farvi trasportare da Cassandra in questa lotta fra il bene e il male.


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Adesso lascio la parola a Anna Grieco che vi spiegherà più nello specifico come funziona il gioco:

"Prima di parlarvi del gioco di ruolo dedicato alla saga di Red Passion, vi spiego in breve che cos'è un GDR, visto che fino a poco tempo fa' ne ignoravo anch'io le dinamiche. Un GDR non è altro che un gioco di ruolo (da qui l'abbreviazione), dove i giocatori interpretano il ruolo di un personaggio che gli è congeniale , tramite dei post (le cosiddette role), creano storie ispirandosi ai fatti narrati in un romanzo che gli è piaciuto particolarmente. 
Può anche prendere spunto da film, novelle, fumetti, ecc. ecc. Il Gdr dedicato a Red Passion- La saga è nato tutto come un gioco, ma l'idea ci ha talmente entusiasmate che anche noi autrici abbiamo deciso di metterci in gioco interpretando un personaggio. Ho scelto personalmente tutti i roler e devo dire che non mi sono mai divertita tanto in vita mia, perché la cosa più bella scaturita da questo progetto è il gruppo. Sono tutte persone fantastiche ed è un divertimento assoluto ruolare con loro, anche perché sono una fucina di idee. Invito dunque tutti i fan di Red Passion Saga a seguirci, perché ci saranno tante nuove avventure dei nostri arcangeli e di Cassandra, la cacciatrice rossa. Ma non finisce qui: saranno introdotti anche nuovi personaggi, alcuni dei quali saranno presenti anche nei prossimi romanzi della serie. Che dire di più, se non che vi aspettiamo numerosi sulla pagina ufficiale di Red Passion GDR? Eccovi il link e venite a scoprire cosa abbiamo in serbo per voi! " (A.Grieco)

https://www.youtube.com/watch?v=0oJ7sCIMmko
CLICCA PER VISUALIZZARE IL BOOK TRAILER

Ora che vi siete fatti un’idea sul GDR Red Passion sono sicura che vi sarete già appassionate e passo quindi di fare le prime presentazioni ufficiali. Partiamo col farvi fare la conoscenza della protagonista assoluta Cassandra e del suo favoloso padre L’arcangelo Michael

continuamo con le presentazioni di Sophie e Marcus

 buona lettura!

Capelli rosso fiamma, occhi splendenti come zaffiri e un corpo tale da indurre al peccato, è la figlia dell’arcangelo Michael e di Lilith, regina degli Inferi. Deve la sua nascita a una profezia che la diabolica sovrana dei demoni è riuscita a estorcere al profeta Elijah. Ignara delle circostanze che hanno segnato i suoi natali, Cassandra viene allevata da un mortale, il cacciatore James Rowling, che fa di lei un’abile combattente per prepararla al compito che l’aspetta una volta che avrà raggiunto l’età adulta. Quando l’uomo che crede suo padre muore, la ragazza, con l’aiuto di Luce nelle tenebre, un pugnale magico, si mette alla ricerca del suo assassino, determinata a vendicarsi. La sua furia è devastante, la sua bellezza letale. Sarà nota a tutti come La cacciatrice rossa, la Nemesi dei suoi nemici

A caccia
Alastair entrò nel locale a mezzanotte in punto. Si guardò intorno, immobile come una statua, inalando l’aroma speziato di perdizione che lì dentro era particolarmente penetrante, poi si mosse.A passi lenti e misurati, quasi distratti, andò a sedersi su uno dei divani di pelle situati in un angolo appartato, da dove poteva avere un’ottima visuale delle ragazze che si esibivano.Non fece caso alle occhiatine ammirate di cui era oggetto, c’era abituato. L’aspetto era molto importante, curava ogni minimo dettaglio.Era un demone di millecinquecento anni, ma ne dimostrava trenta al resto del mondo. Alto, fisico possente e bicipiti gonfi, aveva capelli neri tagliati a spazzola, iridi grigie con screziature dorate e una bocca che invitava ai più sordidi peccati.Il bacio di Venere era affollato quella sera.C’era un vasto assortimento di umani: cocainomani, protettori, escort di alto bordo o semplicemente idioti desiderosi di provare quel brivido in più, assente in quelle loro vite piatte.Di brividi ne avrebbero trovati in abbondanza lì: quel night era il ritrovo della peggior feccia della Grande Mela.Poco gli importava: era in missione solo per lei.Era la femmina più conturbante su cui gli fosse capitato di posare gli occhi da almeno un decennio a quella parte. Il suo infallibile istinto gli diceva che sarebbe stata un’eccellente procacciatrice di anime. Con quel corpo sexy avrebbe attratto uomini e donne come una calamita.La rete era pronta, l’aveva intessuta alla perfezione. Questione di poco e la preda sarebbe caduta nella trappola.Sarebbe stata la sua trasformazione più riuscita, ne era sicuro. Sorrideva, pregustando già il momento, quando la protagonista di quei pensieri emerse dalla porticina laterale.Era stupenda. Il top aderente metteva in mostra un seno da urlo, la mini mozzafiato esaltava due gambe fasciate da calze a rete e le scarpe, dal tacco vertiginoso, slanciavano la leggiadra figura in maniera così divina che faceva venir voglia di saltarle addosso seduta stante, ma si trattenne.Sarebbe stata lei a fare la prima mossa, era sempre così.Si limitò a fissarla e fu ripagato quando lo sguardo della donna corse a cercare il suo.Erano due settimane che le faceva la posta, occupando lo stesso identico divano. Le rivolse un’occhiata ammirata, indugiando sulle forme prorompenti, quasi la stesse accarezzando. Da quella distanza, e con le luci soffuse, poté comunque scorgere le guance avvampare, non certo di timidezza.La ragazza gli rispose con un sorriso smagliante, consapevole, e stavolta non si limitò solo a quello. Con movenze da pantera andò dritta verso di lui. Nel procedere prelevò dal vassoio di una cameriera due bicchieri di vodka con ghiaccio. «Ciao, posso offrirti da bere?» disse.«Con piacere» accettò lui. Un luccichio rossastro gli apparve negli occhi grigi mentre afferrava il bicchiere e lo alzava verso di lei, che ricambiò la cortesia prima di sorseggiarlo.«Sono giorni che aspetto che tu ti decida a farti avanti, lo sai?» esordì la giovane.«Davvero?» ribatté il demone.«Sì, ma visto che non ti decidi, ho pensato di prendere io l’iniziativa. Spero non ti dispiaccia!»«Nemmeno un po’» la rassicurò.«Perfetto. Io sono Cassie, tu come ti chiami?» chiese, curiosa.«Alastair MacCormick, per servirti» dichiarò inclinando brevemente il capo.«Adesso devo esibirmi, Alastair, ma se ti va dopo lo spettacolo potremmo passare un po’ di tempo insieme, che ne dici?» gli propose.«Non c’è problema, possiamo andare in giro a divertirci per tutta la notte» replicò l’immortale regalandole uno dei suoi abbacinanti sorrisi, che ovviamente non mancò di fare colpo.«Veramente io avrei in mente un divertimento di tipo più orizzontale» ammiccò Cassie avvicinando le labbra a quelle del demone e posandovi sopra un bacio.Lui non rispose. Le mise una mano intorno al collo e le infilò la lingua in bocca, esplorandola fino a farla gemere.Quando mise fine al bacio gli occhi della ragazza brillavano di eccitazione.«Non ti muovere, torno subito» mormorò la femmina con voce roca per il desiderio.«Contaci, piccola» assentì Alastair, guardandola mentre lei si alzava e scompariva dietro una porta.Qualche minuto dopo lo speaker annunciò lo spettacolo più atteso. Sulle note di una musica sensuale Cassie, illuminata dalla luce dei riflettori, salì sul palco al centro del quale spiccava un palo d’acciaio.Il suo corpo cominciò a muoversi sinuoso, al ritmo della canzone. Ogni mossa era studiata per eccitare il pubblico, per infiammarlo di desiderio.Nessuno riusciva a staccarle lo sguardo di dosso, nessuno voleva perdersi un solo momento della provocante esibizione.Cassie aveva occhi solo per Alastair mentre si muoveva su e giù lungo la pertica, liberandosi dagli indumenti strato dopo strato.Quando rimase nuda un boato serpeggiò nel night, poi s’inchinò e sparì dietro le quinte, seguita da una caterva di fischi. Non impiegò molto a cambiarsi, cinque minuti più tardi raggiunse l’uomo e lo afferrò per una mano, conducendolo fuori.Non percorsero molta strada. La ragazza abitava in un piccolo appartamentino a un solo isolato dal night-club. Il demone non lasciò alla ragazza il tempo di chiudere la porta che le fu subito addosso, sbattendola contro il muro. Spinse il corpo possente su quello morbido di lei, che rispose in maniera altrettanto febbrile, poi si appropriò della bocca morbida mentre la denudava.Rimase sorpreso dal trasporto che sentiva verso quell’umana. In tutta la sua lunga esistenza non gli era mai capitato nulla di simile. Si era sempre limitato a godere del rapporto sessuale che preludeva alla trasformazione, ma quella femmina lo eccitava fino a fargli perdere la ragione.La prese lì, sulla parete, perdendosi in quel calore che bruciava più delle fiamme dell’inferno.La ragazza arse insieme a lui.Stava per sorgere l’alba.La donna si era assopita. Era bellissima abbandonata al sonno. Alastair la svegliò con un bacio e lei aprì gli occhi.Cassie gli sorrise, stiracchiandosi, poi gli allacciò le braccia intorno al collo e gli si mise a cavalcioni con un movimento repentino, splendida nella sua nudità.Il demone le accarezzò le natiche, muovendo le mani sulla schiena in movimenti circolari che la fecero rabbrividire, ma stavolta non si lasciò catturare dalla lussuria, aveva i minuti contati. «Devo dirti una cosa…» esordì senza smettere di accarezzarla.«Tutto quello che vuoi, baby!» ribatté Cassie chinandosi a baciarlo sul collo.«Voglio che noi due stiamo insieme, ma…» s’interruppe volutamente.«Ma?» lo incalzò la giovane, mettendosi dritta e guardandolo fisso. «Anch’io non chiedo altro Alastair, credo di essermi innamorata di te sin dal primo momento in cui ti ho visto. Sono disposta a qualunque cosa pur di essere tua» dichiarò, convinta.«Ne sei sicura? Qualunque cosa?» tergiversò il demone in maniera studiata.«Sì!» annuì lei.«Bene, allora ti dirò la verità. Io non sono umano, sono un demone, e l’unica maniera per stare insieme è che tu diventi come me» confessò.Si aspettava una crisi isterica o una sfrenata ilarità, invece Cassie si limitò al silenzio, ma non sembrava né sorpresa, né impressionata.Aggrottò la fronte, perplesso. «Strana reazione la tua, mi aspettavo scetticismo o almeno un po’ di paura. Cosa ti passa per la testa?» le domandò.La ragazza sorrise, maliziosa. «Sto pensando a tutto quello che potremo fare insieme, noi due, con poteri illimitati e un’esistenza da immortali».Alastair non aspettava altro.La sua bocca si allargò in un sorriso trionfante, poi davanti agli occhi attenti di Cassie, le sue unghie si allungarono fino a diventare artigli. Con uno di essi s’incise il petto, aprendo un piccolo squarcio. Dalla ferita sgorgò la sua linfa vitale, di un blu intenso, con sfumature argentate.Cassie guardò quel liquido quasi con reverenza. «Cosa devo fare?» chiese istruzioni.«Bevi!» ordinò lui.La donna si abbassò sul torace del demone, mettendo le mani ai lati del cuscino, poi avvicinò la bocca alla ferita.Alastair chiuse gli occhi, in attesa di assaporare il magico momento in cui la nuova adepta avrebbe succhiato il prezioso liquido che l’avrebbe risvegliata a nuova vita. Non fu il dolce movimento di quelle labbra, tuttavia, che avvertì su di sé, ma un dolore talmente devastante da farlo urlare, preda di sofferenze atroci.Aprì di scatto gli occhi. Dal suo petto spuntava l’elsa cesellata di un pugnale.«Ti presento Luce nelle tenebre, coglione!» sibilò Cassie, l’espressione dura. Ogni traccia di lussuria era sparita dal suo sguardo.«Per tutti i demoni dell’inferno! La cacciatrice rossa?» annaspò Alastair con voce sofferente.«In persona, bello» annuì la donna.«Sei stata maledettamente in gamba, Cassandra!» si complimentò l’immortale, il corpo pietrificato dall’incantesimo emanato dall’arma.«Ti ringrazio, detto da una creatura millenaria è un gran complimento» lo schernì lei. Fece scattare la mano e affondò il pugnale più in profondità, strappando un nuovo gemito di dolore. «Adesso voglio che tu risponda a una domanda. Il modo in cui te ne andrai dipenderà solo da te. Sappi solo che io non ho nessuna fretta».«Che vuoi sapere?» chiese Alastair con voce tirata.«Sei stato tu a uccidere James Rowling?»Il demone la fissò dritto negli occhi per un lungo momento, le sue iridi non avevano nulla di torbido. «No» sospirò.Cassandra inveì, preda della frustrazione. Il bastardo aveva detto la verità, nessuno era in grado di sfuggire al suo dono. O alla sua maledizione, dipendeva dai punti di vista. Sapere quando le persone mentivano non era una bella cosa, soprattutto quando si trattava di amanti. O amici.«Merda!» imprecò. Tutte le ricerche che aveva svolto fino a quel momento non erano approdate a nulla. Si chiese per quanto tempo avrebbe dovuto ammazzare mostri, prima di trovare qualche indizio.Si chinò sul letto ed estrasse il pugnale dal petto del demone, pulendolo con un lembo del lenzuolo.Lasciò Alastair lì, tempo qualche minuto e della creatura infernale non sarebbe rimasto che cenere. Si rivestì con calma, sciacquandosi persino il viso e pettinandosi i capelli. Recuperò il borsone con i vestiti, già pronto nel fondo dell’armadio, e si avviò alla porta.«Ciao stronzo, ci si rivede all’inferno!» lo salutò senza nemmeno voltarsi.Cassandra s’incamminò nell’alba, il prezioso pugnale appartenuto al padre assicurato in un fodero sotto la giacca di pelle.Un altro demone era stato rispedito al mittente, un altro nome era stato depennato dalla lista, ma la strada da fare era ancora lunga, c’erano pesci più grossi da catturare.La prossima tappa sarebbe stata il Texas. Uno dei suoi contatti le aveva detto che Adam Connors, l’Al Capone dei vampiri, era rispuntato a Snyder, e pareva che i suoi succhiasangue fossero particolarmente famelici. Connors era uno dei nominativi che comparivano nel diario di suo padre, una vera primula rossa e un gran figlio di puttana. Gli dava la caccia da due anni ormai, ma fino a quel momento non era ancora riuscita a beccarlo, visto che si spostava in continuazione. Adesso, a quanto pareva, era arrivato il momento della resa dei conti, ma prima doveva perquisire la tana del demone appena ucciso. Sapeva dove si trovava, lo aveva pedinato per settimane prima di uscire allo scoperto. Non dubitava che le avesse detto la verità quando aveva affermato di non essere stato lui a uccidere James, ma non era una cattiva idea spulciare tra le sue cose. Da una perquisizione accurata potevano spuntar fuori cose molto interessanti. A volte bastava un insignificante dettaglio per trovare il bandolo della matassa.Ghignò, soddisfatta. Ogni missione portata a termine l’avvicinava alla vendetta.Non aveva dubbi che prima o poi si sarebbe ritrovata faccia a faccia con il mostro che l’aveva privata dell’affetto più caro. Era stata addestrata per combattere, era pronta. L’avrebbe stanato e avrebbe messo fine alla sua esistenza una volta per tutte.


(tratto da Red Passion- Nemesi)



È l’Arcangelo preferito di Dio, il guerriero per eccellenza.
Alto 1,91 centimetri, pesa 125 Kg e ha più di 3.000 anni.
Capelli biondi lunghi sul collo, fisico possente e due occhi blu-zaffiro che riescono a perforare persino l’anima, non riesce a perdonarsi l’unico momento di debolezza che Lilith è riuscita a estorcergli. Determinato a proteggere la propria figlia, nata dalla sua unione con la regina degli Inferi, dopo aver imposto alla neonata un sigillo magico affida la bambina a James, un fidato amico cacciatore. L’uomo ribattezzerà la neonata Cassandra e la crescerà come fosse sangue del suo sangue, addestrandola nell’arte del combattimento e delle armi. Incarica inoltre l’arcangelo Raphael di vegliare sulla ragazza in incognito.


Michael chiuse la comunicazione e appoggiò il cellulare sul comodino che si trovava vicino al letto. Si mise a sedere sul bordo, passandosi una mano tra i folti capelli biondi. Gli scuri delle finestre erano sbarrati, le tende accostate. All’interno della stanza c’erano solo ombre tetre, ma l’arcangelo riusciva a vedere nitidamente al buio, come un gatto. Si alzò e percorse il breve tratto che lo separava dalla finestra, il parquet era piacevolmente freddo sotto i piedi nudi.Gli ci volle solo un attimo per spalancare i battenti, poi la vista delle montagne dei Carpazi che si stagliavano in lontananza gli tolse il fiato: erano magnifiche. Sebbene fosse lo stesso panorama che vedeva da ventitré anni a quella parte, non si stancava mai di guardarlo. Dio si era superato quando aveva creato l’Universo, e la Terra ne era il fiore all’occhiello.I pennacchi delle cime erano ancora innevati e tali sarebbero rimasti anche durante la primavera e l’estate, perché all’altezza in cui si trovavano la temperatura si manteneva rigida in tutti i periodi dell’anno. Il sole che si stava alzando, a est, aveva già colorato il cielo di rosa e i raggi dorati conferivano al manto nevoso l’aspetto di una cascata di diamanti.La fortezza dove Michael, i suoi fratelli arcangeli, e pochi guerrieri fidati dimoravano, sorgeva in una valle stretta tra due montagne altissime. Era celata a occhi indiscreti grazie alla posizione, che la rendeva pressoché invisibile. Le pareti della catena montuosa risultavano impossibili da scalare, lisce com’erano, e fino a quel momento nessun temerario aveva avuto il coraggio di cimentarsi in una sfida che di sicuro si sarebbe rivelata mortale.“E così dovrà continuare a essere!” pensò lui.La segretezza era troppo importante, andava salvaguardata a tutti i costi. Troppe vite ne sarebbero andate di mezzo altrimenti. Non poteva permettersi un altro sbaglio. L’unico che aveva commesso rischiava ancora di distruggere sia il Cielo che la Terra, con tutte le creature che ne facevano parte.“No, Lilith non vincerà questa volta!” rifletté, determinato.Come sempre, pensare alla regina degli Inferi e al torto che aveva subito lo riempì di rabbia. Chiuse gli occhi e inspirò a fondo per cercare di calmare i battiti accelerati del cuore. Aprì e richiuse i pugni con forza, tendendo i muscoli e facendo scricchiolare le nocche, ma non servì a nulla. Ancora una volta i ricordi lo ghermirono, trasportandolo a ventitré anni prima.Si era lasciato catturare come un pivellino. Lilith aveva saputo ordire magnificamente la trappola, isolandolo dai fratelli nel corso di una sanguinosa battaglia.Senza nemmeno rendersene conto si era ritrovato imprigionato da catene spesse quanto un braccio. Si era dibattuto come una furia, strattonando, spingendo, tirando, ma era stato tutto inutile. Quei ceppi d’argento erano stati costruiti da mani diaboliche e ben presto avevano imbrigliato tutti i suoi poteri, rendendolo del tutto inerme.Era stato condotto al cospetto di Lilith, nel regno infernale, debole come un comune mortale. Ricordava ancora l’espressione gongolante, lo scintillio di quegli occhi rossi che vedevano a portata di mano la vendetta tanto agognata. Tutto, nella sua mente, era vivido come fosse accaduto il giorno prima. Ogni minimo dettaglio, ogni parola, ogni gesto. Chiuse gli occhi e ancora una volta riudì quella voce.«Michael, il favorito di Dio» esclamò la sovrana dell’Inferno con il suo timbro roco, sensuale, mentre si avvicinava all’arcangelo.Protese la mano per sfiorare le splendide ali bianche ancora spiegate, eccitata, ma la sua cupidigia si trasformò ben presto in un urlo di dolore. Le candide piume le avevano tagliato la carne in profondità e un liquido cremisi aveva preso a sgorgare dai polpastrelli.«Non puoi toccare qualcosa di così puro con quelle mani empie» ribatté l’essere alato con un ghigno vittorioso.Lilith per tutta risposta si portò le dita dalle unghie dipinte di nero alla bocca e leccò in maniera oscena il suo stesso sangue, sigillando con la saliva le ferite.«Non mi interessano le tue ali, Michael, voglio qualcos’altro da te» dichiarò con un sorriso scaltro.«Di qualunque cosa si tratti, non otterrai nulla da me» ribatté l’essere celeste.Lilith si prese qualche istante per ribattere, poi: «Conosci Elijah, vero Michael?» tornò a dire.Al cuore dell’arcangelo mancò un battito e un atroce sospetto cominciò a farsi strada nella sua mente.«Non occorre che ti disturbi a rispondere, il pallore del tuo volto è abbastanza eloquente» commentò Lilith, tronfia. «Sei qui per questa…» affermò muovendosi e prendendo da uno scomparto del tavolino una pergamena, quindi gliela sventolò davanti agli occhi. «È stata vergata con il sangue del profeta. Grazie a questa porterò la rovina nel mondo. Sono sicura che conoscerai già il suo contenuto, ma voglio ugualmente rinfrescarti la memoria» dichiarò cominciando a declamarne i versi.

E verrà il tempo in cui la signora del fuoco
Incontrerà l’angelo dell’aria,
sotto l’egida oscura della brama e della lussuria.
Gli sguardi s’accenderanno e nella passione
si compirà il loro destino.
Concepiranno il distruttore,
colui che ogni barriera potrà attraversare.
Non avrà nessun pegno da pagare
per varcare le soglie del paradiso
e discendere nelle viscere dell’inferno,
le fiamme non potranno nulla contro di lui
e i cherubini abbasseranno le spade al suo cospetto.
Il fato guiderà la sua mano,
la morte e l’inganno avrà come compagni
quando assurgerà al regno dei cieli
e al suo volere lo piegherà…

«Che ne è stato del ragazzo?» ruggì Michael quando Lilith ebbe terminato di leggere, tendendo le catene in preda all’ira.«Era stato nascosto bene, lo ammetto, ma alla fine i miei adepti sono riusciti a stanarlo. Peccato per quei poveri angioletti che gli facevano da cani da guardia» dichiarò, atteggiando la bocca in un finto broncio dispiaciuto.«L’hai ucciso, non è così?»«Oh no, non gli ho torto nemmeno un capello, io!» affermò la donna con una risata. «Ma sai, era restio a confidarsi, quindi hanno dovuto persuaderlo. Ci sono voluti tre giorni, ma alla fine ha cantato come un usignolo. È morto subito dopo, lo sforzo gli è stato fatale».«Maledetta assassina, giuro che ti conficcherò la mia spada nel petto, non appena ne avrò l’occasione» promise l’arcangelo.«Sei un povero illuso, Michael. Da qui uscirai solo per assistere alla rovina della tua specie. Distruggerò il tuo Dio e tutte le schiere celesti. Farò della Terra il mio regno incontrastato e gli umani mi venereranno come loro unica regina. Non avrai più un Paradiso a cui ritornare, rassegnati!» gli sibilò sulla faccia.«Sei tu che ti illudi. Il tuo piano non si realizzerà mai!» replicò lui, riservandole uno sguardo sprezzante.«Si sta già realizzando, mio caro» sostenne Lilith scoppiando in una risata astuta.Dopo avvenne tutto in un attimo.La vampira immortale si squarciò un polso con i canini appuntiti e avvicinò la ferita alla labbra di Michael.Quest’ultimo, preso di sorpresa, non poté evitare che qualche goccia di sangue demoniaco gli finisse nella bocca. Sputò fuori il liquido, ma il danno era già fatto. Il fluido scarlatto che gli era colato nella gola stava cominciando già a fare effetto. Il sangue dei demoni era un potente afrodisiaco per i mortali, ma per gli angeli era molto peggio: li portava alla completa perdita della ragione.Ovviamente avveniva la stessa cosa nel caso contrario.Michael cacciò un urlo disumano, le pupille si rivoltarono all’indietro, lasciando al loro posto solo la sclera, il corpo venne scosso da violenti spasmi.Quando tornò a fissare Lilith, gli occhi dell’arcangelo avevano lo stesso colore del sangue. «Me la pagherai per questo! Che ci vogliano mesi, anni o secoli, un giorno ti ucciderò!» ringhiò.«Mh… mi piace tutta questa furia» scoppiò a ridere la signora degli Inferi, divertita, dopo di che gli posò una mano sulla coscia, facendola scorrere pigramente avanti e indietro.Michael rabbrividì a quel tocco: la sua pelle era diventata sensibilissima. “Devi resistere!” si impose, i denti talmente serrati che le mandibole gli facevano un male cane.«Ti piace, tesoro? Vorresti sentire le mie labbra intorno a te?» sussurrò Lilith con una voce carica di sensualità, gli occhi rossi brillanti.Lui ansimò a quelle parole. Scosse violentemente il capo, come volesse liberare il cervello dalla nebbia che gli ottenebrava la ragione, ma lei non glielo permise e l’istinto prese il soppravvento. ’eco di una risata vittoriosa saturò la stanza e riportò bruscamente Michael alla realtà.«Che cosa ho fatto?» mormorò l’arcangelo, inorridito.«Tutto quello che volevo tu facessi!» esclamò la donna, trionfante. «Porto in grembo tuo figlio, lo sento già mettere radici dentro di me. La profezia si è compiuta!»«Non te lo lascerò fare, maledetta! Non userai quell’innocente per i tuoi turpi crimini».«Scommettiamo? Succhierà dal mio seno malvagità e inganno, tu non potrai fare proprio nulla per impedirlo» dichiarò la signora dei demoni sollevandosi da lui e scendendo dal letto. Infilò una vestaglia di seta, senza curarsi di allacciarla, poi batté le mani.Qualche istante dopo una coppia di soldati entrò nell’alcova. «Portatelo nelle segrete» ordinò. «Berith saprà cosa fare di lui».«Ai vostri ordini, regina» esclamarono all’unisono le  guardie.Michael venne trascinato in piedi in malo modo, le catene tintinnarono quando i demoni avvolsero i ceppi intorno alle sue braccia nerborute per trascinarlo via.L’arcangelo si ribellò, riuscendo ad atterrare uno degli orrendi esseri. L’altro gli fu subito alla gola, stringendogli i blocchi d’argento intorno al collo. Solo l’intervento della loro padrona mise fine alla punizione.Dopo aver rivolto una lunga, penetrante occhiata alla sua carceriera, Michael venne condotto in una segreta sotterranea.Quella divenne la sua casa da quel momento in avanti. Venne sottoposto a torture indicibili, che avrebbero spezzato uno spirito meno forte del suo. Berith era un demone fantasioso, ogni giorno inventava per lui un passatempo diverso. Il Duca, così lo chiamavano, era uno dei settantadue demoni più potenti dell’Inferno e aveva il comando di ventisei legioni.Michael spesso aveva desiderato di perdersi nei meandri della pazzia, almeno avrebbe smesso di provare quel dolore insopportabile, ma non era la pena fisica il male peggiore. No, lui non riusciva a pensare ad altro che alla creatura che presto avrebbe visto la luce. Non avrebbe avuto scampo dopo il lavaggio del cervello di Lilith. L’unica alternativa era portare via da lì quell’innocente, ma il tempo passava e lui non era riuscito ancora a liberarsi, e a quel punto dubitava che ci sarebbe mai riuscito.Il tempo smise di avere importanza, i giorni passarono e così pure i mesi, ma nulla sollevò la sua anima, ormai invasa dal dolore.Un giorno la sovrana degli Inferi varcò la soglia della sua cella. Quando lui alzò lo sguardo, il volto tumefatto e il corpo straziato, dopo la quotidiana razione di violenze, gli ci volle qualche attimo per mettere a fuoco la splendida figura di Lilith. Era bellissima: esattamente come la ricordava. «Che ci fai qui, meretrice? Sei venuta a goderti lo spettacolo?» trovò la forza di gracchiare.«Beh, vedere che godi di ottima salute mi riempie di gioia» ridacchiò la femmina, allegra. «Ma sono qui per un’altra ragione» continuò.«Parla in fretta e vattene!» le ingiunse, rude. Non riusciva a tenere gli occhi aperti per più di qualche istante. Berith quel giorno si era accanito sulla sua faccia con sadico piacere e il viso era gonfio come una zampogna, oltre a fargli un male del diavolo.«Leyla, portala qui!» ordinò Lilith voltandosi verso la porta spalancata. Al comando un’ancella, che fino a quel momento era rimasta indietro, entrò nella prigione, recando alla sua signora un fagotto candido.La vampira prese il minuscolo fardello tra le braccia, poi si avvicinò all’arcangelo, scoprendo un lembo della copertina.«Ti presento tua figlia, Nemesi!» annunciò.Michael sollevò di scatto la testa. Quando il suo sguardo si appuntò sul piccolo esserino che giaceva addormentato in braccio alla madre, qualcosa si smosse dentro di lui. La neonata doveva avere solo pochi mesi ed era semplicemente incantevole. Sembrava così innocente nel sonno, ma avrebbe perso quella purezza molto presto.«Se il tuo spirito materno vale qualcosa, liberami e lasciamela, non condannarla a una vita di menzogne e crudeltà» mormorò, rauco.«Tu sei pazzo! Credi davvero che dopo tutta la fatica che mi è costata, io rinunci a lei? Andiamo Michael, dovresti conoscermi ormai!» ribatté Lilith, sprezzante.«I miei fratelli riusciranno a trovarmi prima o poi, maledetta. Quando quel giorno arriverà, non ci sarà buco, fossa o pertugio in cui potrai nasconderti, te lo garantisco» sibilò Michael.«Odio darti ragione, ma quanto dici è vero. Pare che i tuoi si stiano organizzando per una sortita. I miei informatori mi hanno rivelato che quel vampiro rinnegato, Marcus, e alcuni dei suoi compagni traditori, vogliano sferrare un attacco a sorpresa per liberarti. Peccato che quando arriveranno qui troveranno solo Berith ad accoglierli. Noi saremo già lontani!»«Che hai intenzione di fare?»«Appena il sole calerà traslocheremo, arcangelo. Affiderò Nemesi a una persona di mia fiducia. I tuoi fratelli non riusciranno mai a trovarla. In quanto a te, il Duca ti si è talmente affezionato che, dietro suo esplicito desiderio, ho deciso di affidarti alle sue cure. Ti accompagnerò di persona alla sua magione, vedrai che ti troverai bene!» sghignazzò, tronfia.Il tragitto che, poche ore più tardi, li condusse fuori dalla dimora di Lilith, non fu agevole. Michael camminava a fatica, le membra stremate dalla lunga prigionia e dalle troppe torture subite. I carcerieri lo strattonarono e lo riempirono di insulti, ma niente riuscì a fargli aumentare l’andatura. Il suo incedere era penoso nella penombra in cui erano immersi. Le catene, che ancora gli legavano i polsi e le caviglie, stridevano sinistre nel silenzio e il loro rumore rimbombava negli oscuri tunnel che percorsero.La regina degli Inferi camminava appena dietro le due guardie che aprivano il cammino, stringendo la bambina al seno. Il resto della sua truppa era ammassato dietro il prigioniero. Solo una volta volse il capo in direzione dell’arcangelo, ma non fu di certo per sollevarlo dall’agonia.«Sei stanco, tesoro?» lo punzecchiò. «Desideri un po’ d’acqua?»A un suo cenno uno dei soldati si avvicinò a Michael, afferrandolo per i capelli. Gli tenne sollevato il capo, poi gli ficcò in gola il beccuccio della borraccia. Quando il liquido acido gli bruciò la gola, Michael si liberò a fatica dalla morsa del demone, poi si accasciò al suolo, prendendo a tossire in maniera convulsa e sputacchiando fuori l’aceto che era riuscito a non ingoiare.Non gli diedero il tempo di riprendersi, se lo trascinarono dietro servendosi dei ceppi, incuranti dei suoi gemiti di dolore quando il corpo urtava gli ostacoli disseminati lungo il cammino.Fu un sollievo per l’arcangelo vedere un barlume di luce comparire davanti a loro. Quel chiarore gli infuse un briciolo di speranza e gli rallegrò il cuore, nonostante si trattasse della debole luce crepuscolare. L’eterna penombra che regnava nelle profondità dell’Inferno l’aveva fiaccato anche moralmente e la sua mente era in bilico ormai da troppo tempo. Il passo verso la pazzia era breve, e lui ne era conscio.Raggiunsero l’uscita e furono investiti da una nube di fumo pestilenziale. L’odore di zolfo e l’umidità gli si appiccicarono addosso. Michael iniziò a tossire di nuovo, in ginocchio sulle pietre laviche che costellavano quel posto infame.Lilith fu costretta a fermarsi stavolta.«Non vorrai dirmi che sei stanco! Hai poltrito per mesi dentro quella cella e adesso non riesci a fare quattro passi che già crolli? Mi aspettavo qualcosa di più dal preferito di Dio» lo aggredì con rabbia. «Alzati! Non ho più tempo da perdere».L’arcangelo ansimava, accucciato a quattro zampe: era stremato. I lunghi capelli biondi gli ricaddero davanti al viso e il sudore gli colò dalla fronte, gli occhi brucianti per il fumo e le esalazioni mefitiche.«Ho sete…» bisbigliò con un filo di voce. Aveva la gola riarsa e un assoluto bisogno di riposo, ma i demoni lo derisero e qualcuno gli rifilò un calcio per farlo alzare.La piccola emise un gemito che si trasformò in un pianto nel giro di pochi secondi, distogliendo l’attenzione di Lilith da Michael.«Dobbiamo sbrigarci!» proferì la regina facendo un passo indietro. «Rialzatelo e rimettiamoci in marcia» intimò alle guardie.Aveva appena finito di pronunciare quelle parole quando si ritrovarono circondati. Gli arcangeli discesero dal cielo e piombarono sulla comitiva mentre la pattuglia dei vampiri di Marcus sbarrava la strada ai demoni. Le spade infuocate apparvero tra le mani delle creature alate e lacerarono le carni dei nemici con ferocia e precisione, mentre l’aria si riempiva di grida.Lilith cercò di fuggire, doveva assolutamente mettere in salvo la piccola Nemesi: non poteva farla cadere nelle mani avversarie. Un cherubino le si parò di fronte e le ostruì ogni via di fuga. La vampira arretrò, richiamando l’attenzione di alcuni dei fidi armigeri affinché le facessero da scudo.Nel clangore della battaglia, Michael rialzò il volto tumefatto e stanco. A fatica si tirò in piedi e si appoggiò a un masso, restando a osservare il duello che gli infuriava di fronte. Raphael, l’arcangelo guaritore, lo raggiunse non appena ebbe avuto la meglio su una delle fiere demoniache che stava affrontando. «Michael!» esclamò atterrandogli davanti. «Finalmente!» continuò stringendolo in un abbraccio fraterno. Il diletto di Dio sospirò, accasciandosi tra le braccia del fratello. «Dobbiamo fermare Lilith!» riuscì a proferire con un filo di voce. «Non possiamo lasciarle la bambina, non deve restare tra le braccia del male».Raphael si voltò. Azrael, l’arcangelo della morte, aveva raggiunto Lilith.La regina dei demoni sibilava al suo indirizzo, rabbiosa. Le sue parole oscene rimbombavano nell’aria caliginosa, ma Azrael non fece una piega, lo sguardo duro e un ghigno determinato sul volto.Due demoni si slanciarono in avanti, insidiando il nemico alato. Avevano le spade sguainate e gli scudi fermi davanti al petto, gli occhi vermigli carichi di furia e di odio.Raphael tornò a rivolgere la propria attenzione al compagno ferito. «Di quale bambina parli?» chiese.«Mia figlia!» spiegò l’altro in un soffio.L’essere celeste impallidì, scioccato. Gli ci volle qualche istante per riaversi dalla sorpresa, poi sollevò l’arcangelo tra le braccia e si avvicinò alla regina degli Inferi.Azrael intanto stava fronteggiando i due tirapiedi della vampira con la sua falce. Le magnifiche ali nere erano spiegate e lo sguardo implacabile teneva Lilith inchiodata alla parete di pietra contro la quale si era rifugiata.Raphael lasciò per un attimo Michael al riparo di un grosso macigno che spuntava dal terreno, poi andò a dar man forte ad Azrael, portandosi sul fianco della donna ed estraendo la spada.Il signore della morte abbassò la micidiale falce e recise la testa del demone più vicino; l’arcangelo guaritore fece lo stesso con il suo avversario. Si avvicinarono alla femmina senza staccarle gli occhi di dosso. Lilith gridò, inviperita, richiamando a gran voce la truppa, che accorse lesta.Raphael e Azrael fecero roteare le armi come se fossero un prolungamento dei loro arti, recidendo teste demoniache con movimenti rapidi e precisi.Lilith, approfittando del fatto che i due arcangeli erano impegnati a difendersi, cominciò ad allontanarsi piano piano dal luogo del combattimento.Michael non la perse di vista nemmeno per un secondo. Raccogliendo le ultime forze si tirò in piedi e la raggiunse con rapide falcate, ignorando il dolore, quindi strattonò Lilith verso di sé, facendo tintinnare le catene. «Dammela!» le intimò, fissandola con determinazione.  Marcus, il vampiro, che combatteva poco più oltre, girò la testa, attratto dal suono argentino dei ceppi. «Cazzo!» imprecò, rendendosi conto che Michael stentava a reggersi in piedi. Bastò un cenno a uno dei suoi uomini per coprirgli la ritirata, quindi corse in direzione dell’amico, schivando abilmente i fendenti che volevano frenare la sua corsa.«È mia! Non te la lascerò mai!» strillò Lilith stringendosi la piccola al petto mentre lo stiletto che impugnava scattava in avanti.Michael barcollò all’indietro per evitare l’affondo.La signora dei demoni stava per colpire di nuovo quando sentì la punta acuminata della lama di Marcus scalfirle la gola eburnea.Gli occhi di Lilith fiammeggiarono in risposta al dolore acuto che quel rovente ferro d’argento le stava infliggendo. Con uno scatto repentino scivolò all’indietro, sottraendosi al supplizio, ma fu bloccata dalla massiccia figura di una delle sue guardie, che stava fronteggiando Azrael.Michael colse quell’attimo di distrazione per strappare la figlioletta dalle braccia della madre.Raphael, accorso in quell’attimo, fece appena in tempo a sorreggerlo prima che stramazzasse al suolo.«Andiamocene!» gridò Michael. L’arcangelo guaritore rinfoderò la spada e cinse il suo compagno con entrambe le mani, poi sbatté le ali e si sollevò in aria senza alcuna fatica mentre Marcus copriva la loro ritirata.L’essere alato si librò sopra la battaglia che infuriava tra le fumarole ai piedi del Vesuvio e si allontanò.Lilith imprecò e si lanciò nel combattimento, mietendo vittime tra i vampiri ribelli che stavano dando man forte alle creature celesti, ma questo non bastò a placare la sua ira furibonda.«Me la pagherai, Michael!» urlò al cielo ormai deserto con quanto fiato aveva in gola.Il favorito di Dio abbandonò la testa contro il petto di Raphael. Il vento gelido gli sferzava il volto con forza. Strinse la bambina contro il suo corpo, affinché non patisse il freddo mentre erano in volo. Le  membra affaticate abbisognavano di riposo e di cure, ma la sua determinazione era inflessibile: Nemesi aveva la priorità. «Com’è potuto accadere tutto questo?» chiese Raphael, inorridito. «È una blasfemia».«Mi ha fatto bere il suo sangue, fiaccando le mie difese con la lussuria» proferì il compagno iniziando a singhiozzare. «La carne è debole, fratello, e io ho ceduto alle sue lusinghe come un comune mortale! Non merito nessun perdono per ciò che ho fatto» biascicò tra le lacrime.«Che intendi fare con lei?» domandò l’arcangelo guaritore.«La nasconderò, non posso fare diversamente al momento» dichiarò Michael. «Portami da James» gli sussurrò mentre la sua voce roca e sottile si disperdeva tra i turbini di vento.«Sei sfinito, hai bisogno di riprenderti. Non possiamo rimandare almeno a domani?» si oppose Raphael.«No! Lilith la cercherà, voglio che lei sia al sicuro. Io posso aspettare» rispose il fratello.L’altro non replicò, puntò verso l’alto e in un lampo sparirono tra le nuvole. La piccola Nemesi, ancora avvolta nella candida copertina, riposava tranquilla, appoggiata al petto del padre.«Ma quale onore!» esclamò James, sorpreso, quando si ritrovò i due esseri celesti nel giardino retrostante la sua abitazione. Si stava bevendo una birra, rilassato sulla vecchia sedia a dondolo di sua madre, quando improvvisamente Raphael e Michael erano piombati giù dal cielo come saette. «L’arcangelo Mike in persona» disse alzandosi e scrutando l’amico mentre gli si faceva incontro. Si conoscevano da tempo e tra loro si era instaurata una bella amicizia. «Sono anni che non ci vediamo vecchio mio, e adesso mi capiti qui ridotto come un colabrodo!» disse l’umano mettendo un braccio attorno alle spalle dell’arcangelo e aiutando Raphael a farlo accomodare dove prima era seduto lui. «Chi ha avuto la sfrontatezza di usarti come punch ball?» lo interrogò.«Lasciamo stare i convenevoli e non fare lo sbruffone, James, ho bisogno del tuo aiuto» enunciò debolmente Michael.James rimase di sasso quando l’arcangelo scoprì un lembo della copertina e mostrò cosa celava. «E questo tesoro chi sarebbe?» domandò.«È mia figlia!» annunciò l’angelo guerriero con voce arrochita dalla fatica. Dopo non aggiunse altro, guardò il piccolo esserino e sussurrò una lenta litania, quindi le impose la mano destra sopra la testa. A quel contatto un fioco bagliore avvolse la bimba, che spalancò gli occhi, come se volesse assistere a ciò che accadeva.La voce dell’alato si fece bassa e fonda. Raphael, rendendosi conto che il fratello era ormai stremato, lo aiutò a sostenere la piccola. La luce s’intensificò per un attimo, poi svanì nel nulla com’era comparsa. «Devi tenerla con te e vegliare su di lei, insegnale tutto ciò che sai e fanne una combattente» bisbigliò sospirando pesantemente. «La cercheranno, quindi non stare mai troppo nello stesso posto, spostati spesso. Io ho fatto per lei ciò che potevo, ma la protezione di cui l’ho dotata non durerà in eterno. Svanirà quando il periodo di transizione sarà giunto al termine» finì, porgendogli la bambina.«Ma sei sicuro di ciò che fai? Io non sono la persona più giusta per occuparmi di lei. Non mi sono nemmeno mai sposato per non esporre un’eventuale famiglia al pericolo» disse l’umano, dubbioso, inarcando un sopracciglio, ma prese ugualmente la neonata tra le braccia.«Mi fido ciecamente di te, James, ti affiderei la mia vita» esalò Michael. Il cacciatore soffermò lo sguardo sulla bambina, poi le accarezzò una guancia. Era morbida al tatto, come il velluto. «Chi è la madre?» domandò, curioso.«Lilith!» annunciò l’arcangelo.James sbiancò. Stava per replicare, allarmato, quando Michael s’accasciò, stremato.Raphael impose la mano sul capo del fratello guerriero, per infondergli un po’ di energia. Questi gli rivolse un’occhiata grata, poi tornò a rivolgersi al mortale. «Abbine cura. Non rivelare né a lei, né ad anima viva quello che sai, per nessun motivo. Lo faremo noi a tempo debito. Limitati ad allevarla come si conviene» proferì Michael. «Ciò che mio fratello ha fatto ricadrà su tutti noi, ma non possiamo ancora conoscere le esatte conseguenze di quanto è accaduto» dichiarò Raphael prendendo la parola. Un velo di preoccupazione offuscò i suoi bellissimi occhi color topazio. Incrociò per un attimo lo sguardo del guerriero diletto da Dio, il primo angelo che il Signore aveva creato.Michael distolse il proprio, pieno di vergogna.Raphael strinse leggermente la spalla del compagno con una mano, per dimostrargli la sua solidarietà. Dopo, pronunciate alcune parole in una lingua sconosciuta, si fece comparire tra le  mani uno stiletto. L’impugnatura era sottile, cesellata. Lo fece scattare e la lama catturò per alcuni istanti la luce morente del sole, facendo scintillare i segni e le scritte che la ricoprivano.«Usalo fino a quando lei non sarà pronta. È intriso dello stesso potere che anima le nostre spade. Con questo potrai uccidere le creature infernali che d’ora in avanti s’aggireranno per il mondo alla vostra ricerca» continuò porgendogli l’arma.James guardò il pugnale. «Se mi date persino i vostri gingilli devo essere nella merda fino al collo. Dobbiamo aspettarci una guerra?» domandò aggrottando la fronte.«I tempi che verranno saranno bui, il male solleverà la testa e pretenderà le nostre vite. Ci aspettiamo di tutto, James, dobbiamo stare all’erta» replicò Michael.«Non mi hai ancora detto come si chiama!» esclamò l’uomo dopo qualche istante di pensoso silenzio.«Il suo nome è Nemesi» rispose l’arcangelo alzandosi in piedi, ma venne colto da un capogiro e Raphael dovette sostenerlo.James sospirò, chinando la testa. Richiuse il coltello e se lo infilò in una tasca della giacca, poi scrutò la pargoletta che teneva tra le braccia. Aveva un viso roseo e paffuto e un ciuffo di capelli rossi come il fuoco le ricadeva sulla fronte.«Nemesi! Che nome assurdo per un frugoletto come te. D’ora in avanti ti chiamerò Cassandra, come la mia vecchia. Speriamo che da lassù lei ti possa proteggere, con Lilith non c’è da scherzare» dichiarò facendole una carezza.I fratelli arcangeli sorrisero, sollevati: la questione era sistemata. Raphael prese Michael tra le braccia e si sollevò in volo, svanendo in un baleno nell’immensa volta infuocata.Michael abbandonò la sua postazione davanti alla finestra, tornando a stendersi sul letto. Il suo pensiero era fisso sull’amico. Aveva condannato James a morte certa quando gli aveva affidato sua figlia, ma come avrebbe potuto fare altrimenti? Era l’unico di cui si era potuto fidare, l’unico che sapeva essere così forte da tener testa a quel serpente a sonagli di Lilith.Nel corso degli anni si era ripetuto più volte che si era trattato di un sacrificio necessario, che era stata l’unica cosa sensata che aveva potuto fare, ma ancora non riusciva a dimenticare l’ultima volta che aveva visto il cacciatore, poco prima che egli rendesse l’anima a colui che l’aveva creato. Aveva il corpo devastato dalle ferite e uno squarcio slabbrato in direzione del fegato.«Perdonami!» aveva sussurrato quando gli si era inginocchiato al fianco per accarezzare quel volto insanguinato.James gli aveva rivolto una specie di sorriso, poi aveva afferrato il braccio dell’arcangelo con una forza incredibile, seppure fosse in punto di morte. «Non rimpiango neppure uno dei momenti che ho trascorso con lei. Non avrei potuto volerle più bene nemmeno se fosse stata sangue del mio sangue» aveva mormorato con voce rantolante. «È al sicuro? Raphael è con lei?» aveva domandato, teso.«Come sempre!» aveva annuito Michael.«Questo è quello che conta davvero» aveva sospirato James, più tranquillo.«Tieni duro fino al loro arrivo. Raphael ti guarirà» aveva dichiarato l’arcangelo continuando a premere una mano sulla ferita all’addome, dalla quale stillava sangue in abbondanza.«È troppo tardi per me, lo sappiamo tutti e due. Inoltre Cassie non è ancora pronta al ruolo che l’aspetta in questa guerra. Io sono sacrificabile, lei no! Quando verrà il momento dille solo che l’ho amata più della mia stessa vita e…» A quel punto si era fermato, il petto scosso da spasmi convulsi. Aveva conficcato le dita nel braccio dell’amico mentre esalava l’ultimo respiro.Michael non aveva potuto fare altro, per lui, se non accompagnarlo nelle braccia della morte.Quando Azrael gli era comparso al fianco, lacrime amare avevano preso a rigargli il volto.«Dobbiamo andare, fratello!» aveva mormorato l’angelo oscuro poggiandogli una mano sulla spalla.Quella era stata la prima e l’ultima volta che Azrael aveva permesso a uno dei suoi fratelli di accompagnare un’anima nel suo ultimo viaggio.Michael sospirò, passandosi stancamente una mano tra i folti capelli biondi. Mancava poco ormai, i tempi erano maturi.Presto si sarebbe ritrovato faccia a faccia con sua figlia. (tratto da Red Passion)



Scheda tecnica di Sophie Cohen MacTire...

Nome completo: Sophie Ellen Cohen Mactire
Età: 24 anni
Razza: Lycan
Altezza: 175 cm
Aspetto fisico: capelli biondo chiaro e occhi azzurri, fisico atletico e tonico

Cresciuta da una coppia di umani studiosi di animali, scopre alla loro morte di essere stata adottata. Parte allora per la Scozia, sua terra natia, per conoscere le sue vere origini. E' in realtà figlia di Malcom e Isobel Mactire, coppia alpha di un branco di lycan delle Highlands, una specie di mutaforma che hanno ricevuto da misteriosi druidi celti il potere di trasformarsi in lupi a piacimento. Entra a far parte del clan con la sua prima trasformazione, un rito di passaggio che per tradizione si effettua nelle notti di luna piena, ed è allora che scopre il suo destino: è un alpha, cioè per istinto è dotata del carisma che la rende un capobranco, come suo padre. Decide quindi di realizzare il sogno dei suoi genitori, riunire tutti i branchi di lycan per sconfiggere colei che li perseguita da secoli, Lilith l'Oscura. Come tutti i lycan è dotata di grande senso di lealtà, capacità di adattamento all'ambiente straordinarie, oltre a forza e velocità sovrannaturali. Incontra in Scozia Marcus Macbride, highlander vampiro alleato degli angeli, e riconosce in lui il suo compagno per la vita.

CHI SEI - PARTE PRIMA

Il telefono che squillava, in piena notte, mi fece sobbalzare. Con gli occhi ancora assonnati, guardai la sveglia sul comodino: le tre di notte."Porca miseria! Chi chiama a quest'ora?" borbottai, la voce impastata. Schiacciai il tasto verde del cellulare. "Pronto?" dissi, con tono infastidito.La voce femminile, dall'altro capo del ricevitore, era pacata, tranquilla, ma sulle prime non mi riuscì di afferrare il senso delle parole che mi stava rivolgendo. Ma fu questione di pochi istanti. Quando il mio cervello registrò la frase: "...i suoi genitori... un incidente...", la nebbia abbandonò la mia mente.Strinsi con forza il telefonino. "Dove li hanno portati?" chiesi febbrile."Al St Andrew's" rispose la donna che si era qualificata come la dottoressa Miller.Impiegai solo pochi minuti a vestirmi, poi presi le chiavi del mio appartamento e della macchina ed uscii in volata.Un quarto d'ora più tardi varcavo le soglie dell'ospedale. Subito dopo essermi presentata al banco informazioni, l'infermiera chiamò all'interfono la dottoressa Miller, che arrivò quasi immediatamente."Come stanno i miei genitori?" le chiesi presentandomi a malapena."Mi rincresce doverglielo dire, signorina Cohen, ma suo padre è deceduto pochi istanti fa" mi sentii annunciare.Se mi avessero pugnalato il petto, non sarebbe sgorgata fuori una sola goccia di sangue, perché ormai mi si era congelato nelle vene."No, non è vero!" trovai la forza di ribattere, gli occhi azzurri che sprizzavano fiamme."Mi dispiace Sophie, ma è la verità!" riprese la dottoressa posando una mano sulla mia spalla, comprensiva.Mi si riempirono gli occhi di lacrime al pensiero che mio padre non c'era più, ma non mi concessi il lusso di piangere, o sarei crollata. Mia madre aveva bisogno di me."Mia madre come sta?" domandai, la voce roca."La stanno ancora operando, ma non le nascondo che le sue condizioni sono critiche. Ha una forte emorragia interna e ha bisogno di molto sangue" mi informò."E allora cosa aspettate? Fatele delle trasfusioni, Cristo!" proruppi alzando il tono della voce."Vede, Sophie, il fatto è che la signora Cohen ha un gruppo sanguigno rarissimo e al momento siamo a corto di sacche. Le ultime tre le stanno utilizzando per l'intervento. Abbiamo già allertato gli ospedali vicini, speriamo solo che ne abbiano!" disse la dottoressa."Datele il mio, tanto quanto gliene serve!" dichiarai alzandomi la manica della maglietta e pronta io stessa a infilarmi quel maledetto ago nel braccio."D'accordo, non perdiamo altro tempo allora, venga con me. Dobbiamo fare delle analisi" mi invitò la Miller guidandomi verso una stanza.Due ore e due sacche di sangue prelevate dopo, ero ancora seduta a una delle sedie della sala d'attesa. Mia madre non era ancora uscita dalla sala operatoria ed avevo i nervi tesi allo spasimo.Stavo per alzarmi e andare a domandare notizie, quando la porta si aprì e ne venne fuori la dottoressa.Non mi piacque affatto la sua espressione e avevo paura di sentire quello che nei suoi occhi era così palese e inevitabile ."Mi dispiace Sophie, abbiamo fatto tutto il possibile, ma le condizioni della paziente erano troppo gravi!" annunciò la donna, confermando i miei peggiori sospetti."Il mio sangue non è servito a nulla allora? Non sono riuscita a salvare nemmeno lei?" sussurrai con un filo di voce.Il medico abbassò gli occhi, sfuggendo il mio sguardo."Cosa non mi sta dicendo?" la interrogai.Lei tentennò, evasiva."La prego, non ho voglia di fare giochetti in questo momento. Me lo dica e facciamola finita!" ribattei categorica."D'accordo, come vuole lei, Sophie! Analizzando il suo sangue abbiamo scoperto che era incompatibile con quello dei signori Cohen. Loro non potevano essere i suoi genitori biologici!""Ma che cazzo sta dicendo?" gridai saltando su dalla sedia come se qualcuno mi avesse punto il culo con uno spillone acuminato."La prego, si calmi. Comprendo la sua reazione, ma..."La dottoressa tentò di tranquillizzarmi, ma io ero ormai al di là di ogni tentativo di persuasione. Sentivo il sangue ribollire nelle vene e una rabbia cieca, da qualche parte dentro di me, mi stava dilaniando le viscere. A un certo punto un solo pensiero rimbombò nella mia mente confusa dal dolore: “Corri!” La corsa era sempre stata per me un’attività rilassante, il mezzo per sfogare frustrazione e stress post esame. Papà mi chiamava gazzella per quanto ero veloce e resistente. Spesso la domenica mattina lo lasciavo indietro, senza fiato, dopo solo un paio di chilometri. Ma stavolta il mio corpo non desiderava godere della frizzante aria mattutina o della quiete di Adelaide durante le prime ore del giorno, né della sensazione di libertà e leggerezza che mi dava il mio passo veloce ma regolare. Quella era una fuga disperata dalla morte e dalla delusione, dalla rabbia e dall’incertezza. Abbandonai l’ospedale ignorando la dottoressa che mi chiamava. Nella mia corsa verso l’uscita il personale ospedaliero mi guardò, infastidito, ma io riuscivo solo a pensare ai miei genitori senza vita su quei maledetti letti della camera mortuaria. Non mi concessi di pensare a come dovevano essere stati terribili i secondi prima dell’impatto della loro auto contro il guardrail, né se mia madre avesse sofferto nei suoi ultimi istanti di lotta inutile contro la morte. Scappai anche da me stessa, che non avevo potuto fare niente per salvarli, io che non ero nemmeno la loro vera figlia.Non mi fermai mentre dagli ultimi pub aperti proveniva musica per gli irriducibili disposti a star svegli fino alle 5 del mattino. Non mi fermai mentre gli odori della città che si svegliava mi invadevano le narici. Ogni suono e odore mi arrivava netto, lo percepivo con i sensi, ma il mio cervello non riusciva a registrarne la natura o la fonte, tanto mi sentivo anestetizzata a causa della rabbia e del dolore.Non so quanti chilometri percorsi, ma alla fine mi fermai. Il mio respiro era regolare, lontano dall’affanno o dalla fatica. “Perché non sono stanca?” pensai, sconvolta dalla reazione del mio corpo. Fu allora, che guardandomi intorno, mi accorsi di quel colore vivido che quasi mi accecava con la sua brillantezza: “Verde!?” “Non è possibile!” esclami. Eppure l’insegna del Cleland Wildlife Park brillava alle prime luci dell’alba davanti ai miei occhi. Adelaide, la città più bella dell’Australia a mio parere, non era certo piccola e anche nelle ore meno affollate, da Regency Park, il mio quartiere, con i mezzi pubblici impiegavo circa due ore per andare a Cleland, dove seguivo il mio internato con il Dottor Mason, un veterinario che si occupava degli animali ospiti della struttura. Il St Andrew era più vicino, ma con i suoi 18 km di distanza, erano comunque necessarie almeno un’ora e mezza per raggiungere il parco. Io invece ero arrivata correndo a piedi in quanto? Venti minuti? Poco meno di un km al minuto? Ma era umanamente impossibile. Solo animali come la gazzella o il ghepardo potevano fare una cosa del genere!Improvvisamente le mie ginocchia cedettero, non per la stanchezza, ma per l’aggiungersi di confusione e incredulità a rabbia e dolore. Osservai la mia immagine riflessa in una pozzanghera d’acqua proprio sotto ai miei piedi e, guardando negli occhi quella ragazza che avevo scoperto essere improvvisamente un’estranea: “Chi sei?” sussurrai.

CHI SEI - PARTE SECONDA
«Sophie cara, nessuna risposta?»Me lo chiedevo anch'io dopo tre giorni di calvario, ma sentirlo dire ad alta voce mi lasciò sconvolta. “La prozia Rose sapeva qualcosa sulle mie vere origini?”«Cosa?» balbettai irrigidendo la schiena, improvvisamente in tensione.«L’assistente di tuo padre non ti ha richiamata?»Lasciai andare il fiato, un tantino delusa. I miei genitori adottivi a quanto pareva non si erano confidati nemmeno con la loro parente più stretta. Avevano occultato bene ogni prova del mio passato e non mi era dato sapere per quale motivo, al momento. Ma ero determinata a scoprirlo.Voltandomi con l’aria assente e lo sguardo vuoto che ero riuscita a imbastire per nascondere il mio terremoto interiore, posai lo sguardo sull’anziana donna che ho sempre considerato la nonna che non ho mai conosciuto. Ma in fondo non ho conosciuto neanche i miei genitori, no?  Tornai al presente con un sospiro stanco.«Sì zia, ho parlato con Parker. Cercherò il manoscritto in giornata e domani verrà a prenderselo» risposi con voce neutra.«È  stato carino da parte sua voler continuare il lavoro di Robert, non ti pare?» tornò a domandare la prozia nel chiaro tentativo di coinvolgermi in una conversazione di cui non avvertivo minimamente la necessità. «Certo, è stato davvero carino» annuii. “Soprattutto a non aspettare neanche una settimana per disturbare la figlia in lutto del suo professore! Dannato portaborse arrivista!” imprecai tra me, disgustata. Mio padre stava scrivendo un libro sul comportamento dei cani da pastore. Era un veterinario specializzato in psicologia animale, il migliore nel suo campo. «Cara, vorrei che tu avessi questa…»Mi riscossi ancora una volta dal turbinio dei miei pensieri e misi a fuoco la penna d’argento satinato che la zia teneva in mano con riverenza, quasi fosse una reliquia. Dopo un secondo capii che lo era davvero, perché era la penna di mia madre. Psichiatra infantile di fama nazionale, Martha Cohen usava quella stilografica ogni giorno, per prendere appunti durante le sedute con i pazienti. Scherzando le dicevo sempre che usava una penna da cento dollari per fare cruciverba. Ma non era affatto così, lei metteva tutta se stessa nel suo lavoro e dava la più totale attenzione ai suoi piccoli assistiti.  Presi lentamente la penna e la rigirai tra le dita, sperando quasi di sentire ancora il calore delle sue mani, ma il metallo era gelido come il mio cuore. «Ora vado tesoro, se hai bisogno di qualcosa chiamami» mi riscosse la voce di Rose. Appena sentii quelle accorate parole, scattò una molla dentro di me. «Zia…» esclamai di getto.Lei si voltò sulla soglia di casa. «Sì, tesoro?»   Allora una valanga di domande premettero con violenza sulla mia lingua, ansiose di sgorgare fuori. “Sai che i miei mi hanno adottata? C’eri anche tu con loro? Si sono mai accorti che corro veloce quanto un animale? Perché non mi hanno detto niente? Chi sono davvero?”  Ma la povera donna, con l’aria distrutta e affranta per la perdita del suo unico nipote, non sapeva nulla, ne ero certa, perciò dissi ciò che voleva sentirsi dire. «Grazie per avermi aiutata con il funerale e tutto il resto, non sarei riuscita a cavarmela senza di te».Mi si avvicinò con le lacrime agli occhi, abbracciandomi stretta. «Non sarai mai sola, tesoro. Riposati adesso, e sappi che io sono qui per te, sempre!»“ Ti sbagli Rose, io sono sola, tu non sei mia zia. Per me non c’è nessuno” replicai tra me e me. Ma ancora una volta tacqui. Più tardi, dopo una doccia e una barretta alla frutta, andai nello studio di mio padre, dove ogni mobile era permeato dell’odore della sua acqua di colonia al cedro. Accarezzai il legno lucido della sua scrivania e cominciai a cercare il manoscritto, toccando con lentezza esasperante ogni singolo foglio contenuto in quei cassetti. Sapevo che stare tra le sue cose sarebbe stato doloroso. Ogni parola scritta di suo pugno, perché quel testone odiava i computers, mi avrebbe ricordato la sua assenza, ma l’idea di lasciare un estraneo nella stanza dove Robert aveva passato ore a parlarmi di animali, trasmettendomi il suo amore per la natura, mi sembrava un sacrilegio. Come lasciar organizzare un rave party in una chiesa. All’improvviso un plico attirò la mia attenzione. Stavo per esclamare: Trovato!, quando sul frontespizio del fascicolo notai un nome familiare e insolito allo stesso tempo: Sophie Mactire.

Una settimana dopo
Per le 14 ore di viaggio in aereo che mi portarono dalla mia adorata Adelaide a Glasgow, in Scozia, quel nome rimase sospeso tra i miei pensieri. Sophie Mactire. Il misterioso plico non era altro che una raccolta di documenti molto sospetti. C’erano il mio vero certificato di nascita, dei certificati di morte e degli appunti di una ricerca dei miei genitori davvero insolita. Ero nata come Sophie Mactire il 12 maggio, e non il 7 giugno come avevo sempre saputo, a Braemar, nelle Highlands scozzesi, da Malcom e Isobel Mactire, che risultavano essere deceduti circa un mese dopo la mia venuta al mondo, il 2 giugno. I Cohen mi avevano portato dall'altra parte del globo, con un nuovo certificato di nascita, dopo pochi giorni dalla morte dei miei veri genitori. Non c'erano documenti che attestassero l'adozione, io ufficialmente ero una Cohen a tutti gli effetti, e a giudicare dalle date degli appunti, Robert e Martha soggiornavano in Scozia dall'ottobre dell'anno precedente per studiare una specie in via di estinzione: il lupo bianco delle highlands, di cui in quattro anni di studi universitari non avevo mai sentito parlare.  Date e nomi aprivano una marea inquietante di interrogativi. Perché i Cohen erano andati a fare uno studio così lontano da casa, per ben nove mesi, su una specie sconosciuta alla comunità scientifica? Perché avevano simulato una gravidanza? Perché avevano falsificato i miei documenti, quasi come se ci fosse la necessità di nascondere una cosa normale come un'adozione? Come e per quale motivo mi avevano portato via così in fretta? E soprattutto, cosa successe ai Mactire?  Come se la confusione mentale non fosse sufficiente a mandarmi fuori di testa, alla mia situazione si aggiungeva anche il malessere fisico. Non ero certo il tipo da digiunare, infatti anche nelle situazioni di stress il mio appetito era quello di un lupo e molti si sorprendevano del mio fisico tonico, ma questa fame continua, nonostante il mio ciclo fosse finito da una decina di giorni, mi infastidiva. Tuttavia la cosa che davvero rischiava di farmi impazzire era il prurito costante alla spalla destra, dove avevo una voglia che ricordava una falce di luna crescente, a detta della mia romantica madre.Stupida allergia! Anni di cure non erano riuscite a far sparire il fastidio, che si presentava ogni tre mesi e mi costringeva a farmi somministrare una fiala di cortisone da papà. I miei genitori. Durante quel viaggio pensai molto a loro, e alla luce dei dati che avevo raccolto, molto confusi per la verità, era chiara una cosa sola: loro mi avevano voluta, rischiando anche problemi legali per ottenere dei documenti falsi. Mi avevano protetta e mi avevano amata. Sentivo ancora la voce pacata di Martha mentre mi leggeva le favole di Esopo per farmi addormentare, oppure quando canticchiava preparandomi la sua tisana preferita all'eucalipto per il mal di gola. Riuscivo a percepire il calore del sole sulla pelle nelle giornate di giugno, quando per il mio compleanno papà ci portava in campeggio o mi insegnava a giocare a baseball, guardando orgoglioso quel maschiaccio che correva instancabile.Questi erano fatti concreti, non supposizioni o bugie. Erano pezzi della mia vita e, stringendo la penna di mia madre tra le mani, mi dissi che qualunque cosa avessi trovato in Scozia non avrei mai dimenticato che ero la figlia di Robert e Martha Cohen, perché l'amore trascende il tempo, la distanza e la morte.“Accidenti, sono diventata sentimentale come te,  mamma!” pensai, seduta su una poltrona dell’aeroporto di Glasgow.  Fu a quel punto che mi concessi di piangere e il gelo che aveva stretto in una morsa la mia anima per sette lunghi giorni si sciolse.



CHI SEI – PARTE TERZA
Durante le tre ore di viaggio lungo la strada asfaltata, ma completamente isolata, che percorsi con l'auto a noleggio per raggiungere Braemar, ebbi la possibilità di fare conoscenza della mia terra natale. Al primo sguardo l'immensa distesa verde delle Highlands sembrava brulla e solitaria, ma osservando meglio alla luce di quel mattino di luglio, lepri, martore, galli cedroni, fagiani e pernici facevano capolino tra gli alberi o correvano zigzagando sui prati fioriti. Alzando lentamente lo sguardo vidi volare una poiana e invidiai la sua libertà priva di qualunque pensiero, a parte le basilari necessità di sopravvivenza. Parlando di psicologia animale con mio padre, avevo sempre sostenuto che gli esseri umani fossero troppo concentrati su cose inutili. Sprecavano energie e tempo per godere davvero di ciò che stava intorno a loro. Invece gli animali si adattavano al territorio, ne assimilavano quasi l'essenza, per poter sopravvivere. Rallentai, accostando lungo il ciglio della strada, e guardai con desiderio e meraviglia lo stupendo paesaggio intorno a me. Improvvisamente fui travolta da l'irrefrenabile voglia di scendere dall'auto e correre a perdifiato, come se la parte più selvaggia della mia natura bramasse attraversare e rotolarsi su quella distesa infinita di verde punteggiato di lilla fino ad arrivare alla costa, che sapevo lontana centinaia di chilometri.L'idea che se avessi corso, sentendo l'aria impregnata del profumo dell'erica in fiore penetrarmi nei pori della pelle, avrei anche potuto non fermarmi mai, mi lasciò trepidante di gioia e tremante di paura al tempo stesso. Il mistero della mia famiglia d'origine era più complicato di quello che volessi ammettere e avevo timore di quello che avrei trovato a Braemar. Il pensiero di questo villaggio sconosciuto mi scosse dal mio stato quasi ipnotico. Mi ritrovai fuori dall'auto, appoggiata allo sportello.“Ma quando ero scesa?”mi chiesi, sbigottita. Risalii sul veicolo e rimisi in moto.Braemar, chiamato in gaelico Bràigh Mhàrr, era un tradizionale villaggio scozzese sviluppatosi lungo la riva del fiume Dee. In quella soleggiata e calda mattina di luglio si presentava affollato di turisti e passanti di ogni genere. Parcheggiai in un'apposita area di sosta e mi recai alla prima tappa del mio percorso, che avevo accuratamente programmato a casa prima di partire.Al pensiero del mio appartamento vuoto mi sentii riempire dalla tristezza e dai dubbi.“Perché avevo viaggiato per sedici ore, attraversando mezzo mondo, per venire qui? Cosa speravo di dimostrare? Che le analisi erano sbagliate e che quel plico misterioso non aveva nulla a che fare con me?”  «No, Soph, sei arrivata fin qui e non puoi mollare. Ricordi cosa diceva papà?» mi ripetei ad alta voce, come un mantra. «Continua sempre per la tua strada. Più la salita è un inferno, più la cima sembrerà il paradiso!»Ero giunta in quel posto per avere delle risposte e non me ne sarei andata senza di esse. Se poi il viaggio si fosse rivelato inutile, avrei comunque trascorso una bella vacanza. Arrivata davanti all'infopoint per turisti, feci un bel respiro profondo, sfoderai il mio miglior sorriso ed entrai. L'interno dell'ufficio era decorato con bandiere scozzesi di vari clan delle Highlands e con bellissimi poster del castello di Braemar e del fiume Dee. Al banco incrociai lo sguardo allegro di una receptionist, sui quarant'anni, con una folta chioma rossiccia e splendidi occhi verdi come i prati che avevo appena attraversato. Questo mi fece un'impressione molto positiva.«Salve!» dissi alla PR. «Avrei bisogno di un paio di informazioni».«Benvenuta a Braemar. Il mio nome è Gwen, come posso aiutarla?» mi rispose la donna con tono caloroso e professionale, tendendomi la mano. Gliela strinsi con vigore. Non volevo insospettirla, così decisi di rompere il ghiaccio con la tipica domanda da turisti. «Ho prenotato una camera al Craiglea B&B. Mi può dire dove si trova?»Lei prontamente prese una cartina, spiegandomi dove si trovasse Hillside Road. Poi, proprio come mi aspettavo, mi chiese quanto sarei rimasta e se volevo partecipare alle escursioni guidate dei dintorni. Io allora colsi la palla al balzo per ottenere le reali informazioni che mi servivano. «Vede Gwen, non sono venuta solo per visitare le Highlands. Vengo da Boston per comunicare ad alcuni parenti la morte di mio padre. Lui aveva piacere che rivedessi i miei familiari scozzesi. L'ultima volta che siamo venuti a trovarli ero molto piccola». Era una piccola menzogna mescolata alla verità. Speravo di ottenere più facilmente aiuto facendo la parte dell'orfanella, ma non volevo espormi troppo. D'altronde se ero stata nascosta forse c'era un motivo valido.«Quanto mi dispiace, condoglianze signorina!» esclamò la donna, sinceramente affranta. «Spero di poterla aiutare, qui ci conosciamo tutti. Chi sono i suoi parenti?» mi domandò.«La famiglia Mactire» risposi con slancio.Notai il sorriso di Gwen rabbuiarsi. «La disgrazia sembra colpire spesso quella famiglia» mormorò appena.«Come scusi? In che senso?»«Una ventina di anni fa la loro fattoria è andata distrutta e molti membri della famiglia sono morti» mi confidò.Trassi un profondo sospiro: tutta quella faccenda era dannatamente strana. «Quindi non si è salvato nessuno?» domandai.«Oh no, certo che no, loro...»Improvvisamente la porta si aprì e Gwen si voltò in quella direzione, accogliendo con il suo caloroso e a quanto pare automatico sorriso di rappresentanza, un gruppo di turisti tedeschi che la assediarono con domande sul castello.Mi sentii assalire da un terribile sospetto. “Un incendio. E se fosse stato un omicidio? Oppure era solo un banale incidente e i Cohen mi avevano presa con loro perché amici dei miei genitori? Ma allora per quale motivo farmi sparire, cambiando il mio vero cognome e la data di nascita? Che cosa è successo ventidue anni fa?” Mi avvicinai di nuovo al bancone, spintonando un paio di anziani turisti. «È sicura che non sia rimasto nessuno della famiglia? La prego, è importante!» dissi rivolta alla PR.«Vada al Blue Moon, il pub infondo alla strada, e cerchi Keller. Lui le saprà dire di più» mi suggerì Gwen. Uscendo dall'ufficio mi diressi all'auto per recuperare lo zaino con i documenti. Potevo davvero rischiare? “Al diavolo la prudenza!” mi dissi a denti stretti. Dovevo espormi se volevo arrivare in fondo a questa storia. Del resto in un edificio pubblico non poteva succedermi nulla. O no?



CHI SEI – PARTE QUARTA
Appena entrata al Blue Moon, un fantastico odore di manzo speziato e birra mi arrivò alle narici, stimolando il mio stomaco rimasto vuoto nelle ultime tre ore.“Non è il momento di mangiare, Soph! Datti una calmata!” mi dissi.Rassegnandomi a controllare il mio famelico appetito, mi diressi verso il bancone in lucido legno color noce. Guardandomi intorno fui attratta dalla parete a sinistra, che non conteneva tartan e stemmi dei clans delle Highlands, come le altre, ma una raccolta di foto incorniciate. Alcune di esse risalivano anche ai primi anni del ‘900 ed erano disposte intorno a un enorme camino di pietra che sicuramente riscaldava a dovere nelle rigide serate invernali i due ampi piani del pub. Le varie foto, che percorrevano almeno un secolo di storia, rappresentavano gruppi numerosi disposti davanti alla medesima fattoria, una bellissima struttura in legno e muratura, molto simile al pub che, maestosa, si ergeva in una bellissima valle, probabilmente situata nei dintorni. A un più attento esame i membri delle varie foto si somigliavano parecchio, quindi era probabile appartenessero a un clan scozzese. «Cosa le porto signorina?» Mi voltai di scatto, stringendo la spallina dello zaino, e mi trovai a sorridere imbarazzata a un ragazzo alto almeno un metro e novanta, con corti capelli fulvi e occhi azzurri. In qualche maniera mi parvero familiari. Indossava dei jeans neri e una maglietta blu sotto un grembiule scozzese blu e bianco.«Avrei bisogno di un’informazione prima di ordinare» dissi incerta, quello sguardo era troppo intenso.«Ho capito le porto il menù, si accomodi» sospirò il barista annoiato. Fece per voltarsi verso il bancone, ma io lo bloccai trattenendolo per un braccio. «Sto cercando qualcuno» confessai di getto.L’espressione dell’uomo si fece maliziosa. Incrociò le braccia sul petto, aspettando che continuassi. «Conosce un certo Keller?» domandai. All'improvviso mi studiò con l’aria attenta di chi valuta un cavallo da acquistare, scorrendo lo sguardo sulla mia figura dal basso verso l’alto. «Sono io Keller! Chi lo cerca?» si decise a dire infine.  Era giunto il momento della verità. «Mi chiamo Sophie Mactire» annunciai. Sapevo che era un grosso azzardo usare il mio vero nome con uno sconosciuto, ma dovevo smuovere le acque se volevo guardare il fondale. Beh, a quanto pareva l’avevo smosso parecchio, perché il mio interlocutore, dopo aver strabuzzato gli occhi, mi agguantò per un braccio e mi trascinò verso il retro del bancone sbuffando come una locomotiva a vapore.«Don, sono sul restro con un fornitore!» urlò al tizio moro dall'altro lato della sala.Don chinò la testa con aria annoiata, mentre io tentavo di divincolarmi dalla presa d’acciaio di Keller, che mi spinse senza tante cerimonie in una stanza che aveva tutta l’aria di essere un magazzino data la quantità industriale di tovaglioli, cannucce e bicchieri impilati ordinatamente sugli scaffali. «Che diavolo ti prende, razza di idiota! La birra ti ha dato al cervello?» esclamai, infuriata, tastandomi il braccio dolorante mentre mi voltavo verso di lui.Lo sguardo che Keller mi rivolse lui era di puro odio e mi costrinse a indietreggiare, allarmata. Nel mio lavoro avevo curato animali di tutti i tipi, persino un pitone senza mai farmi intimidire. Le bestie sentivano la paura e attaccavano senza pietà, ma la luce ferina negli occhi di questo ragazzo mi fece tremare le ginocchia di puro terrore. Sembrava una tigre in procinto di balzare sulla preda, e la preda nella fattispecie ero io. «Hai problemi di udito? Ho detto che sono Sophie Mactire e cerco Keller. Sei davvero tu?» tornai a domandare cercando di tenere a bada la paura.Lui agitò la testa facendo segno di no. «Falla finita di pronunciare quel nome, mia cugina è morta» sibilò.Cugina? Questo sì che era un dato interessante. In effetti una certa somiglianza c’era tra di noi, nella forma e nel colore degli occhi. L’avevo notata subito. «Senti, mi pare di essere piuttosto viva e tu sei piuttosto incazzato. Perché non ti calmi e mi lasci spiegare?» tentai un nuovo approccio mettendo a tacere l’istinto, che mi urlava di scappare. Con la sua mole quel tipo mi avrebbe agguantata in due secondi. Le mie parole erano calme e ragionevoli, ma non fecero altro che gettare benzina sul fuoco. Lui strinse gli occhi in due fessure ed espose i denti parecchio sviluppati, quindi ringhiò come un cane pronto all’attacco.  Mi prese per le spalle con le sue mani enormi e mi sbatté con forza contro la parete. «Ti mandano quei bastardi che hanno attaccato la mia famiglia anni fa? Sei una serva di quelle sanguisughe?» mi accusò.“Allora era davvero stato un omicidio. Qualcuno aveva fatto fuori i miei per soldi, visto che li chiamava sanguisughe” pensai. “E che vuol dire lo strano termine che ha usato? Serva?” Sospirai. Ora dovevo convincere il mio neo cugino a farmi parlare, o mi avrebbe davvero affogata nella birra. «Lascia che ti spieghi, ho dei documenti che dimostrano che sono davvero io. Tanto non posso scappare da te, e se non ti convinco puoi sempre farmi a pezzi e gettarmi in una botte a fermentare» dissi con lo sguardo fermo e deciso che usavo quando non accettavo un no come risposta. Lui parve colpito dal mio coraggio, o dalla mia stupidità, dipende dai punti di vista.«Hai due minuti» mi concesse.“Beh, dipende da quanto ci metterai a leggere questi, genio!” pensai tra me tirando fuori dallo zaino  il maledetto plico.  Lui lo aprì e scorse i documenti. Prima in fretta, poi sempre con maggiore attenzione, spalancando gli occhi e alzandoli a tratti verso di me. «È impossibile, non ci posso credere…» mormorò scioccato, ma a quanto pare alla fine si rassegnò all’evidenza, perché dopo aver appoggiato con la massima attenzione i documenti su una sedia, mi rivolse uno sguardo così tenero che mi lasciò quasi più scioccata di quello animalesco di poco prima. Quell'omone aveva quasi le lacrime agli occhi, ma dopo essersele asciugate con aria infastidita, quasi non fosse abituato a piangere, si avvicinò a me e mi abbracciò. Sul momento rimasi rigida e pensai di divincolarmi ma, colpita dal contrasto netto fra la violenza di prima e l’estrema gentilezza di quel momento, lo abbracciai anch'io, provando un calore e un senso di appartenenza mai sperimentati.Improvvisamente mi lasciò andare, forse pensando di essersi preso troppa libertà con quella cugina sconosciuta. «Keller Mactire, molto piacere!» disse formale, porgendomi la mano. Poi: «Devi assolutamente venire con me, ci sono molte cose che dobbiamo spiegarti, cose che non devono raggiungere orecchie indiscrete» sussurrò al mio orecchio.Io lo guardai dritto negli occhi e, stringendogli la mano: «Sono pronta!» dichiarai.



CHI SEI - PARTE QUINTA
Il viaggio sul comodo pickup di mio cugino fu rilassante, almeno all’inizio. Sembrerà strano che non fossi agitata, ma non ero mai stata il tipo da tirarsi indietro davanti a una sfida. Quello che davvero mi mandava in tilt era il non avere il controllo della mia vita, ma presto tutti i tasselli sarebbero tornati al posto giusto. La mia naturale curiosità mi rendeva su di giri al pensiero di conoscere la mia vera famiglia e svelare il mistero della scomparsa dei miei genitori. Keller si dimostrò allegro e disponibile, ascoltò con attenzione il racconto delle mie avventure dalla morte dei miei genitori e mi chiese della mia vita e delle mie occupazioni precedenti. Al sentire che ero un veterinario, si dimostrò entusiasta all’idea che avrei potuto lavorare alla fattoria, come se avessi intenzione di rimanere in Scozia. Mi spiegò che la meta del nostro viaggio era proprio Mactire Talamh, la fattoria di famiglia, il cui nome, in gaelico, significava patria dei figli della terra, un modo arcaico per definire il lupo, simbolo del clan. Strano che questo animale, che da bambina mi aveva sempre affascinato, fosse così legato al mio clan e ai miei genitori adottivi, visto che una ricerca su una specie autoctona li aveva portati in queste terre. Stavo per chiedere a Keller se sapesse qualcosa del fantomatico lupo bianco delle Highlands, quando lui mi interruppe.«Sei fortunata, oggi gli anziani sono tutti riuniti per preparare il siero. La luna piena si sta avvicinando e ho la spalla in fiamme. Scommetto che anche il tuo marchio ti starà dando parecchia noia, vero?» Io mi voltai di botto verso di lui. «Marchio? Siero? Ma di che cavolo stai parlando?»Il mio neo-cugino mi guardò come se pensasse che fossi impazzita. Io!«Ma dai, mi prendi in giro? Non c’è bisogno che fingi con me. Intendo quella specie di voglia che abbiamo tutti su una spalla. Avrai notato che brilla quando ti trasformi, ma forse per te è passato molto tempo, non è così?» mi domandò. Dopo, mi rivolse un’occhiata compassionevole e mi diede una rapida pacca sul ginocchio, come se volesse consolarmi di una grave perdita, ma in realtà era chiaro che lui quello che aveva perso la ragione.  «Ferma questo dannato affare e fammi scendere! Avrei dovuto capirlo subito, quando mi hai aggredito al pub, che non sei normale! »Keller arrestò il veicolo e si volse per afferrarmi una mano, ma non gliene diedi il tempo. Mi precipitai fuori dalla macchina come una saetta, lo zaino stretto in una mano, e scappai come la proverbiale lepre. Mentre correvo, feci mentalmente il conto di quanto avrei impiegato per tornare a Braemar a piedi, ma non ebbi mai modo di mettere alla prova la mia velocità perché Keller mi afferrò con forza il braccio destro e cercò di abbassarmi una spallina della maglia.“Ecco adesso tenta di violentarmi in pieno giorno, ma se spera di riuscirci si sbaglia, venderò cara la pelle” pensai, furiosa.Mi voltai e gli diedi un calcio al fianco con la gamba sinistra, ma lui mi bloccò con una mano e persi l’equilibrio. Lo afferrai per la camicia e lo trascinai con me al suolo. Lui mi guardò, imbarazzato, e arrossì fino alla punta delle orecchie. La sua pelle chiara diventò un tutt’uno con il colore dei capelli.«Ma che ti prende Sophie, perché scappi?» disse mentre si sollevava.«Perché dici cose senza senso!» gli urlai facendo per alzarmi anch’io.Lui mi offrì la mano. Esitai qualche istante, poi l’afferrai, issandomi in piedi. «Mi spieghi come diavolo hai fatto a raggiungermi?» gli domandai, stizzita. «Nessuno ci era mai riuscito prima».«È ovvio che ti ho raggiunto, noi siamo tutti molto veloci» rispose gonfiando il petto come uno stupido pavone.«Tutti chi, i Mactire? Anche loro sono pazzi come te?» lo rimbeccai, sarcastica.«Per dovere di cronaca, la velocità è un tratto tipico di tutti i lycan!» affermò Keller, tronfio.«I cosa?» Ero arrivata ormai oltre lo shock, il mio cervello era in preda a uno sconvolgimento emotivo senza precedenti nella storia umana, ne ero certa.  «Vuoi calmarti e farmi spiegare? Ora sei tu a essere irragionevole. Fammi vedere la spalla destra, se non c’è il marchio mi affogherai nella birra!” Lo disse con aria sorniona, quasi a volermi prendere in giro per il mio comportamento violento che rispecchiava il suo al pub.“Caspita, bella coppia di cugini matti che eravamo!” considerai tra me e me.«Oh, d’accordo…» dissi scontrosa, abbassando la maglia. «Ho una voglia a forma di luna come puoi ben vedere, ma nessun marchio. E ora spiegami che cavolo intendi con lycan!» lo incalzai, ormai a corto di pazienza.«Sembri sull'orlo di una crisi di nervi, sai?» mi prese in giro.

«Incredibile, sei pazzo e fai pure dell’ironia? Sai che ti dico? Io me ne vado!» dichiarai facendo per voltarmi. Keller mi bloccò per l’ennesima volta afferrandomi il polso, improvvisamente serio. «Il marchio non è nitido, come se tu non ti fossi mai trasformata. I Cohen devono averti dato  il siero di nascosto. Non sai nulla sulla tua vera natura, è pazzesco!» mormorò incredulo.«Sai cos’è pazzesco? Che io sia ancora qui ad ascoltarti. Ma di che diavolo, stai parlando, accidenti a te?»Keller si voltò verso la strada e mi indicò una costruzione una decina di km a nord. «Quella è Mactire Talamh, tra dieci minuti avrai le tue risposte, cugina. L’unica cosa che posso dirti è che il lupo bianco delle Highlands esiste davvero» dichiarò.Dopo ripartimmo e la mia testa si riempì di ulteriori domande.La casa si presentava bellissima e accogliente, proprio come appariva nelle foto. Gli esterni bianchi e grigi e gli interni di un caldo color noce, il tutto circondato da prati su cui pascolavano placidamente pecore e Hebridean breed, la tipica mucca delle Highlands . Keller mi fece accomodare spingendomi con fare cortese su un divano vicino all’entrata. Io declinai il suo invito a sedermi, preferendo guardami intorno. Fui attratta da una serie di foto incorniciate e disposte su un cassettone. Queste erano più recenti di quelle del pub e ritraevano un gruppo molto più ristretto dei precedenti. Circa una decina di persone, tra cui Keller, abbigliati con il kilt del clan, caratterizzato dallo stesso tartan blu e bianco del grembiule del Blue Moon.«Sophie, seguimi per favore!» Il tono di voce di Keller era diventato nuovamente formale e il suo viso aveva abbandonato le espressioni canzonatorie precedenti per assumere un’aria seria e posata che lo fece sembrare improvvisamente più adulto. Lo seguii stringendo convulsamente la spallina del mio zaino e fui introdotta in un enorme studio. Alla scrivania era seduto un uomo sulla cinquantina molto simile a Keller, tranne che per i capelli fulvi un po’ brizzolati e lo sguardo stanco. Il tipo in questione si alzò dalla sedia, attraversò la stanza, raggiungendomi a metà strada, e mi porse la mano. «Sono Graham Mactire, molto piacere. Scusami se vado subito al sodo Sophie, ma la storia che mio figlio mi ha raccontato è così inverosimile che ho bisogno di guardare i documenti di cui ha parlato personalmente, per credere che tu sia davvero mia nipote» disse.Io gli sorrisi e gli porsi il plico, estraendolo dallo zaino. «La capisco perfettamente,  mr Mactire, tutto questo è incredibile anche per me» replicai.Lui prese i fogli dalle mie mani e si girò verso destra, dove erano sedute altre quattro persone su due enormi poltrone e un divano, sul quale sedette anche Graham. Dispose con cura i documenti sul tavolino e tutti si chinarono a esaminare quelle misteriose pagine.L’unica che smise quasi subito di leggere fu una signora di circa settant’anni, che si alzò osservandomi con molta attenzione. Mentre gli altri continuavano il loro esame, lei mi girò intorno, osservandomi attentamente da ogni angolazione, poi spostò la spallina per guardare il mio marchio. Odorò i miei capelli con fare da segugio e mi si piazzò davanti con aria soddisfatta e sicura di sè. «Smettetela di leggere i documenti dei Cohen e guardatela!» ordinò. «Ha gli occhi e la fronte di Malcom e i capelli d’oro di Isobel. Non c’è alcun dubbio, questa ragazza è mia nipote!» affermò. Dopo queste lapidarie parole, mi circondò il viso con le mani, mi diede un bacio su ogni guancia e mi abbracciò. Io rimasi rigida e scioccata da questa repentina e inaspettata dimostrazione d’affetto. Volevo rispondere alla stretta, ma fui distratta da un ringhiare feroce che proveniva dal divano.Un uomo alto e robusto, nonostante l’età avanzata, si levò in piedi. «Ingrede, come puoi credere a una menzogna simile? La casa è crollata con Malcom e la sua famiglia all’interno, non può essere lei!» proferì in tono alterato.L’anziana donna si voltò, frapponendosi tra me e quello che probabilmente era suo marito, quasi a volermi proteggere dalla sua furia. «Vecchio lupo scorbutico, credi che non ricordi cosa è successo?  Sogno ogni notte le sanguisughe che ci attaccano e la casa che crolla intrappolando nostro figlio, ma io so riconoscere il sangue del mio sangue quando lo sento. Ha l’odore del nostro branco, e solo gli amici di Malcom avrebbero potuto tenerla al sicuro per tutti questi anni!»“I Cohen erano amici del mio vero padre e questa signora era... mia nonna! Anche il vecchio lupo scorbutico era mio nonno, e a quanto pare gli piaceva ringhiare, visto che non accennava a smettere!” pensai.«Per favore, Duncan, calmati. Ti fa male agitarti così!» disse una donna dai capelli castani che si avvicinò, tendendomi la mano. «Io sono Aileen cara, la madre di Keller e Donald e moglie di Graham, quindi tua zia. Sai, Graham e Malcom erano due gemelli molto uniti. L’attacco di ventitre anni fa ha sconvolto tutti».

 Mi volsi a guardare Graham, che durante il tafferuglio tra i suoi genitori si era spostato verso la finestra. Lo osservai attentamente e mi sembrò che avesse gli occhi lucidi, ma dopo un battito di ciglia l’espressione affranta scomparve e mi guardò con aria sospettosa. «È evidente dai documenti, e il marchio è un’ulteriore prova, che tu sei davvero Sophie. Quello che bisogna chiedersi è perché tu sia venuta qui dall’Australia». «Perché sono qui?» insorsi io, indignata. «Lei cosa farebbe se dopo ventitre anni di vita scoprisse di essere stato adottato, che i suoi veri genitori sono morti e che è stato fatto sparire a più di trecento mila chilometri dalla sua terra d’origine? Non vorrebbe sapere anche lei cosa è successo?» L’ultima frase mi uscì fuori con voce rotta e non potei più trattenere le lacrime: il troppo stress accumulato nelle ultime ore mi aveva presentato il conto.Aileen mi abbracciò mentre Keller si avvicinava preoccupato a suo padre. «Papà, non sa nulla dei lycan, e dopodomani c’è la luna piena» gli confessò, preoccupato.Graham mi guardò dritta negli occhi. Sebbene ancora piangente, ricambiai il suo sguardo con fermezza. Vidi un lampo di ammirazione sfrecciare nel suo sguardo, ma la cosa fu talmente veloce che pensai di essermelo immaginato.«Non c’è molto tempo, dobbiamo raccontarti tutto» disse, la voce cupa. Fu allora che cominciò a esporre la storia più strana che avessi mai sentito.


CHI SEI – PARTE SESTA
Malcom Mactire divenne il leader dichiarato del branco, il maschio alpha, un anno prima della mia nascita. Era dotato del coraggio e della destrezza nel combattimento tipici della specie; inoltre l'innato carisma che lo caratterizzava lo rendeva perfetto per il ruolo di capoclan nonostante avesse solo ventisei anni. Egli aveva un sogno: unificare i branchi di lycan delle Highlands. Erano ben sei oltre il nostro. Il suo scopo era quello di proteggere i territori e sconfiggere l'unico nemico naturale dei lupi: i vampiri. Ebbene sì, i vampiri esistevano, e i lycan, umani che avevano ricevuto in dono lo spirito del lupo dagli antichi druidi, erano le uniche creature terrestri che, per forza e velocità sovraumane, potevano sfidarli sperando di sopravvivere. La guerra tra le due specie era millenaria e si era molto intensificata negli ultimi cinquant'anni a causa di Lilith, crudele e sanguinaria regina degli Inferi. L’oscura creatura avrebbe voluto rendere i lycan schiavi, allo scopo di sfruttare la natura aggressiva e temeraria della specie. Ma i lupi erano rispettosi figli della terra, avevano un profondo senso di indipendenza e di lealtà nei confronti della famiglia e degli alleati, perciò non accettarono di lasciarsi assoggettare da creature malvagie. Ogni membro di un branco riconosceva per istinto una sola voce al di sopra delle altre: il timbro profondo e categorico dell'alpha, un ruolo che si trasmetteva di generazione in generazione per via ereditaria.  Malcom e la sua compagna, Isobel, si erano dimostrati cacciatori di vampiri di abilità eccezionale e quindi erano delle vere spine nel fianco della malvagia creatura. Per questo Lilith decise di sferrare l'attacco decisivo: inviò il suo braccio destro, Igor, un vampiro di leggendaria potenza e crudeltà, con l'ordine di sterminare definitivamente tutti i clan a cominciare da quello più a sud, i Mactire. La notte del 2 giugno attaccarono in massa la fattoria, approfittando del fatto che nelle notti di luna nuova il potere dei lycan era al minimo per l'assenza dei raggi lunari. Quella notte rimase indelebile nella memoria di tutti i sopravvissuti: le sanguisughe incendiarono la casa con parecchi bambini all’interno. Tra quelli c'ero anch'io, che chissà come riuscii a sfuggire a quell’orribile destino. Quell’attacco portò allo sterminio di tre generazioni del clan. Molti persero le persone che più amavano, e tutti, indistintamente,  la voglia di lottare. Decisero di seguire il piano di emergenza predisposto da mia madre: far credere ai vampiri che i lycan fossero stati distrutti, usando un siero da lei sviluppato con Robert Cohen. Era basato sull'azione di estratti di piante che permetteva di inibire la trasformazione in lupo, anche se tratti come la forza e la velocità sarebbero comunque rimasti, ma in quantità facilmente gestibili. L'iniezione doveva essere ripetuta ogni tre mesi, altrimenti il marchio si sarebbe riattivato innescando la mutazione alla prima luna piena senza copertura.“Ecco perché quella dannata voglia mi prudeva da matti, soprattutto di notte. È  evidente che la mia natura di lycan cercava di prendere il sopravvento! Certo, è tutto ovvio!” meditai, infastidita, ma all’improvviso fui invasa da una furia cocente. Scattai come una molla dal divano su cui mi ero seduta per ascoltare la storia, e iniziai a ringhiare quasi più forte di quanto avesse fatto mio nonno poco prima.«Come avete potuto rimanere nascosti per tutti questi anni? Una volta sicuri che i vampiri non vi cercavano più, avreste dovuto fare qualcosa.... Io avrei…» Mi tremava la voce a causa della rabbia. La sete di vendetta mi rendeva la bocca asciutta e la gola riarsa, come se fossi nel deserto a mezzogiorno.Improvvisamente la donna bionda che era rimasta fino ad allora silenziosa, Tara, la sorella minore di mia madre, si alzò e mi puntò il dito contro: «Chi ti credi di essere, ragazzina, per venire a criticare le nostre scelte? I nostri cari quella notte sono stati massacrati come bestie da macello. Mio marito è morto e mia figlia è dovuta crescere senza suo padre. Ho anche perso la mia adorata sorella e tu invece di ricordare Isobel con noi, ci definisci codardi?» Mi rivolse uno sguardo pieno d'odio, gli occhi azzurri lucidi di lacrime.«È vero, io non sono nessuno» ammisi. «Ma non capite che con il vostro atteggiamento avete fatto il gioco di Lilith? Se avesse voluto uccidervi tutti lo avrebbe fatto, erano molto più numerosi di voi. È palese che il suo scopo fosse spaventarvi così tanto da costringere i sopravvissuti a nascondersi. Il suo scopo era quello di non avere più cacciatori alle calcagna». Abbassai lo sguardo, asciugando le lacrime che mi scendevano dalle guance, sia per la rabbia che per il dolore. «So che avete sofferto tanto. Avete visto i vostri familiari uccisi senza poter fare nulla. Sento anch'io quanto è stata dura non poter mai mutare. È come sentirsi incompleti, come se una parte della propria anima fosse morta. Ma se continuate a nascondervi, lei proseguirà indisturbata i suoi piani e sarà come se loro fossero morti inutilmente. Non lasciatele credere di aver vinto, perché se io sono qui, se voi siete qui, lei non ci ha sconfitto. Almeno finché l'ultimo di noi respirerà ancora» dichiarai, convinta.  Tara mi guardò sconvolta.Mio nonno spalancò gli occhi, poi la sua bocca si piegò in un sorriso. Mi si avvicinò e mi poggiò la sua mano robusta sulla spalla. «Parli come una vera lycan, sei la degna figlia di tuo padre!» affermò.Dopo si rivolse agli altri e con sguardo fermo li guardò uno per uno. «Ha ragione, ci siamo comportati da conigli per troppo tempo, ma ora è il momento di vendicare la nostra gente, di tornare a essere un branco!»Keller mi affiancò dal lato opposto con uno sguardo pieno di aspettativa e mi circondò le spalle con un braccio. «Questo vuol dire che muterai insieme a noi dopodomani notte? La trasformazione sancirà la tua effettiva entrata nel branco, un vero e proprio giuramento di lealtà nei confronti del clan. Lo farai?»Abbassai lo sguardo, indecisa. Potevo dare totale fiducia a dei perfetti estranei, scegliere di diventare una specie di creatura mitologica e abbandonare la vita normale che i Cohen avevano costruito per me? Volevo davvero immischiarmi in una guerra con demoni e regine malefiche? Certo che non volevo, ma la morte dei miei genitori, di tanti membri della mia famiglia, era stata ingiusta e l'animale dentro di me voleva vendetta. Davanti a me avevo due alternative: dimenticare tutta questa storia e continuare a prendere il siero, oppure accogliere quella parte del mio essere a braccia aperte, con tutto ciò che avrebbe comportato.  "Non ti sei mai tirata indietro Soph, tu sei forte, c'è un essere straordinario dentro di te che lotta per emergere". Mia madre mi rivolgeva queste parole tutte le volte che mi sentivo sfiduciata. Pensavo che sfruttasse la sua abilità di psicologa, ma la realtà era un'altra. Dentro di me c'era davvero un essere straordinario e lo avevo tenuto in catene troppo a lungo.«Sono una Mactire e correrò con la mia famiglia. Sarete con me?» Fui abbagliata dalla luce degli smaglianti sorrisi dei miei zii, dei nonni e del mio enorme cugino. Mi circondarono tutti e mi stritolarono letteralmente in un soffocante e caldo abbraccio di gruppo.Ero a casa. Finalmente.I due giorni successivi li divisi tra le mattine al pub e i pomeriggi alla fattoria, dove aiutai mia cugina Isobel, diventata veterinario da appena un mese, a occuparsi della mandria. Assistemmo anche, con soddisfazione, alla nascita di un vitellino. Nonno Duncan, che non era poi così scontroso, e nonna Ingrede, dolce e comprensiva come solo una nonna può essere, mi raccontarono aneddoti legati alle vecchie foto del clan. Ogni sera, dopo un’abbondante cena, visto che a quanto pare l’appetito insaziabile e il metabolismo veloce sono tratti da lycan, zio Graham e zia Tara mi raccontarono dei miei genitori, di come si erano conosciuti. Erano abilissimi a cacciare i vampiri.Persino un famoso cacciatore, di nome James Rowling, vedendoli combattere si era complimentato con loro. Erano davvero eccezionali, una grande coppia alpha.  Dai vari racconti compresi che nonostante non li avessi mai conosciuti, molto del mio carattere derivasse da loro. Ad esempio era evidente che fossi testarda e metodica come Isobel e coraggiosa e ribelle come Malcom.Alla terza sera dal mio arrivo in Scozia, mi preparai per la cerimonia della prima trasformazione indossando una tunica di tartan del clan. Gli anziani al completo, oltre ai miei cugini Keller, Donald e Isobel, mi condussero in riva al fiume Dee, anch'essi preparati alla stessa maniera: tunica per le donne,  kilt per gli uomini.“Chissà se portano qualcosa sotto il kilt?” mi chiesi, ma dopo una risatina isterica che provocò una certa preoccupazione in zia Aileen, mi diedi mentalmente della stupida. Eravamo tutti nudi sotto gli abiti, visto che per un lupo sarebbe stato un po’ difficile liberarsi dagli slip. Le tuniche e i kilt invece avevano un cordoncino che permetteva di allentare subito gli indumenti tirando leggermente con i denti.  All'improvviso, al pensiero dei miei denti che si facevano affilati come rasoi, fui travolta da un senso profondo di nausea e poi da un sospetto terribile. “E se non mi fossi trasformata?”  I miei cugini avevano iniziato a prendere il siero dopo la prima trasformazione e mi avevano confessato che a volte mutavano di nascosto per non dimenticare l'intensità della vita da lupi. Avevo il dubbio che avendo assunto il siero fin dai primi anni di vita, il mio spirito animale fosse così anestetizzato da non riuscire a emergere.“E se nel tentativo di proteggermi i miei genitori adottivi avessero ucciso il lycan che era in me?” Guardai la luna riflettersi pallida sulla superficie dell’acqua e pregai con tutte le mie forze che non fosse troppo tardi, che quell'istinto che sentivo quando correvo non fosse solo un pallido ricordo della creatura ormai morta dentro di me. Puntai gli occhi in alto e rimasi incantata dalla splendida sfera argentata posizionatasi finalmente allo zenit. La luce che emanava era intensa come un proiettore ed ammantava ogni cosa intorno a me con un chiarore opalescente. Improvvisamente il prurito alla spalla destra divenne ancora più intenso, fino a diventare un bruciore che si propagò attraverso ogni centimetro della mia pelle. Il battito cardiaco aumentò fino a rimbombarmi nelle orecchie e mi rannicchiai a terra, colpita da spasmi muscolari incontrollabili. Una strana e potente sensazione di calore si diffuse nel mio petto, come se stessi per esplodere dall'interno. Poi tutto cessò, lasciando posto alla percezione dell'aria fresca della notte, degli intensi profumi dell'erica e dell’erba mescolati alle note umide provenienti dal fiume.Aprii gli occhi e vidi la luna piena proiettare la sua luce argentea sul paesaggio, spingendomi a esplorarlo. Presa da una voglia irrefrenabile di correre, mi alzai sulle zampe.“Zampe?” Sussultai. Aveva funzionato e fui sopraffatta dall'istinto di ululare di gioia. Il suono mi uscì dalla gola, profondo e tonante. La mia famiglia si avvicinò, disposta a semicerchio intorno a me.Una lupa grigio chiaro tirò la cordicella, liberandomi dalla tunica. «Come ti senti, bambina?» «Nonna, sei tu?» esclamai scioccata. Sulle prime non ricordai che da lupi parlavamo attraverso una specie di coscienza collettiva.«Certo tesoro, mi chiamano mamma chioccia, ma non sono una gallina!» A quanto pare il sarcasmo era un altro tratto di famiglia che avevo ereditato a pieno. «Sei bellissima Sophie, bianca come la neve, proprio come tua madre».«E sei un'alpha come tuo padre! »  mi rivelò nonno Duncan dandomi un colpetto orgoglioso con il muso.«Un'alpha? Ma sono una femmina!»  esclamai incredula.«Questo tra i lycan non conta. Hai ereditato il gene dell'alpha da tuo padre, la potenza del tuo ululato lo prova. Tu sei il nostro capo!» insistette mio nonno.Riflettei un attimo su quella sconcertante scoperta. Il sogno dei miei genitori era quello di unire i branchi delle Highlands, per essere più forti contro i vampiri. Era un piano realizzabile, ma occorreva tempo. Se fossi stata avventata come mio padre avrei condannato a morte tutti.«Sono onorata di questo incarico, ma come lycan sono ancora un cucciolo. Avrei difficoltà a bilanciare i ragionamenti umani con l'istinto del lupo in combattimento. Tu mi hai ripetuto che senza equilibrio non si può sfruttare a pieno il proprio potere». Emisi un guaito e dissi con profonda sincerità: «Non sono ancora pronta per questa responsabilità. Rimarrò alla fattoria, imparerò a combattere come uno di voi. Solo allora chiamerò a raccolta tutti i branchi e Lilith pagherà per ogni vita Mactire che ha spezzato. Lo giuro sul sangue dei miei genitori!»Tutti chinarono il capo con rispetto davanti al mio giuramento. Io mi avvicinai alla riva.Guardai con circospezione la bellissima lupa bianca che mi rivolgeva il medesimo sguardo con due accesi occhi blu. Dentro di me sorrisi, finalmente serena. “Adesso so chi sono!”









Nome completo: Marcus Edwadr MacBride
Età presunta: 30 anni
Età reale: 600 anni
Altezza: 195 cm
Aspetto fisico: capelli biondo scuri, occhi azzurri screziati di rosso, fisico muscoloso
Caratteristiche dominanti: sicuro di sé, sempre pronto all'azione, disponibile e disinvolto.
Cose che odia fare: odia torturare, ma se necessario non si tira indietro.

Marcus Edward MacBride, fisico muscoloso temprato da secoli di lotta contro le forze oscure, sorriso sexy e sguardo accattivante. Valoroso guerriero Highlander, ultimo discendente del clan dei MacBride, o almeno è quello che lui crede. Sei secoli addietro ha assistito al massacro della sua famiglia e del suo popolo per mano di Lilith e dei suoi demoni. Dissanguato e trasformato lui stesso in un vampiro dalla regina dei demoni in persona, non si è mai piegato alla sua volontà. Sul punto di morire per mano del Duca Berith, viene tratto in salvo dagli Arcangeli, ai quali giura fedeltà eterna. Una volta l'anno, - nel periodo in cui cade l'anniversario del massacro della sua famiglia -, Marcus si congeda dai suoi alleati per una settimana e parte per la Scozia. Tornare nelle lande delle Highlands è una sofferenza di cui ha bisogno per alimentare l'odio che prova verso Lilith. Ma l'ultimo viaggio riserva una piacevole sorpresa al valoroso guerriero: l'incontro con Sophie. Quest'ultima non è una semplice umana, ma una Lycan, l'alpha dei Mactire e diverrà la sua compagna di vita.

Fantasmi del mio passato



L'aereo era decollato due ore dopo il crepuscolo. Poche ore di volo mi separavano dalla mia destinazione: la Scozia. La terra degli highlander, il paese che mi aveva dato i natali. Chiusi gli occhi, lasciando che i ricordi mi riempissero la mente.Avevo lasciato la fortezza celata tra la catena montuosa dei Carpazi non appena era calato il sole, con a tracolla una piccola borsa contenente pochi effetti personali. Avevo impiegato solo un paio d’ore per raggiungere Bucarest e salire a bordo dell’aereo sul quale avevo prenotato un posto, grazie alla velocità che contraddistingue la mia specie.Se vi state domandando che razza di creatura io sia, vi accontento immediatamente. Sono un vampiro di 600 anni, anche se agli occhi degli uomini ne dimostro appena trenta.Mi sono messo in viaggio, e ho preso congedo dai miei amici arcangeli, per onorare il mio antico clan, la  mia famiglia di un tempo, come faccio ogni anno. I ricordi mi hanno invaso la mente per tutta la durata del volo: vividi, reali, e dolorosi. Ma è un rito a cui non voglio sottrarmi: rivivere quei momenti mi fa ricordare per cosa combatto ogni giorno e mi danno la forza di andare avanti.Mi rendo conto che l'aereo è atterrato solo quando l’hostess, con voce gentile, mi informa che sono l'unico passeggero rimasto a bordo. La ringrazio con un sorriso educato, recupero la mia borsa e scendo dall'aereo.Respiro a pieni polmoni l’aria frizzante della notte. "Gli anni passano, ma l'amore per la mia terra non morirà mai!" mi ritrovo a pensare. Cammino tranquillamente fino al parcheggio dell'aeroporto e fermo un taxi. Non ne avrei bisogno, ovviamente, ma meglio essere prudenti. Mi accomodo sul sedile posteriore e comunico all'autista la destinazione. Il mezzo impiega circa una quarantina di minuti per portami dove voglio, quindi, dopo essere sceso, pago la corsa lasciando all’uomo anche una lauta mancia.Un sospiro mi sfugge dalle labbra mentre abbraccio con lo sguardo il castello diroccato e tutto ciò che lo circonda. In seicento anni di storia, quel posto è rimasto incontaminato. La civiltà e il progresso non hanno raggiunto la fortezza, né le mura di cinta che delimitano il villaggio ormai deserto. Le leggende locali narrano che questi luoghi siano infestati da presenze demoniache e ciò ha tenuto alla larga gli umani. “Ma ancora per quanto?” mi domando. Lascio perdere quelle considerazioni e mi concentro sulle emozioni del momento. Il bisogno di tornare a casa si fa più forte ogni istante che passa. Muovo un passo, poi un altro, fino a giungere davanti all'imponente portone di legno. Gli do una spinta decisa. I cardini che tengono su i battenti cigolano, ma non me ne curo ed entro. La sala grande è invasa da fitte ragnatele e c’è polvere ovunque, ma io quasi non me ne accorgo. Fantasmi del passato danzano davanti ai miei occhi. Rivedo mia sorella Gwen accogliere radiosa il ritorno di mio fratello, Brendan, da uno scontro contro un clan rivale. I miei genitori, mano nella mano, accolgono il figlio maggiore a braccia aperte, ordinando ai servi di preparare un banchetto per festeggiare il ritorno dei guerrieri. La sacca da viaggio atterra con un tonfo sordo sul pavimento di pietra, mentre sento un peso opprimente al petto. Se il mio cuore battesse ancora, si sarebbe spezzato in questo momento, ne sono sicuro. Esco fuori dalle mura del castello in preda a un attacco di claustrofobia. I piedi si muovono sempre più veloci, come animati di volontà propria. Nel folto dei boschi che circondano il maniero, c’è il suolo consacrato dove ho seppellito il mio popolo e i miei cari.Le ginocchia cedono davanti alla tomba dei miei genitori, ma nel loro riposo eterno non li ho lasciati soli. Ai due lati della fossa ci sono le lapidi della mia gemella, Dàirìne, e di Brendan. Sono passati seicento anni dallo sterminio del mio clan. In poche, terribili ore, Lilith e i suoi dannatissimi demoni hanno spazzato via un intero villaggio. Per qualche oscuro motivo, tuttavia,  lei ha deciso di tenermi in vita...o meglio in morte, trasformandomi in una creatura della notte.L'attacco è avvenuto la stessa notte in cui festeggiavamo il ritorno di mio fratello.Fummo invasi da quell’orda demoniaca, e anche se combattemmo fino allo spasimo, non potemmo nulla contro quei mostri infernali. Le bestie massacrarono ogni uomo, donna e bambino del  villaggio, costringendomi a guardare mentre la regina degli Inferi in persona si divertiva a dilaniare i miei familiari. Credo di aver vomitato anche l'anima, costretto a fissare quello spettacolo orrendo. Urla strazianti ferirono le mie orecchie. Ero uno spettatore impotente e non potevo nulla contro una malvagità di tale portata. Ma l’odio sì, quello potevo provarlo, e mi invase ogni fibra del corpo.Mio padre fu l'ultimo highlander a venire torturato da Lilith. Dopo che la malefica puttana di Lucifero gli ebbe squarciato il collo, gettò il suo cadavere ai miei piedi con una risata malefica, il volto imbrattato di sangue. «Ti è piaciuto lo spettacolo, Marcus?» “Dio, riesco a sentire ancora quella voce!” «Cosa aspetti, maledetta megera? UCCIDIMI!» le urlai, disperato, pregando di raggiungere i presto i miei cari e sottrarmi così all'incubo che stavo vivendo.La risata beffarda della signora degli Inferi echeggiò nelle mie orecchie. «Ucciderti! No, mio caro Marcus, tu vivrai e farai tutto ciò che voglio» mi rispose. La guardai con occhi ricolmi d'odio e non appena l’ebbi alla mia portata, le urlai in faccia tutto il mio disprezzo. «Non mi avrai mai, demonio! Non servirò mai l'orrida creatura che ha spazzato via la mia famiglia».Lilith non si scompose. Mi afferrò il mento, stringendolo tra le dita, e mi piegò la testa. Dopo  affondò i canini nel mio collo e mi succhiò via fino all'ultima goccia di sangue. Quando credevo ormai d'essere morto, un liquido vischioso, dal sapore disgustoso, scivolò nella mia bocca. Cercai di ribellarmi, di sputarlo fuori, ma le forze mi abbandonarono e finalmente persi i sensi.Quando mi svegliai, ero rinchiuso in una cella. Nelle segrete di un maniero, o all'inferno, lo ignoravo in quel momento. Provai a muovermi, ma polsi, caviglie e collo erano bloccati, rinchiusi da anelli attaccati a catene. Ero immune al freddo, la vista e l'udito erano più sviluppati, riuscivo a vedere anche senza torce e sentivo anche il più piccolo fruscio. Mi passai la lingua sui canini affilati e il sapore del sangue mi riempì la bocca.«Sono un vampiro!» gemetti.Nei giorni seguenti Lilith provò a piegarmi alla propria volontà, facendomi torturare nei modi più fantasiosi, ma l'odio che provavo verso quella femmina era così profondo e smisurato che non cedetti di un millimetro. Pagai quell’affronto con il digiuno, e la mancanza di nutrimento mi rese debole e vulnerabile. Un bel giorno si presentò nella segreta con quel suo sorriso sensuale stampato sul bel volto, ma che su di me non aveva alcun effetto. Mi accarezzò il volto pallido e smunto, poi tentò di allettarmi con un boccale di sangue, avvicinandomelo alla bocca. La guardai mentre ne prendevo un sorso. La vidi piegare la bocca in una smorfia soddisfatta e fu allora che le sputai in faccia quel liquido scarlatto che non avevo ancora ingoiato. Lilith ruggì per la furia. Scagliò via la coppa, che s’infranse ai suoi piedi, sporcando la tunica immacolata che indossava. Fu quello l’episodio che la convinse a ordinare ai suoi sgherri di farmi fuori in maniera definitiva. La cosa mi stava più che bene, ma il Destino aveva altri piani per me. Mentre Berith, il luogotenente della sovrana infernale, stava per ficcarmi un paletto nel petto, dopo avermi trascinato nel cortile del castello in cui Lilith si era rifugiata, apparvero davanti ai miei occhi cinque splendide creature alate con un’intera legione di serafini e cherubini alle loro spalle. Ingaggiarono una lotta all’ultimo sangue con la sovrana degli Inferi e i suoi demoni. Alla fine ebbero la meglio e le orde demoniache se la svignarono con la coda tra le gambe.Per tutto il tempo della battaglia io, appeso per le braccia contro il muro, non potei fare altro che osservare quei guerrieri. Quando mi liberarono, mi accasciai sulla pietra dura del cortile e svenni.Quando riaprii gli occhi, tempo dopo, ero adagiato su un comodo giaciglio e qualcuno stava operando una specie di magia. Raphael era chinò su di me. Appresi dopo che si trattava del Guaritore, quando Michael, indicando se stesso e i suoi fratelli, me li presentò uno per uno.

Quando raccontai agli arcangeli chi fossi, spiegando fin nei minimi dettagli quello che era accaduto, vidi la compassione sfrecciare nei loro sguardi. Fu in quel momento che Michael, il guerriero, prese l’iniziativa e mi chiese di unirmi a lui e agli altri nella lotta contro la sovrana del male.Accettai la proposta senza riserve, giurando loro di essere fedele fino alla morte. È da allora che combatto al loro fianco, anche se all’inizio non è stato facile gestire la brama di sangue. Ma ce l’ho fatta e adesso sono, per così dire, vegetariano. Da quel lontano giorno sono trascorsi quasi sei secoli, ma non ho mai dimenticato ciò che è successo. È per questo che una volta all'anno vengo qui, sulla tomba della mia famiglia e continuerò a farlo finché mi sarà concesso di camminare su questa terra. Accarezzo con una mano quei nomi incisi nella fredda pietra e impressi a fuoco nel mio cuore e nella mia anima, poi mi alzo in piedi.L’alba sta per sopraggiungere, è il momento di andare.Torno al castello decadente, prima che il sole faccia di me un cumulo di cenere.










È l’arcangelo dellaMorte. Spalle larghe come armadi, alto 2,05 cm x 130 kg di peso. Capelli corvini lunghi fino alle spalle, occhi di ghiaccio e una bocca sensuale. Tra lui e Cassandra è attrazione a prima vista.

Presentazione Azrael

Desiderio oscuro

Era notte fonda, una di quelle notti cupe e silenziose da film dell’orrore. O forse era il suo umore nero a fargliela apparire tale. Azrael si era ritirato nella sua stanza subito dopo che, con i suoi fratelli e i vampiri, avevano stabilito un piano d’azione per liberare Cassandra. Non aveva voluto unirsi ai compagni per cena, aveva lo stomaco talmente serrato che non sarebbe riuscito a ingoiare un solo boccone. Guardò i tizzoni che bruciavano nel camino: la poca luce che rischiarava la camera proveniva dai ciocchi che sfrigolavano nel focolare. Afferrò un bicchiere panciuto e la caraffa di cristallo dal ripiano dello scrittoio e si versò ciò che rimaneva del pregiato whisky scozzese invecchiato diciotto anni in botti di rovere. Marcus aveva regalato a lui e agli altri arcangeli una bottiglia del prezioso liquore in occasione del suo ultimo viaggio nell’amata Scozia. Scoppiò in una risata amara a quel ricordo: avevano costretto un amico a fare ciò che più aborriva. Portò il bicchiere alle labbra e ingollò il liquore tutto d’un fiato. Il liquido gli incendiò la gola mentre si scavava il percorso sin giù nelle viscere, ma in confronto alla rabbia che gli pervadeva l’anima, pareva un sorso di acqua di fonte. Avrebbe voluto potersi ubriacare, obnubilarsi la mente, ma il suo corpo era immune agli effetti dell’alcool, così come a innumerevoli cose. Un umano, dopo tutto il whisky che si era scolato, sarebbe svenuto da un pezzo, lui invece era perfettamente cosciente. E furioso. Guardò il fondo del bicchiere: era vuoto. Vuoto come era stata la sua vita fino a quando Cassandra non vi era entrata, devastandola. Era l’arcangelo della morte e quel ruolo l’aveva reso il più odiato e temuto tra i suoi fratelli, ma negli occhi della cacciatrice non aveva mai scorto la minima traccia di timore nei suoi confronti. Gli era bastata una sola occhiata per stabilire che quella donna era sua, il suo cuore aveva riconosciuto in lei l’altra metà della sua anima. Non avrebbe mai dimenticato il loro primo incontro, quegli occhi color zaffiro e i bellissimi capelli di fuoco gli avevano fatto rimescolare il sangue. Era bellissima, perfetta. Perfetta per lui. Gli altri non riuscivano a comprendere ciò che provava, non sapevano come si sentisse al pensiero che la donna che amava era nelle mani di Lilith. Stava soffrendo? Quella donna malefica era riuscita a corromperla? Qualcuno stava assaporando ciò che era suo? Le immagini evocate dai suoi pensieri si rincorsero nella mente con la forza distruttiva di un uragano. Urlando di rabbia, scaraventò il bicchiere tra le fiamme. Il cristallo s’infranse in una pioggia di schegge lucenti. Il dolore lo assalì repentino, simile a migliaia di aghi conficcati nel cervello. La testa prese a pulsare, poi si riempì di voci. L’impatto fu talmente violento da lasciarlo senza fiato. Avrebbe dovuto esserci abituato ormai, ma nonostante fossero trascorsi migliaia di anni, non riusciva ancora a farsi trovare preparato a svolgere il ruolo per cui era stato creato. L’aria si addensò, poi un puntino luminoso apparve davanti a lui. Dapprima minuscolo, poi s’ingrandì fino a diventare un varco. Sapeva cosa avrebbe trovato dall’altra parte. Pentimento, dolore, sollievo, paura. In un’unica parola: la morte. Impose a se stesso di ritrovare la calma. Gli ci volle qualche istante per ricomporsi, poi con un pesante sospiro varcò la soglia dorata, facendosi investire da quella luce sfolgorante. Quando toccò terra vide lo sfacelo che l’aveva richiamato. Un incidente frontale: due auto semidistrutte in una strada di campagna desolata e deserta. L’uomo della Mercedes era svenuto, aveva dei traumi in varie parti del corpo, ma questi non avrebbero portato alla sua dipartita, invece per l’autista dell’altra auto, una piccola utilitaria, non c’era nulla da fare. Solo aspettare qualche attimo, il tempo che quel cuore smettesse di battere e si arrendesse all’evidenza della morte e poi avrebbe reso l’anima a lui, perché fosse scortata oltre le porte del cielo. Azrael si avvicinò all’uomo, lo fissò per un lungo momento, allungò le braccia e gli sfiorò il capo, facendosi carico di tutte le sue pene. Quando sentì un dolore acuto penetrargli sotto pelle rabbrividì. Chiuse gli occhi e sospirò accogliendo ogni emozione, anche quelle più negative, come fossero le proprie. Le sue mani tremarono quando la vita si spense e l’anima si librò leggera al di fuori del corpo ormai privo di ogni spinta vitale. Azrael accolse tra le dita quella piccola sfera azzurra che pulsava, la trattenne con delicatezza, diede un ultimo sguardo al corpo immobile e spalancò le maestose ali librandosi nel cielo scuro. Rimase fermo a mezz’aria giusto il tempo di vedere il tizio svenuto riprendere vita, assicurandosi così che non ci fossero altri problemi. Un attimo dopo, con un potente battito d’ali, scomparve alla vista. Era ancora buio quando tornò nella sua stanza. Si accasciò sul letto chiudendo gli occhi, era sempre così doloroso ciò che faceva. Ne portava i segni per delle ore intere, a volte anche per giorni, ma era un fardello che da sempre gravava sulle sue spalle e non si sarebbe mai sottratto a quel dolore. Sapeva quanto era importante la liberazione che donava alle anime che accompagnava. Si addormentò quando i primi raggi del sole colorarono il cielo oltre i vetri, stremato dallo sforzo compiuto. Nei suoi sogni inquieti apparve il volto di Cassandra, l’unica donna che avesse mai rapito il suo cuore, quasi a volerlo consolare. (tratto da Dark Passion)



È l’arcangelo guaritore e la guardia del corpo di Cassandra da che è nata. Altezza 1,85 cm, muscoli tonici e petto scolpito, ha i capelli castano-ramati, zigomi fieri e pronunciati e due occhi color topazio. Segue Cassie nella sua missione in Texas, ma quando le cose si mettono male, per la cacciatrice, è costretto a intervenire, mandando all'aria la sua copertura. Convince la ragazza a seguirlo con la promessa di rivelarle il nome dell’assassino di James Rowling, suo padre.

LA PRIMA VOLTA

V secolo A. C. Grecia antica.

Era l'alba di un nuovo giorno e il sole aveva appena superato la linea dell'orizzonte, illuminando i campi di grano ancora assopiti. La luce nascente dissipò la rugiada che si era adagiata sulle maestose costruzioni monolitiche e proiettò forme oscure sul massiccio del monte Taigeto, ai piedi del quale sorgeva la bellissima Sparta, che stava tornando alla vita. A poco a poco i contadini uscirono dalle loro case e iniziarono ad affollare le strade del centro. Il loro vociare era convulso e si mescolava con i versi degli animali e il cigolio dei carri da lavoro. Le prime guarnigioni di opliti, impressionanti quanto a prestanza fisica, si disposero in varie parti della piazza centrale. Dovevano sorvegliare le bancarelle vuote che a breve si sarebbero riempite con merci introvabili, animando la piazza del consueto mercato settimanale. Un invito al lavoro per i ladri. Lì, in mezzo a tutto quell’andirivieni, addossato a un muro, era abbandonato un fagotto di coperte. Al suo interno qualcosa si agitava. La cosa attirò l'attenzione di un passante, che osservò per brevi attimi quell'ammasso di stracci senza tuttavia mostrare troppa preoccupazione. All’improvviso i lembi si aprirono piano, scivolando a terra in mezzo alla polvere, e una chioma castano-ramata ne emerse. Il giovane aveva zigomi pronunciati, labbra carnose e due intelligenti occhi color topazio che saettavano qua e là, vigili e attenti. Solo quando fu soddisfatto della sua ispezione, si alzò in piedi e si stiracchiò, mandando in tensione tutti i muscoli del suo metro e ottantacinque. Indossava sandali laceri, sporchi di polvere, un paio di brache sbrindellate che un tempo dovevano essere state candide come la neve e un saio che gli arrivava appena sopra le ginocchia, di un verde sbiadito. «Salute a te, guaritore!» esordì il contadino, riconoscendolo. Ancora piuttosto assonnato, il ragazzo si voltò a quel richiamo che, alle sue orecchie, parve più un lamento. Strinse gli occhi e scrutò l’uomo che aveva davanti. Non lo riconobbe all'istante, le nebbie della notte avvolgevano ancora la sua mente, ma l’annebbiamento durò solo qualche istante.«Salute a te, mio caro Akrotis. Scusa, ma ho passato una nottataccia…» si giustificò poggiandosi le mani sui reni e curvando la schiena avanti e indietro. «Lo immagino! Dire che hai un bell'aspetto sarebbe una bugia» osservò Akrotis, sorridendo. «Forse un bel tuffo nelle fredde acque dell'Eurota ti aiuterà a rinascere» concluse, poi sollevando la mano fece un cenno di saluto e proseguì per la sua strada. Il ragazzo lo seguì con lo sguardo, fin quando non svoltò dietro l'angolo del tempio di Athena Chalkioikois. “Bene, ora è bene che mi dia da fare. I malati mi attendono” disse parlando a se stesso. Senza indugiare oltre, si diresse alla fontanella situata nei pressi del pantheon, un edificio imponente dove spiccavano, sulla facciata principale, otto colone doriche. Immerse le mani nell’acqua gelida e si lavò il viso. Fu un toccasana. Aiutò il giovane a svegliarsi e a riordinare le idee. All’improvviso un brivido gli attraversò la schiena, e non aveva niente a che fare con il gelo dell’acqua. Bevve un sorso dalle mani e sputò il resto a terra. Si girò di scatto, scrutando ogni angolo della piazza. Nulla. Eppure le sue percezioni non si sbagliavano mai: c’era una presenza maligna lì, da qualche parte, ma non riusciva a stabilire chi fosse e soprattutto dove si trovasse. Con i sensi all’erta, si voltò per tornare al suo giaciglio e raccogliere le erbe e gli intrugli che usava nella sua professione. Stava per incamminarsi, quando dinanzi si ritrovò una fanciulla sbucata da chissà dove. La guardò, incuriosito. «Ciao piccola» le disse sorridendo, quindi si chinò per mettersi alla sua altezza. La bambina lo fissò, quasi affascinata, poi piegando la testa da un lato, si limitò ad annuire. Rafe era sconcertato. Quella bambina non doveva avere più di dieci anni, ma i suoi occhi erano, come dire… antichi. I capelli, lisci e neri come la notte, le scendevano fino alle spalle e indossava una tunica scura che la copriva dal collo fino alle caviglie, lasciando visibili soltanto i piedini scalzi. D’un tratto le sue iridi mutarono: due sfere di fuoco presero ad ardere in quel viso innocente. Globi rosso vivo che trasudavano odio e malvagità. Incredulo si ritrasse, facendo alcuni passi indietro. «Chi sei?» domandò mentre i lineamenti del suo viso si indurivano, la voce bassa, senza tono. «Chi sono?» ribatté la bambina, divertita. «Eppure dovresti saperlo, caro il mio Raphael. Io sono Diana, Ecate, Ishtar… mi chiamano in diversi modi. Ma io preferisco farmi chiamare Lilith» concluse mentre un ghigno le increspava le labbra carnose. Raphael, l’arcangelo guaritore, inchiodò i suoi occhi color topazio in quelli della signora degli Inferi. «Questo mondo non ti appartiene. Vattene e lascia andare quella povera innocente!» le ordinò, adirato.La sovrana infernale non rispose. Si prese due lembi della tunica tra le mani e iniziò a danzare. Un ballo innocente, scoordinato. Non riservò più il ben che minimo interesse a Raphael, come se si fosse eclissata in un altra dimensione. L'arcangelo era furioso: l'impudenza di Lilith non aveva uguali. Allungò la mano verso la ragazzina e la sfiorò. Immediatamente il suo corpo venne scosso da fremiti incontrollati. Gli occhi lasciarono il posto a globi vitrei, morti. La mente venne perforata da un sibilo metallico. Un dolore allucinante. Urlò. Un grido muto. Il tempo si spaccò, interrompendo il suo incedere. Visioni incomprensibili trovarono posto in un angolo della sua memoria. Sporadiche immagini di morte scorsero repentine in successione. Scudi ricurvi, lance lunghissime, soldati di due fazioni combattere. Una vallata tinta di rosso, il colore del massacro. Quel contatto durò un secondo o un’eternità, non seppe dirlo in seguito. Quando riprese coscienza di sé Lilith non c'era più, volatilizzata nel nulla. Della sua presenza rimaneva solo un nauseante odore di zolfo. Si avvicinò alla bambina che era stata posseduta: giaceva svenuta al suolo. Si assicurò che non ci fosse nessuno nei paraggi e le impose le mani sul petto fino a quando la piccola non si rianimò. Per fortuna non ricordava nulla di ciò che era accaduto. La rimandò a casa, da sua madre. Dopo si appoggiò al muro di pietra dietro le sue spalle, il volto ricoperto di sudore come gli succedeva sempre, dopo ogni guarigione. Ripensò a ciò che aveva visto quando aveva toccato la malefica sposa di Lucifero. Lilith, anche se ignorava per quale motivo, gli aveva permesso di scorgere i suoi piani. Poteva essere una trappola, ma doveva comunque avvisare i suoi fratelli dei sanguinosi piani della regina dell’Inferno. Era costretto ad abbandonare quella terra che tanto amava, ma non aveva scelta. Sarebbe partito non appena il cielo si fosse colorato d’indaco: nessuno l’avrebbe visto solcare i cieli nel buio.


Scheda tecnica Berith, Il Duca

Nome completo: Bernard Berith (conosciuto negli inferi anche con il nome "Baal")

Età: 4500 anni circa

Razza: demone diurno

Altezza: 202 cm

Peso: 136 Kg

Aspetto fisico: capelli neri lunghi fino alle spalle, occhi neri schreziati di rosso, fisico atletico e muscoloso.

Nato come una divinità malefica inferiore, diventò ben presto un combattente temuto per la sua spietatezza e ciò suscitò l’interesse di Lucifero, l’angelo caduto. Fu per questo che, quando il signore degli Inferi gli propose un patto, accettò di sacrificare la sua anima in cambio di un potere smisurato che andava di pari passo con la sua sete di sangue. Negli inferi gli fu attribuito il grado di duca e divenne il comandante di ben 26 legioni di suoi simili. Per millenni servì Lucifero fedelmente, fino a quando egli non lo privò dell’unica cosa a cui tenesse: un’umana di cui si era follemente innamorato. Quando vide la donna priva di vita, distesa tra decine di cadaveri, si ripromise che un giorno si sarebbe vendicato. L’arrivo di Lilith gli fece capire che quel momento era arrivato. Divenne il suo amante e il servitore più fedele della sovrana degli Inferi e grazie a lei riuscì a mettere in atto il suo piano di vendetta.

OSSESSIONE

2000 a.c.

Nascosto al riparo di una grande quercia, vidi per la prima volta quella che in seguito si sarebbe rivelata la mia più grande ossessione. I suoi lunghi capelli neri, smossi dal fresco vento d'autunno, le incorniciavano il volto e la spessa treccia le avvolgeva il capo come una corona, facendola sembrare una regina sebbene il viso fosse sciupato dal sole e dal troppo lavoro nei campi. Quel volto sofferente mi riportò indietro di migliaia di anni, quando ero ancora una malefica divinità inferiore. Gli umani mi hanno sempre visto come un mostro: l diavolo fatto e finito. Bruciarono il capanno dove dimoravo e mi scacciarono dalle mie terre, uccidendo i miei animali. La mia vendetta contro quegli infimi esseri e bevendo il loro sangue. Per secoli li ho perseguitati, fino a quando il Malvagio Creatore Supremo, conosciuto anche con il nome di Lucifero, mi si presentò proponendomi di diventare un suo generale. Fui il primo Duca e mi vennero affidate 26 legioni di creature infernali. In cambiò egli mi offrì tutto ciò che io avessi mai desiderato. Accettai l'incarico, ma mi riservai di riscuotere il mio premio a tempo debito. Quel tempo adesso era giunto.Abbandonai quei pensieri, ritornando alla realtà e stetti ad osservare la femmina fino a quando ella non sparì nel bosco nelle tenebre.Mutai in fumo e riassunsi la mia forma corporea alle porte dell'inferno. Ad attendermi trovai il mio più fedele alleato:, Cerbero, il cane a tre teste guardiano del cancello degli inferi.Attraversai i gironi che ospitavano le anime dannate, quindi mi ritrovai dinanzi al grande palazzo infernale di Lucifero, posto esattamente al centro delle viscere della terra. Varcai il maestoso portone di pietra nero a doppio battente. Una delle guardie mi venne incontro: «Identificatevi!» ordinò.Gli abbaiai contro, furioso, perché non mi aveva riconosciuto. Si proferì in mille scuse, ma io aveva troppa fretta per starlo ad ascoltare. Me lo lasciai indietro, indifferente alla paura che gli riempiva gli occhi.Mi diressi verso le camere sotterranee, scendendo le infinite scale di pietra, quindi mi ritrovai in un grande salone decorato interamente con oro e pietre preziose. Il Sommo Creatore era seduto sul mastodontico trono dorato egiocherellava con i resti di decine di cadaveri che si erano accumulati ai suoi piedi. Con un cenno mi fece segno di avvicinarmi. Mi chinai al suo cospetto, poggiando un ginocchio per terra. Il solito senso di oppressione al petto si diramò fin dentro le mie viscere. Solo quando fu soddisfatto della sua dimostrazione di potere, mi lasciò respirare liberamente. Allungò la grossa mano ornata di anelli in oro e diamanti affinché la baciassi. Lo feci senza battere ciglio, poi rialzai la testa per incrociare il suo sguardo fiammeggiante.La sua pelle era rossa, quasi squamosa.,Aveva denti aguzzi e gli occhi, completamente privi di sclera. Da lui trasudava odio, crudeltà, violenza, inganno, lussuria. Le parole mi uscirono di bocca con voce quasi tremante: «È tempo che ricambi il favore, c'è qualcosa che mi ossessiona più di ogni altra cosa». Il luccichio nei suoi occhi mi fece capire che già sapeva quale fosse la mia richiesta, ma imperterrito continuai. «Si tratta di una femmina, una contadina. Deve essere mia: pretendo il suo corpo e la sua anima!» Le ultime parole mi uscirono in un sibilo. Il Sommo Creatore, poi annuì. «Fa’ ciò che devi!. Lo disse senza neanche riflettere sulla mia richiesta.Mi inchinai, riverente. Desideravo trasformare quella umana in qualcosa che fosse simile a me stesso. Avrei fatto di lei la mia schiava, ma in cambio le avrei donato l'immortalità e l'eterna giovinezza. Qualche giorno dopo l'incontro con Lucifero, mi diressi dove sapevo avrei trovato la mia femmina. Nascosto dietro la solita quercia, perlustrai la zona di campagna dove viveva. Tutto era silenzioso. Troppo. Il vento soffiava leggero, portando con sé il tanfo tipico dei cadaveri in decomposizione.Mi avvicinai con un balzo al capanno, sbirciando al suo interno. Non c'era nessuno, la casa era deserta.Decisi di seguire la puzza e mi ritrovai a percorrere la riva del fiume. Dopo pochi metri, mi accorsi che più camminavo, più il tanfo diventava forte, infastidendomi l'olfatto. Distesi sulla riva c'erano quattro corpi inerti. Tra questi riconobbi la mia femmina. I suoi lunghi capelli fluttuavano nell'acqua del fiume. Una rabbia cieca montò nelle mie viscere, bruciante come acido. Capii subito chi era stato a strapparmela via. Sulle prime la mia reazione, dettata dall'ira, mi portò a pensare di scatenare una guerra, ma non avrei scampo contro Lucifero, era troppo potente per me. Mi costrinsi a lasciar correre per il momento. Prima o poi si sarebbe presentata l’occasione giusta. Allora mi sarei vendicato.

Scheda tecnica

Nome completo: Igor Donovasky detto "Il Cosacco"

Età: 819 anni

Razza: vampiro

Altezza: 197 cm

Peso: 129 kg

Aspetto fisico: Occhi rossi, capelli rasati, mole imponente.

Nato in una piccola cittadina dell'antica Russia, figlio di Ivan e Annuska, fu costretto a lavorare come servo fin da bambino. All'età di 15 anni assistette all'uccisione di tutta la sua famiglia. Lui e sua sorella furono gli unici a salvarsi, ma dopo essere stati catturati furono venduti come schiavi e comprati da una famiglia di mostri pervertiti che li usarono come oggetti sessuali, seviziandoli e torturandoli per anni fino all'inevitabile morte della sorella. Colto da una rabbia sovrumana, trovò la forza di scappare. Proprio mentre credeva che la morte lo stesse raggiungendo, fu trovato e curato da Lilith. Tra loro nacque all'istante un'attrazione incontrollabile e da quel momento lui diventò il suo servo e amante. Scoprì la sensazione inebriante della vendetta nel procurare dolore agli altri e per questo la Signora degli Inferi lo scelse per capeggiare le sue guardie di demoni e vampiri. Dopo averlo trasformato in una creatura della notte, lo portò con sè all'inferno.  Da allora Igor giurò eterna fedeltà a Lilith identificandola come sua salvatrice.


Nacqui secoli fa, sesto figlio di un umile servitore, nella sconfinata steppa russa. Crescevo lavorando per i padroni di mio padre e mia madre, facendo lavori pesanti e pericolosi. La vita del figlio di un servo non era degna di considerazione, perciò sacrificabile quanto quella di un mulo. Quando ormai ero diventato un ragazzo, successe qualcosa che segnò per sempre il corso della mia esistenza. Una sera, mentre la nostra famiglia era riunita per la cena nel capanno in cui abitavamo, le guardie del mio padrone entrarono buttando giù la porta. Accusarono mio fratello maggiore di aver rubato dalle cucine. Senza lasciargli il tempo di replicare, una guardia si avvicinò a Yuri da dietro, gli mise un braccio intorno al collo e con l’altra mano gli torse la testa, rompendogli l’osso del collo. Mia madre emise un urlo straziante e mio padre si scagliò contro l’assassino. Io sentii un dolore lacerante al petto nel vedere quella scena. D’istinto presi tra le braccia mia sorella Katiusha, di poco più vecchia di me, e la attirai verso un angolo dove ci rannicchiammo, impotenti davanti a quello scempio. Accadde tutto in fretta, le guardie trucidarono i miei genitori e i miei fratelli. Appena tornò la calma si accorsero di noi, notarono la bellezza di mia sorella e decisero di tenerci per venderci come schiavi. Durante gli anni successivi fummo rinchiusi e tenuti in catene in una grotta. Ci tenevano completamente nudi e ci sfruttavano a scopi sessuali per i giochi dei nostri padroni e dei loro amici. Eravamo soggetti a perversioni di ogni genere. Mia sorella veniva picchiata e violentata sotto i miei occhi e io subivo lo stesso trattamento davanti a lei e spesso anche davanti a un pubblico attento che commentava, fischiava e incitava. Man mano che passava il tempo il mio strazio e la mia rabbia si traducevano in agonia e rassegnata disperazione. Per quanto tempo avremmo potuto sopravvivere in quelle condizioni? Mi trovavo a sperare di non essere così forte da durare ancora a lungo. Katiusha era più fragile di me, la vedevo deperire ogni giorno sotto i miei occhi. Alla fine cedette e si sottrasse a quel supplizio. Le guardie presero il suo cadavere come fosse un sacco di patate e lo scaraventarono fuori dalla cella, facendolo sbattere contro la parete e poi cadere sopra un cumulo di terra e ossa. L’abbandonarono e se ne andarono. La mia rabbia e il mio dolore divennero insostenibili. Urlai, disperato, e afferrata una grossa pietra, cominciai a sbatterla con forza contro il ferro delle catene che mi tenevano legato. Non fu facile, né veloce, ma alla fine gli anelli si ruppero. Quando le guardie aprirono la cella, con l’intenzione di bloccarmi, io ero preda di una violenza inaudita. Li uccisi con pochi colpi ben assestati. Dopo, presi in braccio il corpo senza vita di mia sorella e cominciai a correre piu forte che potevo, sperando di andare nella direzione giusta. Appena fuori da quell’antro, mi ritrovai in una steppa desolata.Una folata di freddo gelido mi morse la carne e le ossa, i piedi nudi, sui ciottoli ghiacciati, bruciavano a causa dei piccoli tagli che mi ero procurato. Continuai comunque a correre fino a quando mi allontanai abbastanza dalla grotta. A quel punto mi fermai. Servendomi di una grossa pietra scavai una buca e diedi degna sepoltura alla mia amata sorella. Alla fine mi accasciai a terra e scoppiai a piangere, imprecando contro il cielo. Piansi e gridai per ore finchè, stremato, mi addormentai. Mi risvegliai in una spelonca, coperto da una pelle di animale che mi teneva al caldo. Le mani e i piedi erano stati medicati con un unguento profumato e poi fasciati. Un fuoco riscaldava e illuminava l'ambiente. Mi guardai intorno, sorpreso e incredulo. Fu allora che la vidi: la donna piu bella che avessi mai visto. Un corpo perfetto coperto da un abito attillato, non proprio femminile per l'epoca, ma che metteva in risalto tutte le sue forme sinuose e provocanti. I capelli le ricadevano sul petto ed ad evidenziavano i seni sodi. Il suo sguardo sensuale, che mi scrutava intensamente, traboccava di desiderio. Il mio corpo reagì all’istante: non avevo mai sperimentato simili emozioni davanti a una donna. Dopo l’esperienza traumatica che aveva subito, non avrei mai creduto di poter pensare al sesso con così tanto ardore. Invece eccomi, al suo cospetto, col bisogno struggente di toccare, leccare, fare mia quella seducente creatura. Il pene, in mezzo alle gambe, rispose prontamente a quel desiderio. Me lo sentivo duro e pulsante. Lei si avvicinò, si sedette al mio fianco e allungò una mano per accarezzandomi il torace. Indugiò sui pettorali scolpiti, sulle spalle, sui bicipiti. Sentii un brivido percorrermi la spina dorsale. Mi protesi verso di lei e le presi il viso tra le mani, impadronendomi della sua bocca e riempiendola con la mia lingua. Le mie mani cominciarono a muoversi senza controllo per esplorare quel corpo sodo, per toccare quella pelle morbida e calda. Le mani della sconosciuta fecero lo stesso con me. In un attimo eravamo avvinghiati l'una all'altro. Fu sesso sfrenato e carico di passione. Quella femmina –appresi dopo il suo nome: Lilith- mi aveva stregato. Mi prese a vivere con sé, come servitore, e ogni tanto si infilava nel mio letto per soddisfare quel desiderio e quella passione che divorava entrambi. Le piacevano le scommesse e organizzava incontri di lotta notturni ai quali spesso mi faceva partecipare. Per me era un vero piacere combattere, mi sentivo forte e potente, picchiare mi dava una sensazione di liberazione, come se per quel breve momento riuscissi in qualche modo a vendicarmi di quei porci che avevano abusato di me e ucciso come una cagna mia sorella. Era come ritrovarmi di fronte agli assassini dei miei genitori e massacrarli di pugni. Purtroppo quella sensazione spariva alla fine di ogni combattimento, lasciandomi insoddisfatto e bramoso di ricominciare con avversari sempre più potenti. La mia sete di vendetta non si placò mai, ma mi rese forte e diventai imbattibile. Una sera Lilith mi raggiunse sul mio pagliericcio, la sua espressione era piu rovente del solito, la sua bramosia piu accesa. Era nuda e il suo corpo caldo si sfregava sul mio. Mi prese il membro con la mano e lo strinse, poi lo massaggiò con decisione, mentre con l'altra mano guidava la mia verso il centro della sua femminilità. La penetrai con le dita, dentro fuori, dentro, fuori, insaziabile. Intanto le titillavo le labbra procurandole un godimento che si manifestò con gemiti e ansimi. La portai ben presto all’apice del piacere e ciò mi procurava un’immensa soddifazione. Quando fui soddisfatto la afferrai per i fianchi e la abbassai sulla mia verga pulsante, cominciando a spingere vigorosamente. Raggiungemmo l'orgasmo contemporaneamente, poi lei fece una cosa che mi lasciò allibito, qualcosa che non aveva mai fatto prima. Con prepotenza spostò la mia testa di lato e mi morse il collo, con forza. Quell'atto inatteso e il bruciore della carne lacerata mi fecero gridare, ma il dolore fu presto sostituito dal piacere erotico di sentirla succhiare il mio sangue. Era un piacere indescrivibile. All’improvviso sentii un calore che si insinuava nelle mie vene, sempre piu forte, fino a divenire insopportabile. Quella sensazione si allargò in fretta in tutto il corpo: era come se stessi bruciando vivo, come se le mie ossa, la pelle e i miei organi interni si stessero sgretolando. Subii una sofferenza atroce: ero in preda agli spasmi, gridavo e mi controcevo e con gli occhi sbarrati vedevo Lilith che mi guardava con calma e soddisfazione mentre mi accarezzava una guancia. Mi disse qualcosa ma, preda del dolore, non riuscii a capire nulla. Quell'agonia cessò solo quando persi conoscenza. Quando mi risvegliai mi sentivo bene, anche troppo. I fastidi che ero abituato a sentire dopo ogni combattimento era sparito. Mi sentivo in forma come non mai, in verità. Mi guardai attorno e mi accorsi che Lilith mi era accanto. Mi sorrideva con la stessa espressione soddisfatta di una mamma orgogliosa di suo figlio. Mi misi seduto e la guardai con aria interrogativa, rimanendo di una spiegazione. Mi accontentò senza indugi. Quel giorno finì la mia misera vita da umano e iniziò quella inebriante di vampiro. Viaggiai al suo fianco per terre sconfinate, aveva progetti ambiziosi la mia signora e io volevo aiutarla a realizzarli. Mi portò con se agli inferi e mi fece conoscere il suo regno. Voleva radunare altri demoni e vampiri per aumentare la sua potenza contro il nemico. Vidi cose inimmaginabili. Tutto era un'enorme cava di roccia rossa viscida e melmosa, sembrava di stare all'interno di una gigantesca bocca alitante di carne rancida, il caldo era soffocante. Sulle altissime pareti, si perdevano allo sguardo infiniti piani di celle vicinissime tra loro, piene di anime scarne e lamentose che venivano sottoposte a sevizie di ogni genere da demoni che assumevano le piu svariate forme. Mi sentii al sicuro. Per una volta non ero io a soffrire. Vidi il lato oscuro di quelle anime e ripensai di nuovo a chi mi aveva distrutto la vita, la mia rabbia mi sovrastava e sentii di nuovo quel senso di potere e di rivalsa che tanto bramavo. Pensai che Lilith mi aveva strappato dal mio inferno personale e mi aveva salvato. Per questo la mia riconoscenza sarebbe stata immensa. Sarei stato il suo servitore più fedele e avrei combattuto i suoi nemici.






Scheda tecnica:

Stato: Uriel, arcangelo della Vendetta
Occhi: Nero giaietto
Capelli: Neri
Altezza: 1,95
Peso: 120 kg

Fisico possente, torace scolpito, fianchi stretti, è l'arcangelo vendicatore, colui che vendica i torti fatti contro il suo padre celeste e contro tutte le sue creature. Con i suoi fratelli guerrieri combatte Lilith e i suoi demoni da tempo immemorabile. Spesso in coppia con l'arcangelo Gabriel.

PRESENTAZIONE URIEL

La piana era deserta. In lontananza un filo di fumo acre e scuro saliva al cielo in lente volute. La puzza di carne bruciata frammista all’odore ferroso del sangue, portata dal vento, arrivava sin lì. Uriel socchiuse gli occhi. “Ancora vite spezzate e ancora dolore, lacrime che si riversano sulla terra dei padri a inumidire un suolo già arido… avrà mai fine la guerra che stiamo combattendo?” rifletté con un sospiro. Lilith e i suoi adepti stavano mettendo a dura prova gli angeli con le loro continue scorribande e la loro inesauribile sete di sangue. Doveva andare. Non toccava a lui raccogliere le anime dei morti e scortarle, quello era compito di Azrael, e lui non si sarebbe intromesso ma qualcosa in quel triste filo nero che s’inerpicava nel vuoto lo richiamava a sé. Si librò in aria e volò oltre la vegetazione, spingendosi fin dove la colonna nera s’innalzava nell’azzurro di quel mattino. La magione era completamente bruciata e il cortile antistante sembrava un pantano, dove la terra era impregnata di liquido rosso e di fluidi corporali, cosparsa di resti umani irriconoscibili. «Maledetti!» imprecò l’arcangelo guardandosi attorno. «Che scempio orribile» alitò tra le labbra. Storse il naso, nauseato da quel puzzo, ma non distolse gli occhi. Posò i piedi a terra, in mezzo a quella lordura, ma non avrebbe potuto evitarla, era dappertutto. Da ciò che poté dedurre il massacro si era consumato da poco. «Di certo uno dei cani sciolti di Lilith. Luridi bastardi!» proferì girando il capo e guardando in ogni direzione. «Non possiamo lasciare che continuino a far questi scempi. Dobbiamo mettere fine a queste mostruosità e impedire a quella serpe di Lilith di nuocere ancora».  Si spostò con cautela tra i resti anneriti e scorticati, fermandosi di tanto in tanto a osservare ciò che rimaneva di quelle persone. La rabbia che sentiva dentro era immane, ma degli assalitori non c’era traccia. I succhiasangue della regina dell’Inferno se n’erano già andati da parecchio, anche se ciò che avevano lasciato sul loro cammino era ancora caldo. Il fuoco aveva distrutto tutto quello che quelle bestie avevano risparmiato. I resti carbonizzati e fumanti della costruzione erano davvero pochi, mentre non si poteva dire lo stesso dei corpi.  «Li hanno smembrati, fatti a pezzi e gettati ovunque… è stata una mattanza» proruppe con ira. Scalciò un pezzo di legno fumoso. Spalancò le maestose ali e un urlo spaventosi gli fuoriuscì dalle labbra. Gettò la testa all’indietro e alzò gli occhi al cielo, era impotente di fronte a tutto il dolore che ancora sentiva vibrare nell’aria attorno a lui. Spiccò il volo, innalzandosi sopra la devastazione, come se questo potesse bastare ad allontanarlo dal male che pareva ghermirlo. Rimase sospeso a fissare il terreno lordo di umori e intriso delle vite strappate con la forza, incapace di fare qualsiasi altra cosa. Una lacrima, poi un’altra e un’altra ancora iniziarono a rigargli il volto e lui non le fermò, lasciò che sgorgassero liberamente, anche se non avrebbero lenito il suo tormento. «Perché son venuto fin qua?» si chiese amaramente. Ma già sapeva che era il silenzioso dolore che permeava l’aria quello che lo aveva attirato sin lì. La richiesta di vendetta che quei morti avevano lasciato fuoriuscire da loro durante il trapasso, Azrael non riusciva a ripulire l’aria dai pensieri che le persone lasciavano andare durante la dipartita, lui raccoglieva solo ciò che i malcapitati decidevano di consegnargli. Ma quelle mute richieste erano destinate a lui, l’angelo della vendetta.  Nessuno di loro avrebbe avuto riposo sereno finché giustizia non fosse stata fatta, Uriel sospirò, nonostante ciò che provava non poteva esaudire i loro desideri in quel momento. Quelle richieste sarebbero state esaudite quando finalmente sarebbero riusciti a prendere i mostri che perpetravano quegli orribili misfatti. Quando Michael avrebbe dato il via alla battaglia contro Lilith e le sue orde demoniache lui sarebbe stato al fianco dei suoi fratelli. La sua spada avrebbe fatto ciò che quelle anime adesso gli richiedevano: giustizia.



Amael: 2000 anni.
Razza: Demone mutaforma.
Altezza: 1.70.
Aspetto fisico: Capelli neri tendenti al viola, occhi verdi e fisico longilineo.

Amael è un incrocio tra due razze: mutaforma e demone. Due stirpi infernali tra le più crudeli. I demoni, sadici e maligni, con la loro avidità e il loro cuore nero; i mutaforma in grado di assumere qualunque aspetto, incarnando in tal modo le paure più recondite di ogni creatura. Fin da quando era bambina la giovane Amael aveva un ottimo rapporto con suo padre Castor, comandante di dieci legioni dell'esercito di Lucifero, ma non il tipico legame fatto da abbracci, baci o carezze amorevoli. L'affetto era qualcosa che egli dimostrava raramente, ma Amael aveva imparato a cogliere ogni più piccolo segnale di quel sentimento che li univa. Il suo addestramento iniziò all'età di sedici anni. Castor le insegnò a combattere con ogni tipo di arma e a servirsi di ogni genere di espediente per vincere. Sua madre, Rhiannon, la istruì nell'uso dei suoi straordinari poteri. Quattro anni dopo, quando il suo addestramento fu completato, arrivò il tempo per lei di mettersi alla prova. Servì sotto il comando di suo padre, nelle file guidate dal suo braccio destro, Andras.  Si distinse per il suo coraggio in parecchie battaglie: era l'asso nella manica al bisogno. Un evento funesto tuttavia sconvolse ben presto la sua vita e quella di Castor. Rhiannon, durante una missione solitaria, venne uccisa da un cacciatore. Da quel giorno Amael e suo padre fecero dello sterminare i cacciatori la loro missione personale, per rivendicare la madre e la compagna perduta. In seguito, quando Lilith ascese al potere, dopo che Lucifero, suo sposo e del Re dell'Inferno venne imprigionato dall'Arcangelo Michael, non avendo mai riconosciuto nella vampira la loro legittima sovrana, si organizzarono in segreto per spodestarla. Lilith, a conoscenza della cosa, avrebbe voluto subito liberarsi di Castor e dei suoi demoni, ma il prestigio e la potenza del generale giocavano a suo sfavore, perciò aspettò il momento opportuno per mettere in atto la propria vendetta. Incaricò il duca Berith, suo demone fidato, di gestire la cosa. Passarono millenni prima che l'occasione si presentasse. Quando la missione per rapire Cassandra, la figlia che Lilith aveva avuto con l'arcangelo Michael fallì, risolvendosi solo con l'uccisione di James Rowling per mano di Amael, la regina degli Inferi si vide servito su un piatto d'argento il pretesto per far fuori il generale e tutte le sue armate. Solo Amael si salvò, riuscendo a convincere Lilith della sua lealtà.

Presentazione Amael

Avevamo fallito. La missione affidataci da Lilith non era stata portata a termine. Era finita per noi.
Da quando Lucifero era stato imprigionato dall’arcangelo Michele, la sua sposa, Lilith, aveva preso il completo dominio dell’Inferno e tutti i demoni che non le si erano sottomessi avevano fatto una brutta fine. Io, mio padre e i suoi uomini non l’avevamo mai accettata veramente come nostra regina e progettavamo l’usurpazione del suo trono da quando lei ci si era seduta sopra. Berith ci stava sempre dietro, cercando prove del nostro tradimento, ma eravamo sempre stati abili a nascondere tutto, anche se Lilith ormai sapeva. Aspettava solo un motivo valido per uccidere mio padre senza scatenare una ribellione da parte dei demoni che gli erano fedeli. Adesso quel motivo ce l’aveva. Ci era stata affidata una missione semplice: rapire Cassandra e uccidere il suo padre adottivo. James era morto, lo avevo ucciso io personalmente affondandogli un pugnale nel cuore, ma Cassandra era riuscita a sfuggirci. «Qualunque cosa accada, pensa solo a te stessa. Fai quel che devi per salvarti. Tu non devi morire, promettimelo!» Le parole di mio padre mi fecero ritornare alla realtà. Mi girai a guardarlo aggrottando le sopracciglia, non capivo il senso delle sue parole. «Cosa stai dicendo padre?» chiesi guardandolo. Mi stava forse dicendo di abbandonarlo e scappare? Di rinnegarlo? Ripudiarlo? Non riuscivo a comprendere. «Fai quel che ti dico e basta» dichiarò Castor con una strana luce negli occhi. Rassegnazione, pareva. Lui e il suo braccio destro entrarono nella sala dove Lilith dava udienza. Li seguii velocemente, posizionandomi alla destra di mio padre. «Castor...» esclamò Lilith con tono divertito, alzandosi e andandogli incontro. Il suo incedere era seducente, ma Castor non aveva mai subito il suo fascino oscuro. Era sempre stato fedele a mia madre. E questo alla regina degli Inferi non era mai andato giù. «Lilith…» rispose senza inchinarsi.  Era troppo orgoglioso e nemmeno per salvarsi la vita sarebbe sceso a compromessi. «Sono molto dispiaciuta del tuo fallimento, Castor» dichiarò Lilith stringendo le labbra, un lampo di irritazione sfrecciò nelle sue iridi infuocate. «Conosci le regole, vero? Mi tocca punirti, anche se non ne sono contenta…» affermò Lilith con tono mellifluo. Quella stronza sapeva mentire bene, ma stavolta il trionfo nella sua voce era troppo evidente. Voleva uccidere mio padre da secoli e tutti ne erano consapevoli. «Falla finita con questa sceneggiata, Lilith, non incanti nessuno qui!» ghignò mio padre dando finalmente sfogo a tutto l’odio represso che covava per la Regina dei Dannati. «Ah si, Castor? Finalmente sei uscito dal tuo nascondiglio e hai deciso di affrontarmi faccia a faccia?» commentò divertita la vampira. «Il mio odio per te non è mai stato un segreto, piccola sgualdrina» replicò Castor con disgusto. In un attimo le zanne di Lilith si allungarono. «Sei condannato a morte, Castor. Tu, i tuoi guerrieri e anche tua figlia» decretò la regina guardandolo trionfante. «Mia figlia? Intendi quella bastardella? Non è frutto dei miei lombi. È solo una ragazzetta che ha messo al mondo quel mostro mutaforma di sua madre. Può anche morire, anzi sarei felice di vederla al rogo» disse mio padre scoppiando in un ghigno malvagio mentre mi guardava. Sbarrai gli occhi sentendo quelle parole. Per la prima volta nella mia vita fui tentata di scoppiare a piangere. Perché il padre che avevo tanto mi stava trattando in quel modo? Doveva esserci una ragione. «E così disprezzi così tanto tua figlia, eh?» chiese Lilith, ridendo, mentre spostava lo sguardo dal mio viso a quello ancora divertito di mio padre. «Come lei disprezza me. Ha sempre cercato di scoprire cosa progettavo contro di te, così da salvarti la vita. Questa piccola traditrice ti è devota» disse il generale. Non si era girato a guardarmi nemmeno una volta durante tutto quel discorso.  «Ah si? Bene, dovrà darmi una prova della sua lealtà , solo allora verrà risparmiata» decretò Lilith girandosi e facendomi cenno di avvicinarmi. Mi sforzai di muovere i piedi e le andai vicino senza staccare gli occhi da mio padre. «Uccidilo se davvero mi sei fedele» ordinò la vampira guardandomi. “Mi stava chiedendo di ammazzare mio padre! No. Mai. Avrei preferito morire piuttosto che uccidere l’uomo che mi aveva cresciuta e a modo suo mi aveva dato amore. Mi aveva insegnato come sopravvivere all’Inferno e mi aveva sempre portata con sé in ogni missione. Era orgoglioso di me, così come io lo ero di lui. Tutte quelle cose che aveva detto a Lilith erano bugie, ne ero sicura!” «Su, piccola uccidimi. Sei soltanto una sporca mezzosangue. Mangio il cuore di quelle come te tutti i giorni e aspettavo da tempo di sputarti addosso tutto il mio disprezzo» sibilò Castor guardandomi dritto negli occhi. “Fai quel che devi per salvarti”. Mi tornarono in mente le parole che aveva pronunciato prima di entrare in quella stanza. E all’improvviso capii tutto. Mi stava trattando in quel modo per far credere a Lilith che gli ero fedele, per non farmi condannare, per salvarmi la vita…  «Su, uccidilo, o morirete insieme…» mi incalzò Lilith avvicinando le labbra al mio orecchio. Spostai per un attimo lo sguardo verso il generale della legione demoniaca appartenuta a mio padre. Lui era sempre stato il suo migliore amico, come uno zio per me. Lo vidi fare un impercettibile cenno di assenso con la testa. Approvava anche lui. «Muori, traditore…» gridai trovando, non so come, la forza di tirar fuori il mio pugnale. Lo affondai nel cuore dell’uomo che mi aveva cresciuta con uno scatto fulmineo e, mentre Lilith scoppiava in una risata fragorosa, io poggiai la bocca sull’orecchio di mio padre. «Ti voglio bene papà, perdonami» sussurrai cercando di trattenere le lacrime e rimanere impassibile, anche se sentivo il cuore a pezzi. «Sono fiero di te, figlia mia» sussurrò Castor poi, per la prima volta, mi sorrise davvero come un padre amorevole fa con sua figlia. Tirai fuori il pugnale dal suo corpo ormai freddo e privo di vita e spostai lo sguardo verso l’uomo che gli stava accanto. Berith incombeva già sul braccio destro di mio padre, pronto a ucciderlo nel suo modo preferito: lento e doloroso. Velocemente affondai di nuovo il pugnale. Non meritava le torture di Berith. Sapevo che lui avrebbe capito. «Grazie» mormorò infatti con un sorriso, prima che il suo corpo senza vita ricadesse sopra quello di mio padre. «Molto bene, Amael! È arrivato il momento di giurarmi fedeltà come si deve» disse Lilith guardandomi compiaciuta. Io mi inginocchiai davanti e posai le mie labbra fredde sulla sua mano dalle unghie laccate di rosso. Come il sangue che imbrattava le pietre del salone. Dopo uscii da quella stanza, distrutta nello spirito. Arrivata nella mia casa lanciai un urlo lacerante, pieno di dolore e angoscia. Le lacrime mi inondarono le guance. Neanche dopo la morte di mia madre avevo pianto in quel modo, forse perché Castor per me era sempre stato il mio punto di riferimento. Afferrai il tavolino di legno, lanciandolo contro il muro, rovesciai il letto, distruggendolo a furia di calci, e mi scagliai contro il muro gridando e tirando pugni alla solida parete fino a che le nocche non divennero rosso sangue. «Me la pagherai, maledetta puttana! Ti ucciderò fosse l’ultima cosa che faccio!» giurai mentre stringevo con forza i denti per trattenere i singhiozzi.




Scheda tecnica

Nome: Valerie Hubbard
Età: 24
Razza: Umana
Altezza: 1,72
Aspetto fisico: capelli biondi e lunghi, occhi verdi. Corpo agile e flessuoso. Valerie vive in California, in una villetta a schiera che le hanno regalato i genitori per la laurea. È una ragazza solare, ma diffidente con gli sconosciuti. Nei suoi rapporti con gli altri segue l’istinto, infatti sa essere aperta e simpatica se qualcuno le fa una buona impressione. Al contrario, può dimostrasi fredda e scostante con chi non le va a genio. Appassionata di musica e disegno, ha deciso di iscriversi a una scuola d’arte, anche con l’appoggio dei genitori Linda e Spencer Hubbard. Tra i suoi molteplici interessi c’è l’equitazione, il karate e la lettura. Ama specialmente i libri che parlano di esoterismo. Adora le serie tv e i film. Vorrebbe visitare il mondo, in particolare l’Egitto e il Giappone, di cui apprezza profondamente la cultura. Si diletta in cucina, preparando dolci e ogni tipo di pietanza proveniente da tutto il mondo. Adora fare shopping. È legatissima alla sua migliore amica Cassandra, che considera al pari di una sorella, e le rimarrà accanto alla morte del padre adottivo. Rapita dai vampiri di Lilith allo scopo di ricattare Cassandra, farà conoscenza degli Arcangeli e della vita segreta della sua amica. Dopo un’iniziale reticenza, si accorgerà dei sentimenti che prova per l’arcangelo Gabriel e si legherà sentimentalmente a lui.

Presentazione

“Un giorno come un altro”

Il sole penetrò dalla finestra, inondando la camera. Mi stiracchiai sul letto e stropicciai gli occhi per tentare di svegliarmi. Per fortuna era sabato e non dovevo correre all'università, come ogni mattina. Mi alzai dal letto e andai in bagno, aprii l’anta della doccia, regolando l’acqua, e dopo essermi tolta il pigiama vi entrai. L’acqua calda mi rigenerò togliendomi di dosso il torpore, oltre alla stanchezza accumulata durante la serata in discoteca. Avevo trascorso quasi tutta la notte a ballare con Cassie. Mi lavai velocemente il corpo e i capelli, poi mi avvolsi nel mio accappatoio preferito e andai in camera a vestirmi. Dopo un’accurata selezione dei miei indumenti, scelsi un bustino blu con dei merletti bianchi e un copri spalle nero, abbinandoli ai miei adorati jeans grigio fumo a fantasia floreale. Ai piedi calzai le mie Nike air force. Lasciai che i capelli si asciugassero da soli e aprii l’armadio per prendere la divisa di karate con tutto l’occorrente. All’ultimo momento mi ricordai di infilare nel borsone il libro che stavo leggendo. Chiusi la cerniera e mi richiusi la porta della mia stanza alle spalle. Mentre scendevo in cucina, l’aroma del caffè appena fatto mi giunse alle narici. Come ogni sabato, visto che ritornavo dai miei a Toronto, trovai mia madre intenta a cucinare le frittelle. Appena mi vide mi sorrise e io le scoccai un bacio sulla guancia. «Buongiorno, mamma. Dormito bene?» le domandai. «Ciao, tesoro. Sì, ho dormito bene, grazie» rispose sorridendomi. Io la guardai addentando una frittella. Io e mia madre potevamo essere scambiate per sorelle. Stessa corporatura, stesso colore di occhi e di capelli ma, soprattutto, stesso identico carattere. Quando discutevamo ognuna credeva di aver ragione e se magari dovevamo scontrarci con altri ci spalleggiavamo a vicenda, specialmente contro mio padre. «Cosa pensi di fare oggi? Stesso programma del week end?» mi domandò, curiosa. «Andrò ad allenarmi al Dōjō per un po’, poi se mi avanza tempo ho intenzione di fare un po’ di shopping. Mi servono alcune cose». Lei sorrise e sedendomi accanto, iniziò a mangiare. Non ci misi molto a finire la colazione, quindi dopo un saluto frettoloso uscii di casa. Un quarto d’ora dopo arrivai al Dōjō. Per me quel posto aveva un significato particolare. Non solo mi aveva insegnato la disciplina, ma aveva infuso in me quel coraggio che da piccola mi mancava. Quando frequentavo le elementari, una mia compagna di classe a cui non stavo molto simpatica, iniziò a prendermi in giro e a sbeffeggiarmi. Mi arrabbiai moltissimo, ma non essendo un’attaccabrighe evitai di menare le mani, cosa che invece l’altra bambina non si fece scrupoli di fare per provare a tutti che lei era la più forte. “Quanto si sbagliava!” ripensai tra me e me. “Non si dimostra nessuna forza nell’infierire su qualcuno più debole di noi”. Quando per l’ennesima volta venni bullizzata, chiesi a mio padre di iscrivermi a un corso di arti marziali cosicché potessi imparare a difendermi da sola. Lui e mia madre mi accontentarono. La mattina seguente andammo nella palestra di karate di Drew, un vecchio amico di papà, per iniziare un corso di autodifesa. La disciplina mi piacque a tal punto che poi nel corso degli anni iniziai a partecipare a qualche gara a livello nazionale, portando a casa parecchie medaglie. Ancora oggi sono ben accolta nel Dōjō. È diventata la mia seconda casa, tanto che mi è stata riservata un’intera sala per allenarmi in tutta tranquillità. “Non avrei permesso più a nessuno di farmi sentire debole. Questo mi ero ripromessa, e fino a quel momento ero riuscita nel mio intento”.




Scheda tecnica

Nome: Gabriel, il Messaggero
Eta: indefinita (esisto dall'inizio dei tempi)
Altezza: 1,88
Aspetto fisico: Capelli castano scuro, occhi azzurri, fisico possente.
E l'arcangelo messaggero, colui che è in grado di richiamare a sè schiere celesti. Arrogante, dispotico, quando conosce Valerie, l'amica umana di Cassandra, il suo cuore viene travolto per la prima volta, in tutti i suoi secoli di vita, da un sentimento che fino ad allora gli era sconosciuto.

Presentazione

Gabriel, al centro dell’ampio salone, venne attaccato da ben quattro creature della notte. Avevano gli occhi gelidi e si muovevano in sincrono, come i branchi di lupi che infestavano le montagne attorno a loro. I succhiasangue fecero delle finte per spiazzarlo, ma l’arcangelo era un gigante fiero e attento, non si fece intimorire né dal loro aspetto, né dal loro sporco gioco. Parò i colpi con stoccate micidiali e potenti. A un paio di non-morti staccò di netto un braccio, a un altro inferse delle ferite abbastanza profonde da rallentarlo, poi lo finì in un secondo tempo, ma non fece in tempo a esultare per la vittoria, che una mezza dozzina di soldati rimpiazzarono i demoni morti. Combatté come un leone, ma la lotta era impari e ben presto il gigante venne messo all’angolo e ferito. Un fiotto di sangue caldo e denso gli imbrattò la manica del braccio destro, facendolo arretrare. Dietro di lui solo un solido muro di pietra. Furono Thomas e Kendra ad accorrere in suo soccorso e a tirarlo fuori dai guai. Il primo aggredì uno dei succhiasangue abbrancandolo per il collo e staccandogli la testa con il solo ausilio delle mani, l’altra fece danzare con maestria i suoi due pugnali tantoo, seminando il panico tra le schiere infernali. Gabriel, ripreso fiato, tornò a menare fendenti con forza, facendosi largo tra le bestie immonde. Attorno a lui la battaglia infuriava senza tregua. Le urla delle bestie sovrastavano qualsiasi altro rumore, rendendo l’aria colma di orrore. I suoi occhi si posarono sulla ragazza incatenata alla parete e sul neonato, gettato a pochi passi da lì. La giovane aveva il viso inondato dalle lacrime, lo sguardo terrorizzato. Alcuni Incubi le si stavano avvicinando. Uno di essi si avvicinò lascivo, la lingua accarezzò impunemente la pelle della giovane, che iniziò a urlare, un altro afferrò il piccolo e se lo portò alla bocca. Gabriel serrò forte le labbra, un moto di rabbia lo invase e scattò fulmineo, nonostante la ferita sanguinasse e lo avesse indebolito. Quando arrivò addosso all’orribile creatura, ormai per il piccolo non c’era più nulla da fare: era stato squartato dalle lunghe zanne del mostro. Con un urlo disumano, afferrò il demone per la gola e gli strappò la testa dal collo gettandola lontano, in mezzo alla battaglia. Si girò mentre il corpo del suo nemico esplodeva. Il corpicino ricadde scompostamente a terra, ormai privo di vita. Gli altri due Incubi fissarono Gabriel con le loro iridi maligne, i grugni deformi. Cominciarono a girargli intorno, cercando di individuare il suo punto debole, ma l’arcangelo tenne alta la guardia. Con la coda dell’occhio vide la ragazza aggrapparsi disperatamente alle catene, gli occhi sbarrati ormai in preda al panico. Tremava come una foglia e cercava invano di liberarsi, ma ovviamente ogni suo tentativo risultò inutile. Affrontò uno dei due mostri con determinata lucidità e lo finì con rabbia, nonostante il dolore lancinante che provava, poi si girò, deciso a eliminare anche l’altro. Emise un ruggito furioso quando vide la bestia afferrare Valery per i capelli e inclinarle il collo all’indietro. La belva stava per affondare i denti acuminati nella gola scoperta della giovane, quando due mani poderose lo strapparono via dalla sua preda, mandandolo a schiantarsi contro una parrete di pietra con un tonfo sinistro. Il demone ricadde al suolo con tutte le ossa rotte. Stavolta Gabriel non si preoccupò di dare alla bestia immonda il colpo di grazia. Con i denti serrati per il dolore, si avvicinò alla prigioniera e la liberò dalle catene, scardinandole dal muro con gli ultimi rimasugli di forza. Dopo sollevò la ragazza tra le braccia e se la poggiò al petto. Scambiò un breve cenno d’intesa con Marcus, poi spalancò le ali e abbandonò il luogo della battaglia.

Michael si guardò attorno, i demoni ormai erano rimasti in pochi. Molti erano già in fuga, inseguiti dai cherubini, altri stavano ancora lottando, ma erano allo stremo delle forze. Ordinò la ritirata. Ormai non aveva più nessun senso continuare a combattere. Il nemico era stato vinto, anche se non sconfitto del tutto, dato che Lilith era riuscita a fuggire, ma era pur sempre una battaglia vinta. Almeno una delle due vittime era stata salvata, e un po’ di demoni eliminati. Il pensiero però era rivolto alla figlia. Non si era aspettato da Azrael quel gesto folle, non era premeditato e non aveva idea di dove l’avesse portata. Si appoggiava all’unica speranza che in un modo o nell’altro Morte sarebbe riuscito a tenerla a bada, se la mutazione avesse portato a galla la parte maligna di Cassie. Ormai era chiaro che Azrael aveva perso la testa. Niente l’avrebbe fermato. Anche lui conosceva la profezia che gravava su Morte, ed era certo che avesse riconosciuto in Cassandra l’unica creatura in grado di sedurre l’anima dell’angelo nero. Al suono dei corni angelici i rumori si spensero e gli ultimi abomini della regina dell’Inferno si diedero alla fuga, mentre gli arcangeli raccolsero i loro feriti. «State tutti bene?» chiese Michael qualche tempo dopo, quando i fratelli e i tre vampiri furono al sicuro tra le mura della loro dimora. «Gabriel?» interrogò il Messaggero celeste. «Ci siamo tutti, sì. Messi bene più o meno direi» replicò distrattamente Gabriel tenendosi il braccio. La sua attenzione era rivolta alla ragazza svenuta che giaceva sul divano. Aveva perso i sensi quando si erano alzati in volo per allontanarsi il più in fretta possibile dalla fortezza di Lilith. Rendersi conto di trovarsi abbarbicata al petto di un angelo doveva essere stato troppo per lei e forse era meglio che fosse stata incosciente. Marcus avrebbe dovuto cancellarle i ricordi non appena si fosse svegliata, non potevano certo acconsentire che tornasse alla sua vita adesso che era al corrente del loro segreto. E comunque l’orrore provato non le avrebbe permesso di avere una vita normale. “Non avrà più memoria di noi! Di me!” pensò. Improvvisamente fu colto da uno strano malessere e barcollò in avanti. Uriel lo sostenne prontamente, facendosi carico del peso dell’amico. L’arcangelo guerriero guardò i suoi compagni. Ammirò la fierezza dipinta sui loro volti, mista al dolore e alla stanchezza. «Raphael, credo che oggi avrai il tuo bel da fare a rimetterci in sesto» sospirò. «Allora è meglio se ci mettiamo all’opera subito» replicò l’arcangelo guaritore prendendo una poltrona e andando a piazzarla davanti al camino acceso. «Chi vuole essere il primo?» sorrise alzando le mani davanti a sé, mentre una luce azzurrina cominciava a sprigionarsi dai suoi palmi aperti. Gabriel scosse il capo, divertito. «Occupati prima di lei, poi penserai a noi» proferì con voce ferma, quindi si avvicinò al divano. Uriel fece per chinarsi e sollevare la ragazza ancora addormentata tra le sue braccia, ma un’occhiata infuocata dell’altro lo fece desistere dall’intento. Tutti rimasero stupiti da quell’atteggiamento possessivo ma, vista l’espressione truce del compagno, non osarono contestare. Dopotutto era stato lui a salvarla nel covo di Lilith. Solo dopo che Raphael ebbe guarito le ferite della giovane, Gabriel si lasciò curare a sua volta. (TRATTO DA DARK PASSION)

Nome: Jessy Wayland
ETà:23 anni
Razza: Nephilim,
Altezza: 1,66
Aspetto fisico: Capelli lunghi mossi, biondo ramati, profondi occhi azzurro cielo. Sangue metà umano metà angelico. Fisico snello e atletico che la rende agile nei movimenti.

Jessy è una Nephilim, una cacciatrice di demoni. Nata in una piccola cittadina del New Jersey, figlia di Jason Wayland, abile arciere, e Layla Hale, madre amorevole. Addestrata dal padre a utilizzare svariate armi di diverse fatture e abile combattente nel corpo a corpo grazie anche alla sua esile figura. In battaglia ama particolarmente utilizzare la sua Spada Angelica "Lelahel", e il suo arco. La sua unica ragione di vita è quella di ripulire questo mondo dalle creature demoniache e principalmente vendicarsi dell'essere infernale che uccise a sangue freddo i suoi genitori quando era ancora solo una bambina.Cresciuta in diversi istituti, al raggiungimento della maggiore età è andata per la sua strada, quindi allontanatasi dai suoi ultimi tutori, Bastian e Mary, si trasferisce in una nuova città: Parigi. Qui incontrerà l'Arcangelo Raphael, del quale s' innamorerà perdutamente.

The Warrior

Jessy Wayland era una ragazza come tante, fino a poco tempo fa’: una vita tranquilla in una piccola cittadina del New Jersey, molti amici, una famiglia amorevole… Tutto nella norma, insomma. Beh, a parte il fatto che sono una Nephilim, una cacciatrice di demoni. Come avrei potuto definire la mia vita in una sola parola? “Perfetta”. Adoravo trascorrere le mie giornate sul piccolo portico di casa, ascoltando mia madre che leggeva uno dei suoi amati libri, ma i pomeriggi più eccitanti e divertenti erano quelli trascorsi con mio padre, in palestra . Nephilim da generazioni, Jason Wayland era uomo coraggioso, abile nell’arte della spada e un infallibile arciere. È stato lui a farmi diventare la guerriera che sono oggi, insegnandomi a combattere con disciplina e rigore assoluti e temprando il mio carattere. Fino alla notte in cui fu ucciso, insieme a mia madre. ”Ladri”, sostenne la polizia umana, ma io sapevo che era tutta una farsa colossale. La colpa di quel massacro era da attribuire ai demoni. Erano piombati in casa nostra alla ricerca di chissà cosa. Avevo visto chiaramente il volto di uno dei tre: non potrò mai dimenticare il suo viso, né i suoi occhi senza anima, neri come la notte. Avrei voluto intervenire, fare qualcosa per proteggere i miei cari, ma ero solo una ragazzina, ed ebbi paura. Mi sono chiesta mille volte perché mi risparmiarono la vita, ma non sono mai riuscita a darmi una risposta. Fatto sta che quella notte mi ha cambiato profondamente. Venni sballottata in vari istituti per la mia “condotta poco accettabile”. Ripensando a quei tempi, riconosco di non essere stata proprio una santarellina, ma chi avrebbe potuto essere “normale”, dopo quello che mi era capitato? Al compimento della mia maggiore età decisi di percorrere la mia strada da sola. Ormai avevo affinato le mie doti di combattente e sapevo maneggiare egregiamente svariate armi. Sapevo che avrei dovuto cavarmela da sola e che potevo contare solo su me stessa, fino al mio ultimo respiro. Fu con questa convinzione, quindi, che presi qualche indumento, Lelahel, la mia spada angelica, e il mio stilo, e infilai tutto in una sacca. Era tutto ciò di cui avevo bisogno. Salutai a malincuore Bastian e Mary, i miei ultimi tutori. La coppia era stata davvero buona e comprensiva con me… a volte anche troppo. Ma ormai per me era arrivato il momento di tagliare i ponti. Le costrizioni mi stavano strette e non riuscivo più a sottostare a tutte quelle stupide regole. Durante gli anni ero arrivata a una decisione: avrei fatto della caccia ai demoni la mia missione di vita, proprio come i miei genitori. Avrei scovato quegli schifosi bastardi che li avevano uccisi e li avrei massacrati con le mie mani. Mi sono trasferita in una nuova città, costruendomi una nuova vita. Nessuna distrazione, niente amici, niente svaghi, né amori. Il mio unico e solo obiettivo è dare la caccia alle spietate creature demoniache che incroceranno il mio cammino. Per loro sfortuna. Kendra ..Kendra MacBride...


Nome completo: Kendra MacBride
Età: apparente 27, reale 47
Razza: Vampiro vegetariano
Altezza: 179 cm
Aspetto fisico: Capelli e occhi di un profondo castano quasi nero, pallore etereo tipico dei vampiri, alta e con fisico atletico.

Abbandonata alla nascita da genitori sconosciuti, cresce tra l’orfanotrofio più povero di Boston e varie famiglie affidatarie, che mal tollerano il suo carattere ribelle e testardo. Alla maggiore età decide di vivere da sola, lavorando nei posti più disparati. A causa della sua naturale bellezza esotica viene spesso importunata dagli uomini, perciò impara a difendersi a mani nude molto presto. Una notte viene aggredita da un vampiro e a causa del grave dissanguamento provocato dall’attacco il suo salvatore Marcus è costretto a trasformarla in una creatura della notte. Nonostante l’iniziale difficoltà ad adattarsi alla nuova vita diventa ben presto un’abile guerriera, votata alla lotta contro il male. La sua natura sarcastica e indisciplinata da molto filo da torcere al suo creatore, anche se lei lo considera a tutti gli effetti il padre che non a mai avuto. Si innamora dell’altro “figlio vampiro” Thomas, creando con lui un rapporto molto profondo fondato su comprensione e rispetto reciproco. Per la sua abilità nel combattimento sarà scelta dagli arcangeli per fare da guardia del corpo a Cassandra durante la sua gravidanza.

MORTE O RINASCITA?

Mi chiamo Kendra.
Kendra e… nient’altro. Un cognome è soltanto un legame con il tuo passato, un insieme di lettere che ti àncora alle tue origini, alla tua casa o alla tua famiglia. Sempre se ne hai una e se ti fa piacere conservarla nella memoria. Per me non vale né l’una, né l’altra cosa. Ecco spiegato un enigma della mia esistenza. Il primo di molti, forse il meno complicato. Quando non sai chi ti ha messo al mondo, perché è stato probabilmente troppo codardo per prendersi le sue responsabilità, tanto da abbandonarti ancora in fasce davanti al portone di uno degli orfanotrofi più poveri alla periferia di Boston, ti rendi conto che non ha alcun senso illudersi di poter ricevere affetto disinteressato da qualcuno nel corso della tua esistenza. Così impari a chiuderti nel tuo mondo come un riccio e a contare solamente su te stessa, perché sei l’unica di cui ti potrai mai fidare. Gli anni passati all’orfanotrofio non sono stati felici, ma ho iniziato comunque a rimpiangerli quando è cominciata la lunga serie delle mie adozioni, un continuo via vai da una famiglia all’altra per colpa del mio terribile carattere e della mia inevitabile tendenza a voler boicottare i loro ridicoli tentativi di trasformarmi in una obbediente bambina-modello. Al solo pensarci mi viene da ridere.
Era come voler convincere Vlad Dracul l’Impalatore a fare il chierichetto a messa la domenica mattina: tanto ironico quanto impossibile! All’età di 18 anni, quando ho acquisito legalmente la capacità di prendermi cura di me stessa, anche se di fatto ho imparato a farlo molto prima, mi sono trovata un lavoro come cameriera e ho iniziato a guadagnare quel tanto che bastava per andare a vivere da sola. Nel corso degli anni ho lavorato in diversi locali. Un po’ come barista, un po’ servendo ai tavoli, ma non resistevo mai più di qualche mese, perché il mio caratterino non tollerava le libertà che molti uomini si prendevano col mio corpo. Piccole provocazioni spesso finivano per scatenare risse vere e proprie che si concludevano inevitabilmente con me licenziata e un ubriaco con un occhio nero. Non ancora soddisfatta delle mie performance combattive – “Perché accontentarsi quando hai le potenzialità per fare di più?” -, mi sono iscritta a un corso intensivo di kick-boxing, dando subito prova di grande forza e agilità. Dentro di me avevo un’immensa quantità di rancore accumulato nei miei anni di vita da mortale e questa disciplina mi ha permesso di veicolarla nella maniera meno cruenta. Per gli altri, ovviamente. Insomma, prendere a pugni un sacco di plastica, anziché la faccia delle persone, era il primo passo verso la civiltà. O almeno era quello che speravo. Ho 27 anni. Anzi, forse sarebbe meglio specificare che ho 27 anni da circa un ventennio. Già vedo le espressioni di sorpresa e di incredulità nei volti di chi legge e che in questo momento starà sicuramente pensando: “Questa qui ha qualche rotella fuori posto!” Immaginate di scattare un’istantanea di un momento della vostra vita in cui avete un bel visino giovane e un corpo da fare invidia a una modella, e poi di portarvi dietro quella fotografia per il resto della vostra lunghissima esistenza rimanendo sempre perfettamente identici a quell’immagine su carta plastificata. Ecco, a me è successa più o meno la stessa cosa. Mentre tornavo da uno dei miei allenamenti serali di kick-boxing, sono stata aggredita davanti casa da una sorta di mostro. Oddio, chiamarlo mostro è quasi un controsenso, visto che di lì a poco sarei diventata esattamente la stessa cosa, ma almeno io avrei conservato il mio sex appeal e la mia bellezza, mentre quello sembrava la brutta copia di uno zombie con l’anemia. La creatura in questione era un vampiro.
È inutile che mostriate di nuovo quell’espressione di incredulità. I vampiri esistono come esistono gli angeli, i demoni , le arpie e compagnia bella. Dovrebbero cominciare a insegnare qualcosa di più istruttivo nelle scuole, anziché noiosissime e inutili lezioni di storia dell’arte o di educazione civica! Comunque, il suddetto mostro mi ha letteralmente scaraventato contro un’auto come se fossi leggera come una piuma, poi si è avventato su di me per banchettare con la mia giugulare. Sarei morta sicuramente se non fossero intervenuti due tizi a salvarmi, facendo sparire dalla circolazione la creatura in pochi minuti e portandomi in salvo in uno stato semi-incosciente. Il destino però, quel giorno pareva ce l’avesse a morte con me, perché i miei salvatori erano anche loro vampiri e per permettermi di sopravvivere uno dei due, Marcus, mi fece l’immenso favore di trasformarmi in una di loro, facendomi bere il suo sangue. Forse potrei passare per maleducata e irriconoscente, ma quello che per lui fu un dono prezioso e importante, per me fu solo l’inizio di un tormento e di una scocciatura di proporzioni colossali. Avrei preferito morire mille volte, piuttosto che diventare una creatura della notte. O almeno era quello che pensavo a quell’epoca. Per cui diedi un bel filo da torcere al mio creatore. E con molta, molta soddisfazione. Marcus era il più antico dei due. Thomas, invece, era un’altra creazione del nostro sommo maestro. Essere un vampiro ha i suoi pro e contro: l’aspetto fisico resta sempre lo stesso. Rimani un’eterna, bellissima giovane con un corpo più tonico e un pallore cutaneo abbastanza marcato, come se non facessi una vacanza al mare da un’eternità e non sapessi minimamente cosa significa abbronzarsi in spiaggia in bikini. Uuuuuhhhh quanto mi manca, ma non mettiamo il dito nella piaga! Per quanto riguarda le abilità fisiche, beh, quella è tutt’altra storia. Il cambiamento è drastico. Acquisisci forza, velocità e destrezza in poco tempo e se ti alleni come ho fatto io le puoi quadruplicare molto rapidamente e col minimo sforzo. Il potenziamento dei sensi è stata un’altra scoperta portentosa. È come se fino a quel momento non avessi mai percepito il mondo intorno a me nel modo giusto, come se non l’avessi mai né sentito, né vissuto. La vita da vampiro però non è tutta rose e fiori: vivi di notte , il buio e l’oscurità sono la tua vita e la tua forza e il sole è tuo nemico. Non potrai mai più fare footing al parco a mezzogiorno, oppure concederti una nuotata al mare di domenica mattina. Non che fossi una donna con una vita sociale vera e propria da viva, ma amavo i miei momenti di solitudine all’aria aperta. Ho dovuto rinunciare a tutto questo. All’inizio è stato uno sforzo duro da sopportare, ma poi ci ho fatto l’abitudine e ho imparato a guardare i lati positivi della nuova situazione in cui mi trovo.
Un esempio? Per la prima volta in vita mia ho conosciuto il vero significato della parola famiglia. In realtà la nostra è stata fin da subito una famiglia un po’ strana: un vampiro creatore con due figli acquisiti. Per come la vedo io, comunque, ciò che conta non è il tipo di figure che la compongono, ma il forte legame che si crea tra i suoi membri e vi posso assicurare che, nonostante le scaramucce e i battibecchi iniziali tutti ovviamente generati da me e dalla mia indole ribelle e testarda, il legame che si è creato tra di noi è talmente forte, vero e genuino che non lo scambierei mai e per nessuna ragione al mondo con nessun altro. Marcus e Thomas mi hanno addestrata nel miglior modo possibile e si sono adoperati per rendere meno traumatica la mia trasformazione. Come ho già spiegato, all’inizio ho reso a Marcus la vita quasi impossibile, ma in qualche modo dovevo esprimere il rancore che covavo nei suoi confronti per avermi cambiato radicalmente l’esistenza senza darmi alcuna voce in capitolo. Con Thomas, invece, le cose sono andate in modo un po’ diverso. Potevo avercela con lui per aver permesso a Marcus di trasformarmi senza opporre resistenza, ma non l’ho mai visto realmente come il diretto responsabile della mia tragedia personale. Con lui c’era dell’altro, oh sì, molto altro. Fin da subito è nata tra di noi una sorta di intesa che andava ben oltre l’affetto fraterno o il senso di protezione tra membri della stessa famiglia. Non riuscivamo a stare lontani l’uno dall’altra, con qualsiasi pretesto ci prendevamo in giro, ci punzecchiavamo, ci sfidavamo a combattere senza mai colpirci seriamente, oltre a guardarci le spalle in battaglia. Non c’era bisogno di tante parole, perché bastava uno sguardo per capirci alla perfezione. Spesso sorprendevo Thomas a fissarmi in un modo talmente profondo da penetrarmi fin dentro le ossa e farmi tremare. Marcus è stato il primo ad accorgersi di quello che era nato tra di noi, ma non ne ha mai fatto parola. Ha preferito aspettare che ce ne rendessimo conto da soli e venissimo a contatto con la realtà nuda e cruda: ci eravamo innamorati. È vero, 20 anni fa la mia esistenza è cambiata radicalmente, e non per mia volontà, ma se considero quello che ho adesso: un ragazzo che amo più di me stessa e un padre che adoro e per il quale darei la vita in qualsiasi momento, mi ritengo davvero baciata dalla fortuna. Mi ci ha voluto un po’ per capirlo, ma l’orgoglio e la testardaggine, come ben sapete, sono due brutte bestie. La nostra missione è sempre stata una sola, ed è per questo che ci alleniamo continuamente: combattiamo il male a fianco degli arcangeli. Marcus era già un loro alleato da molto prima che io fossi creata, ma vi posso assicurare che girare di notte per scovare demoni e vampiri e cancellarli dalla faccia della terra a colpi di pugnale è un’occupazione che mi riempie di orgoglio e di immensa soddisfazione. È come se in ognuno di loro rivedessi la creatura che mi ha aggredito quella notte e più ne uccido, più innocenti mi ringrazieranno in futuro per non essere finiti nelle grinfie di quella feccia che gli Inferi sfornano più spesso di quanto si immagini. Attualmente siamo alle prese con una vampira psicopatica di nome Lilith, che si è messa in testa di voler scatenare le orde dell’Inferno per poter conquistare il mondo e assumerne il controllo assoluto. Bla bla bla, il solito delirio di onnipotenza da pazzo megalomane! Mai una volta che un cattivo abbia un’idea originale e nuova. Sempre la stessa storia, comincio ad annoiarmi. Non esistono più le creature malvagie interessanti di una volta. Comunque non avrà vita facile. Io, Marcus, Thomas e tutti gli altri siamo pronti a difendere gli esseri umani da qualunque minaccia, e se laggiù negli Inferi qualcuno è ancora così stupido da sottovalutarci, beh, commetterà un errore imperdonabile che gli costerà la pelle, parola mia!


Scheda tecnica

E' una strega particolarmente dotata, studiosa di magia e scienza ermetica. Alta un metro e sessantotto, pesa quarantotto chili e ha vent'anni. Lunghi capelli color cioccolato, lisci, occhi castano intenso che diventano color miele quando la sua magia si manifesta al massimo dell'intensità. Ha una gatta rossa tigrata di nome Bastet: è il suo familio. Morgan si è trasferita dalla città natale di Cardiff, nel Galles, a San Diego, California, per frequentare una scuola di magia che le permettesse di esprimere il massimo del potenziale e la allontanasse da una casa sempre vuota e un padre assente. Si è stabilita nel quartiere di Chula Vista, dato che ama il mare e segue le lezioni dell'Ararita, un'organizzazione religiosa che tiene eventi e lezioni su Thelema. Nel tempo libero ama camminare sulla spiaggia, leggere libri di filosofia occulta, horror e thriller. È una ragazza allegra e spumeggiante, che adora le feste con gli amici e la musica, ma al contempo è molto sensibile. Ascolta diversi generi, ma il suo preferito rimane il rock, sia classico, sia contemporaneo. Ama i dolci, il suo preferito è il tiramisù. Le sue capacità magiche sono: la lettura dell'aura (la percezione dei campi di forza che circondano persone, oggetti e luoghi), la proiezione astrale (la proiezione di parte della propria anima fuori dal corpo fisico), la seconda vista (percezioni al di fuori dei cinque sensi umani conosciuti); la rabdomanzia (l'abilità di localizzare oggetti e persone); la psicometria (abilità di ottenere informazioni da un oggetto o da una persona semplicemente toccandoli o concentrandosi su di essi), la pirocinesi (la manipolazione del fuoco) e la psicocinesi (la manipolazione della materia attraverso il pensiero).

Role di presentazione

Una ragazza particolare

Una luce calda e dorata mi destò dal sonno. Socchiusi gli occhi e lasciai che l’oro del sole mattutino si riversasse nella mia anima. Fuori dalla finestra, un nuovo giorno stava iniziando. Presto la città si sarebbe messa in moto: caotica, gioiosa. Indugiai in quella splendida sensazione di torpore per un periodo di tempo indefinito, ma infine dovetti decidermi ad alzarmi. Davanti alla finestra della cucina, che dava sul retro della casa, osservo il quieto panorama di Chula Vista, il quartiere di San Diego dove vivevo. La quiete del mondo quando sopraggiunge l’alba mi riempie di pace. Percepisco il potere della natura in tutto il suo splendore. Verso i cereali di mais nella tazza colma di latte caldo. Apro un cassetto, scelgo un cucchiaio grande e siedo al tavolino quadrato al centro della stanza. Dopo aver fatto colazione mi reco nella mia stanza, apro le ante del guardaroba e scelgo la mia mise per la giornata. In questo periodo dell’anno la temperatura dell’aria di San Diego ha un’escursione termica piuttosto repentina. Il termometro fuori dalla porta-finestra della camera segna appena dieci gradi, ma ben presto, verso mezzogiorno, ne segnerà ventidue. Non sono mai stata una persona freddolosa, di conseguenza il clima del luogo è perfetto per me. Indosso un top con le spalline strette, sopra una semplice maglia a maniche lunghe con scollo a V. Completo con jeans e scarpe da ginnastica. Nell'atrio, prima di uscire, afferro la giacca di pelle che pende dall'attaccapanni e la borsa che è adagiata per terra, poi come ogni giorno, da ormai tre anni, mi reco alla lezione di magia e scienza ermetica tenuta da un gruppo di Thelemiti nella San Diego Valley.



SCHEDA TECNICA

Nome completo: James Rowling
Età: 49 anni
Professione: Cacciatore di vampiri
Razza: Umano
Altezza: 180 cm
Peso: 95 kg
Aspetto fisico: Occhi castani, capelli castani, fisico da combattente.

Nato a Caldwell, fin da ragazzino venne incentivato da suo padre a seguirne le orme entrando in polizia. Dopo il college entra in accademia, completando il suo corso con il massimo dei voti. Entra a far parte della sezione omicidi, dove incontra il suo migliore amico, Iron, che gli insegna i segreti del mestiere e lo allena nelle arti marziali, facendolo diventare un ottimo combattente nel corpo a corpo. La morte del suo collega, avvenuta per mano di un vampiro, segna una svolta nella sua vita. Da quando scopre l'esistenza di quelle creature, la sua unica missione di vita sarà scovarle e farle fuori. Con la caparbietà che lo contraddistingue, molto presto diverrà uno dei più temuti cacciatori al mondo, tanto da suscitare l’interesse dei cinque arcangeli celesti, che ne fanno un loro prezioso alleato. In seguito Michael, il comandante in capo delle legioni celesti, gli affida Nemesi, la figlia nata dalla sua unione con la regina degli inferi, Lilith. Egli la ribattezza Cassandra e la cresce come fosse propria, tenendola all'oscuro delle sue vere origini e nascosta alle forze demoniache che la stanno cercando in lungo e in largo. Quando raggiunge l’età giusta, è lui stesso ad istruire Cassie nell’arte del combattimento. Un giorno, mentre sono a Toronto, Lilith riesce a scovarli. La vampira dà ordine ai suoi di torturarlo per farle confessare dove si trova Cassie, ma James resiste fino alla morte, sacrificando la sua vita pur di salvare quella della sua adorata figlia adottiva.

ROLE DI PRESENTAZIONE

Il sole caldo del mattino inoltrato batteva sull'erba del giardino nel retro della casa e diffondeva un piacevole tepore. James, seduto sulla sedia a dondolo, affondava i piedi nudi nell'erba e si godeva quell'atmosfera, assorto nei ricordi. Teneva in mano una foto scattata qualche anno prima, che lo ritraeva in divisa da poliziotto con al fianco un uomo più vecchio di lui che gli teneva un braccio attorno al collo. Quell’istantanea era stata scattata durante una manifestazione della polizia, e quello era il suo compagno: Sam Hiry, detto Iron. James sentì una fitta al petto ripensando alla brutta notte in cui era stato ucciso. Era appena uscito dall'accademia con i voti più alti del suo corso, per cui era stato assegnato alla sezione omicidi, come aveva sempre sperato. Il primo giorno di servizio effettivo riusciva a malapena a controllare il panico misto a entusiasmo. Non vedeva l'ora di scendere in campo, ma allo stesso tempo aveva paura di non essere all'altezza. Appena entrato nell'ufficio del capo Johnson, diede un’occhiata veloce alla stanza. Iron era già lì, seduto su una sedia di lato alla scrivania, con una gamba appoggiata al bracciolo e le dita incrociate sul petto. Lo stava squadrando sotto gli occhi preoccupati del capo. All’improvviso quell'uomo scorbutico si alzò rumorosamente dalla sedia e si diresse deciso verso l'uscita. «A quanto pare tocca a me farti da baby-sitter, pivello. Vedi di non starmi troppo tra i piedi e andremo d'accordo» gli disse, brusco. “Niente male come inizio!” pensò lui. Johnson cercò di rassicurarlo. «Quel simpaticone è Iron, figliolo. Fa tanto lo stronzo, ma in realtà ha un cuore d'oro, vedrai che sarete una bella coppia» lo rassicurò, dopo di che gli ordinò di seguirlo e tornò incurante alle sue scartoffie. Non passò molto tempo prima che Iron lo accettasse. Tra un’imprecazione e qualche scappellotto ogni tanto, riuscì pian piano a conquistarne la fiducia. Il compagno lo prese sotto la sua ala, insegnandogli tutto ciò che c'era da sapere su come affrontare un indagine per omicidio. Iron, inoltre, era anche un esperto di arti marziali e presero l'abitudine di allenarsi insieme tutte le mattine. Il loro affiatamento ben presto si tramutò in amicizia e insieme formarono una squadra imbattibile, tanto che a loro venivano affidati i casi più difficili. La loro ultima indagine era ancora vivida nella sua mente. Tutto faceva pensare a un serial killer, visto che avevano trovato tre corpi senza vita dislocati in diversi vicoli dello stesso quartiere. Stesso modus operandi: strani segni sul collo e completamente dissanguati. Avevano soprannominato l’assassino il 'commerciante di sangue', perché pensavano che prelevasse il sangue alle vittime per venderlo al mercato nero o chissà per cos'altro. La cosa strana era che non c'erano segni di lotta sul corpo delle vittime, né segni che lasciassero presupporre che le tramortisse o le drogasse. In fondo per prelevare tutto quel sangue all’aggressore sarebbe servito serve un bel po' di tempo, no? Possibile che non si ribellassero in alcun modo? Indagando più a fondo scoprirono che in precedenza c'erano stati casi analoghi in altri quartieri della città. Le vittime non presentavano nessuna caratteristica comune che desse modo di tracciare un profilo dell'assassino, per cui non riuscivano proprio a venirne a capo. Decisero di pattugliare la zona di persona, con un po' di fortuna l'avrebbero beccato. Quella tragica sera, mentre percorrevano in macchina le strade, controllando accuratamente ogni vicolo buio, James scorse una sagoma in ombra dietro i sacchetti della spazzatura. Ebbe la strana sensazione che non si trattasse di una prostituta al lavoro: sentiva che qualcosa non andava.  «Iron fermati, guarda!» disse di slancio, puntando la pila in direzione delle ombre. Videro un uomo, o almeno così credevano allora, alto e fisicato con gli occhi sgranati e cerchiati di rosso. Sembrava assatanato. Aveva la bocca sporca di sangue e teneva tra le braccia una ragazza che sembrava svenuta. «Cazzo!» esclamò Iron mentre tirava fuori la pistola e scendeva dalla macchina. James fece lo stesso. Corsero verso di lui intimandolo di lasciare andare la ragazza. Il tizio mollò la presa e la giovane cadde come un sacco di patate sull'asfalto. I poliziotti cominciarono a sparare. Una pioggia di proiettili colpì quella creatura senza sortire effetto. Il bestione si avventò su Iron, che era il più vicino. Il mio amico provò a sferrare un pugno allo stomaco del suo aggressore, ma senza risultato. L’altro gli afferrò la testa tra le mani e gliela girò di scatto, spezzandogli l'osso del collo. L’energumeno dopo si girò verso di lui che, inorridito dalla scena a cui aveva appena assistito, indietreggiò, inciampando sui sacchetti della spazzatura. Era terrorizzato, Iron era appena stato ucciso senza nemmeno riuscire a difendersi, non sapeva cosa fare. Con le mani tastò il terreno circostante in cerca di un arma improvvisata e trovò un travetto di legno scheggiato. Quando la creatura balzò su di lui d’istinto sollevò il paletto, che gli conficcò direttamente nel cuore, poi esplose in uno sbuffo di polvere. Liberatosi del corpo che gli era ricaduto addosso, si sollevò da terra e guardò il macabro scenario che gli stava intorno. Non riusciva a credere a quello che era appena successo. Il suo collega e migliore amico era appena stato ucciso da una creatura non umana. Si avvicinò per studiarlo meglio, proprio mentre la luce dell'alba faceva capolino nel vicolo. Quando i tiepidi raggi gli toccarono la pelle, quel mostro prese fuoco. Si accese come una torcia e nel giro di pochi minuti diventò un mucchietto di cenere. Fu in quell'occasione che scoprì l'esistenza dei vampiri e volle diventare un cacciatore. La sua mente era ancora immersa nei ricordi, lo sguardo perso nel vuoto, quando vide scendere dal cielo due figure alate. Si trattava degli arcangeli Michael e Raphael, due dei suoi alleati nella lotta contro i succhiasangue. Si alzò dalla sedia a dondolo per andare ad accoglierli, felice di vederli dopo tanto tempo. Si accigliò quando vide le condizioni del guerriero celeste: era stato pestato a sangue. Cercò di indagare, ma non ottenne risposta. Michael si limitò a mettergli tra le braccia una creaturina adorabile e indifesa, chiedendogli di prendersene cura come fosse figlia sua. Si sorprese quando gli dissero che era il frutto della sua unione con Lilith. Come poteva essere possibile? Quel demonio doveva aver sicuramente architettato qualcosa di terribile per indurre un potente arcangelo a piegarsi alla sua volontà, e a giudicare da come era conciato le torture dovevano essere state tremende. Provò un forte sentimento di compassione nei confronti dell'amico, che per di più doveva essere afflitto da un grande senso di colpa, ma non disse nulla. Si limitò a prendere la bambina tra le braccia e a guardare quel suo faccino sorridente. Lo aveva già conquistato e promise a se stesso e agli angeli di fare il possibile per proteggerla. «La chiamerò Cassandra» mormorò giocherellando con le sue manine paffute.

Un bacione a tutte e alle prossime presentazioni... Team Crazy for Romance.




5 commenti:

  1. partecipo molto volenrieri!!! vorrei leggerlo!! :-)

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  2. Ho sentito parlare molto bene di questa serie... mi ha sempre ispirato un sacco ed è da un po' che medito se iniziarla o no:) magari questa potrebbe essere una buona occasione per leggerla! L'estratto è bellissimo... mi ha fatto venire ancora più voglia di leggerlo!

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  3. Entrambi i libri sono bellissimi, da leggere tutti d'un fiato. Complimenti di vero cuore alle autrici, siete bravissime.

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  4. Grazie Anonimo, i tuoi complimenti ci fanno davvero piacere. Sarai contento di sapere che siamo già al lavoro sul terzo: Black Passion. ^_^

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    1. Sono felice che ci sia un seguito. Non vedo l'ora di leggervi ancora una volta..

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