Ciao Crazy,
benvenute al secondo appuntamento della nuova rubrica Crazy for Xmas. In questo periodo natalizio vi pubblicheremo due racconti a settimana scritti da autrici italiane del panorama self published, che hanno deciso di donare un loro piccolo racconto inedito in esclusiva gratuita per le lettrici di Crazy for romance. Pronte allora a farvi riscaldare il cuore con tante letture ad effetto?
Oggi c'è con noi Christmas Wedding di Valentina Facchini che ci regala una piccola novella collegata al suo romanzo Storia di noi due, autopubblicato a Marzo 2014.
La novella racconta del matrimonio di Emma e Lolli, protagonisti di Storia di noi due.
Emma, fanatica del Natale, vuole celebrare il matrimonio il 25 dicembre, insieme a parenti e amici. Lolli cercherà di regalarle il giorno che merita tra neonati, addii al celibato e future spose ubriache.
Emma, fanatica del Natale, vuole celebrare il matrimonio il 25 dicembre, insieme a parenti e amici. Lolli cercherà di regalarle il giorno che merita tra neonati, addii al celibato e future spose ubriache.
Christmas Wedding
Lolli
Sono agitato, Emma, la mia Nuvoletta, ha deciso che ci saremo sposati il venticinque dicembre, il giorno di Natale, la festività per eccellenza. Quando tutti si riuniranno per pranzare insieme, noi ci saremo promessi di stare insieme tutta la vita. Per me è solo una formalità, ho deciso da tempo che Emma è la mia metà, è il mio cuore e la mia anima, è il mio tutto. Vorrei dirglielo ogni giorno, ogni minuto, ma so che poi diventerei troppo dolce e allora mi limito ad abbracciarla, che è la seconda cosa che preferisco al mondo. La prima è stringere tra le braccia il mio bambino, Lucas, nato nove mesi fa, e, non per vantarmi, ma è la mia copia. Ho visto delle foto di quando ero piccolo e, non ci sono dubbi che sia mio figlio. Abbiamo gli stessi occhi, lo stesso naso, la stessa bocca. Se con Emma ho capito cos’è il vero amore, con Lucas ho capito cosa voglia dire amare incondizionatamente qualcuno.
«Lolli, ti prego smetti di suonare e vieni qui, ho bisogno che mi aiuti a scegliere i centrotavola».
Ecco, questa è una domanda trabocchetto, lei non mi sta chiedendo veramente di scegliere tra varie opzioni, ma devo solo approvare quello che, in realtà, ha già deciso. Ne farei anche a meno di questo teatrino, ma per Emma è importante farmi sentire parte dell’organizzazione del matrimonio. Ma so che il mio ruolo è quello di presentarmi all’altare e dire “Sì, lo voglio”. Ci sposeremo a Roma, per noi è importante, perché, anche se abitiamo a Dublino, è la città eterna che ha visto nascere il nostro amore. Se è per questo l’ha visto anche perdersi, ma quella è un’altra storia. Le cose da fare per un matrimonio sono molte, se a tutto questo aggiungiamo un neonato, abbiamo una futura sposa un po’ stressata. Per questo cerco sempre di aiutarla con Lucas, sono diventato un mammo provetto, ho solo qualche problemino con i bottoncini delle tutine, ma quelle sono fatte per essere chiusi solo dagli gnomi.
Stiamo facendo l’albero, qui a casa non abbiamo nessuna decorazione, quindi abbiamo comprato tutto nuovo, per la felicità di Emma. Ricordo ancora il nostro dialogo dentro il negozio quando stavamo decidendo il colore delle palle. Non sapevo nemmeno che li fanno di tutti i colori, ero rimasto ai colori tradizionali del bianco e del rosso, ovviamente sbagliavo.
«Come lo decoriamo l’albero dorato, blu o rosso?», mentre me lo diceva, mi indicava i vari colori. Per me era indifferente. Le guardai con più attenzione, ma non mi dicevano niente: «Quelle rosse».
«Uhm».
«Ho sbagliato vero?»
«Non è colpa tua, è che mi serve Viola per queste cose».
«Dai scegli tu», alla fine prese quelle blu.
Smetto di pensare e torno alla realtà, mi avvicino a lei per avvolgerla tra le mie braccia, non è tenerezza quella che cerco, ho bisogno di lei, delle sua labbra, del suo amore. Lucas dorme nel suo lettino e voglio approfittare della quiete che c’è in casa. Quella casa che è stata teatro dello sbaglio più grande della mia vita, ma che ora, invece, è il palcoscenico della mia gioia. Sto per sposare la donna che amo e nella stanza accanto dorme mio figlio, non penso di riuscire a essere più felice di così.
Il nostro bacio si fa più intenso e quando sto per mettere le mani sotto la sua maglietta per sentire la sua pelle, sento suonare il citofono: «E’ Viola», mi risponde Emma.
Sospiro e cerco di calmarmi, anche se al momento vorrei solo mettermi dentro un cestello di ghiaccio, do un ultimo bacio alla mia futura sposa e vado ad aprire. Viola entra di corsa in casa, mi saluta a stento e si precipita dalla sua amica. Da quello che sono riuscito a captare, oggi c’è l’ultima prova del vestito, in fondo al grande giorno mancano solo sette giorni. Il pianto di Lucas mi riporta alla realtà, faccio un segno a Emma e vado nella stanza del mio bambino. E’ sveglio, mi guarda dalle sbarre del lettino con suoi occhi profondi e con le braccine alzate mi fa capire che vuole essere preso in braccio, cosa che faccio subito. Lo abbraccio e lo calmo e lo porto dalla mamma, so già che gli avrà preparato il biberon.
«Uh, ecco il mio bimbo che si è svegliato», appena Lucas vede la mamma, si lancia su di lei, non sono l’unico che ama stare tra le sue braccia.
«Non vi perdonerò mai per averlo chiamato Luca», naturalmente la risposta è di Viola, che non ci ha mai perdonato per averlo chiamato in modo simile a uno dei nostri migliori amici. «Sei pessima, accontentati di essere la sua madrina».
«Anche questo è vero, anche se lui vive a Dublino con voi e può vederlo quanto vuole».
«Non sei mai contenta», le rispose Emma, mentre dava da mangiare a nostro figlio.
«Hai ragione, è che mi mancate, ancora non mi sono abituata al fatto che abitate così lontano».
Al suono di quelle parole sia a lei che Emma si inumidiscono gli occhi, io ne approfitto per uscire dalla cucina e andare a prepararmi, perché non Emma non è l’unica ad avere impegni oggi.
Emma
Lolli mi viene a salutare e insieme a Lucas escono per andare dalla mia futura suocera, io rimango con Viola, dopo quattro chiacchiere e esserci date un appuntamento per andare all’atelier per l’ultima prova del vestito, se va anche lei, così rimango da sola. Per un momento mi godo l’improvviso silenzio, fuori è già buio e si intravedono le luci di natale appese nei balconi dei palazzi circostanti. Sono mesi che non vivo più questi momenti, impegnata a prendermi cura di Lucas e dei suoi bisogni e, quando non sono con lui sono in caffetteria a prendermi cura delle mie clienti. Mi sembra di non essermi mai fermata e ora tutta la tensione e l’ansia per questo matrimonio si posa sul mio petto e non mi permette più di respirare. Ho bisogno di aria fresca, vado verso la finestra per aprirla e permettere all’aria di dicembre di entrare, poco dopo inizio ad avere i brividi, ma non mi importa, ho bisogno di qualcosa che non mi permetta di pensare. Sono figlia di divorziati, i miei genitori si amavano prima di sposarsi, poi con il matrimonio qualcosa è cambiato e sento dentro di me montare la paura che anche a noi possa succedere la stessa cosa. Amo Lolli più della mia vita, abbiamo sfidato il tempo per stare insieme e non voglio perderlo, so cosa vuol dire vivere senza di lui e non voglio più farlo. Lo squillo del cellulare mi riporta alla realtà e ne approfitto per lanciare uno sguardo all’orologio sulla parete, è ora per me di uscire. Nel frattempo leggo il messaggio che mi è arrivato, è di Agata che mi informa che non ce la fa a venire alla prova perché c’è stata un’emergenza in ospedale. Da quando siamo a Roma, cioè una settimana, siamo riuscite a vederci solo una volta, sono contenta per lei, ma allo stesso tempo mi dispiace, perché mi sembra di perderla sempre di più. Non so perché sono così malinconica, dovrebbe essere una delle giornate più emozionanti per me e, invece, sono qui a rimuginare sulle mie paure.
Visto che l’atelier è vicino casa ne approfitto per fare una passeggiata sperando che assaporare l’atmosfera natalizia mi risollevi un po’ l’umore. Le strade sono piene di luminarie, le vetrine dei negozi sono addobbate a festa, con alberi e babbi natale giganti. Ho sempre amato quest’atmosfera, ed è per questo che ho deciso di sposare Lolli il venticinque dicembre, perché volevo che il nostro giorno non fosse un giorno come tanti, ma fosse qualcosa che ci saremmo ricordati per sempre. Ma ora più si avvicina la data, più ho paura, anzi di più, è vero terrore che si impossessa di me, senza avere la minima voglia di lasciarmi. Prima di entrare nel negozio, prendo dei grandi respiri, espiro, inspiro, metto la mano sulla maniglia, compiere quel passo mi costa tanto, sento il piede pesante come se avessi corso una maratona. Devo smetterla di provare queste sensazioni, costringo le mie labbra a sorridere ed entro. Mi accoglie l’assistente della proprietaria che mi dice di accomodarmi mentre mi va a prendere il vestito. Mi siedo su una delle poltroncine e aspetto, sia lei che Viola, guardo la porta con trepidazione, ho bisogno di lei, di averla accanto, visto che non posso avere Lolli, devo avere lei.
L’assistente mi viene a chiamare, le chiedo di aspettare ancora cinque minuti e, fortunatamente, la mia migliore amica non mi delude nemmeno questa volta, arriva tutta trafelata con una bottiglia di champagne in mano.
«Scusa, scusa, scusa. Il lungotevere era bloccato, poi non trovavo parcheggio, ho pensato di non fare in tempo, poi ho rubato un parcheggio a un vecchietto ed eccomi qui».
Il suo racconto mi fa alzare un sopracciglio dallo sconcerto: «E lo champagne?»
«E per festeggiare, non hai voluto un addio al nubilato, almeno fammi brindare al vestito».
Veniamo interrotte dall’assistente che ci richiama all’ordine e ci fa segno di seguirla verso le salette prova, come brave studentesse diligenti le andiamo dietro.
Entro in un camerino, mi spoglio e grazie all’aiuto della ragazza entro nel vestito da sposa che ho scelto: la gonna è molto semplice, lunga, ad essere lavorato è il bustino, con un nastrino verde alla base che crea lo stacco dalla gonna. Ho scelto anche un velo abbastanza lungo, che da quel tocco in più.
«Sei bellissima», mi dice Viola, la guardo dallo specchio e vedo che ha gli occhi lucidi: «Viola, non starai mica piangendo?»
«Chi io? No è impossibile, non ho pianto quando ho sposato Marco, figurati se piango solo perché ti sei messa un vestito».
Ma i suoi occhi rimangono lucidi, anche mentre apre la bottiglia di Champagne che ha portato, nel frattempo, provo ad uscire dal mio vestito, ma i mille bottoncini dietro mi impediscono di farcela da sola. Sono costretta a chiedere un aiuto alla sarta presente nel negozio, che viene in mio soccorso e mi permette di liberarmi da quell’abito. Guardandomi con quel vestito addosso, le sensazioni che avevo represso fino a quel momento stanno riemergendo e non posso permetterlo.
Tornata nei miei abiti “civili” e, dopo aver preso gli ultimi accordi per la consegna del vestito, prendo la bottiglia di Champagne e ne bevo un grande sorso. Ora va meglio, decisamente molto meglio.
«Emma che hai?»
«Niente Viola, sono solo un po’ stressata. Devo tenere conto dei miei parenti che vengono da Dublino, sistemarli in albergo, andare a ritirare le bomboniere e poi ci sono i regali di Natale. Non ti dimenticare che il pranzo del matrimonio sarà anche quello di Natale e voglio che ci siano i regali. A tutto questo aggiungi Lucas e come risultato hai una sposa stressata».
«Sei sicura che è solo questo? Non mi sembra che ti sia goduta per niente la prova del tuo vestito».
«Sì, è solo questo». Deve essere solo lo stress, non posso pensare che ho paura a sposarmi perché non amo più Lolli.
Usciamo dall’atelier e ci sediamo sul muretto lì accanto, dove continuiamo a passarci lo champagne, come se fosse acqua.
«Ti redi conto che stai sposando il tuo Lolli?»
«Già».
«Dopo tutto quello che avete passato, tutti gli anni separati, avete avuto un bambino e ora vi giurerete amore eterno», Viola continuava a parlare e io mi limitavo ad annuire.
«C’è una cosa che ti volevo chiedere da anni, hai mai saputo che fine ha fatto Lia?»
Avevo perdonato Lolli per quel tradimento tanti anni fa, eppure sentire il nome della ragazza che ci aveva messo così in crisi, faceva ancora male: «Spero sia morta in modo molto doloroso, tipo sotto un treno o qualcosa del genere, magari soffocata dalle sue tette giganti».
«Dai andiamo, i nostri uomini ci aspettano per cena».
Non nascondo che scendere dal muretto e camminare verso la macchina di Viola è stato estremamente difficoltoso, infatti abbiamo deciso di andare a piedi a casa, anzi, meglio dire che ci avviammo verso casa, barcollando.
Quando entriamo dentro casa mia, Lolli sta già dando da mangiare a Lucas, mi avvicino e do un bacio ai miei ragazzi:
«Nuvoletta, sei ubriaca?», mi chiede lui.
«No, sono una mamma adesso, non posso ubriacarmi». Sia io che Viola scoppiamo a ridere, nessuna delle due sa il perché, ma è tutto così divertente.
«Dio non posso sopportarvi tutte e due ubriache, spero che Marco arrivi presto», Lolli sembrava parlare da solo, piuttosto che con noi. Dopo poco sentiamo il campanello suonare e Viola va ad aprire, sicura che ad attenderla fuori c’è suo marito.
«Uhhh amore mio». La mia amica si getta sul poveretto, che fortunatamente riesce a prenderla al volo.
«Amico, sono ubriache», rispose Lorenzo alla domanda silenziosa presente negli occhi di Marco.
«Tutte e due?»
«Sì e, io mi devo occupare di Lucas, quindi te le devi gestire tu».
Anche se ero leggermente annebbiata dall’alcool, capivo benissimo che stavano parlando di noi due:
«Guardate che siamo qui, nessuno si deve prendere cura di noi». Non avevo finito nemmeno di pronunciare quelle parole che vidi Viola schizzare in bagno. Okay, forse avevamo bisogno di un piccolo aiuto.
Lolli
Dopo aver trascorso tutta la serata ad accudire Emma, fortunatamente Lucas si era addormentato quasi subito, il resto dei giorni che mancano al fatidico giorno passano abbastanza tranquilli, grazie anche all’arrivo di Luca insieme al suo compagno Micheal a casa nostra.
Solo che mentre io sono felice, vedo la mia Nuvoletta sempre un po’ malinconica, da quando ha saputo che il padre non avrebbe partecipato, un ombra si è impossessata di lei, spero solo che il mio amore sia abbastanza forte da scacciarla.
Insieme a Luca, Marco, Tommaso e Fabio usciamo per festeggiare il mio addio al celibato, anche se non mi sento single già da molto tempo, anche quando eravamo separati, mi sono sempre sentito impegnato.
Ho detto a Emma che andavamo a festeggiare in un locale, ma in realtà andiamo nella vecchia sala prove dove suonavamo da ragazzi. E lì che passo ogni momento libero che ho, sto facendo una sorpresa alla mia nuvoletta. Stasera è aperta solo per noi, perché voglio far sentire ai miei amici la canzone che ho scritto per lei, era da tanto che non prendevo una chitarra in mano per scrivere qualcosa di mio, ma per il nostro matrimonio volevo qualcosa che fosse solo nostro, che parlasse del nostro amore.
Arrivo all’appuntamento con gli altri con un leggero ritardo, ero un po’ reticente a lasciare Emma, ma nonostante questo non vedo nessuno. Visto la bassa temperatura decido di entrare e di aspettarli dentro, non voglio rischiare di arrivare il giorno del mio matrimonio con la febbre, Emma potrebbe seriamente uccidermi.
Apro la porta, ma il corridoio che porta alle salette, che di solito è illuminato a giorno, è tutto buio, per fortuna conosco il posto a memoria e so dove andare, procedo, quindi, senza grandi intoppi. Se ci fosse stata Emma al mio posto, sarebbe come minimo inciampata almeno quattro volte. Una luce sulla sinistra attira la mia attenzione, è quella della sala più grande, quella dotata anche di un piccolo palco, sento anche delle voci e, incuriosito, vado a vedere.
Lo spettacolo che mi si para davanti non è certo quello che mi aspettavo, vedo i miei amici, seduti e, stanno chiacchierando amabilmente con una ragazza vestita con solo una sottoveste. Hanno tutti i bicchieri in mano e non si sono accorti di me. Mi schiarisco la voce e tutti e cinque girano la testa all’unisono verso di me.
«Eccoti, finalmente. Sorpresa!», è Tommaso a parlare, e dal tono di voce è visibilmente alticcio.
«Lo so che non volevi festeggiare ma noi invece sì, e quindi, ti presento Candy». Anche Fabio, era molto poco sobrio.
Sospirai, ma ero contento della festa improvvisata, era da tanto che noi ragazzi non stavamo tutti insieme e mi sono mancati. Tra Lucas e il fatto che viviamo in città differenti, non è semplice vederci. Quindi mi avvicino alla ragazza, che credo sia un spogliarellista, prendo la birra dalle mani di Luca, e mi presento:
«Ciao Candy, sono Lorenzo».
«Piacere, festeggiato. Ora mettiti comodo che iniziamo». Candy è bruna, ha dei lunghi capelli ricci e quella che credevo una sottoveste, in realtà è un bustino nero di pizzo, ha anche i reggicalze.
Mi metto seduto, i ragazzi hanno sistemato delle sedie, nel frattempo Candy, spero tanto che quello non sia il suo vero nome, va sculettando verso il palco. Fa un cenno e Fabio fa partire la musica e Lady Marmelade inizia a suonare dalle casse, Candy inizia a ballare a tempo. Ma ancora una volta rimango stupito, perché non è un semplice spogliarello quello che fa, ma è qualcosa di più sensuale, di molto più erotico.
«E’ burleque, amico», Tommaso mi sussurra all’orecchio, e vedendo la ragazza ballare sul palco, mi chiedo come ho fatto a non pensarci prima.
Candy, si muove sinuosa ed elegante, scende dal palco, verso di me, ha un boa di piume intorno al collo che si toglie per avvolgerlo intorno al mio collo e, attirarmi verso di lei, le nostre bocche si avvicinano, sento il suo respiro che si fonde con il mio, lei si ritrae per continuare a danzare davanti a me.
Lo spettacolo dura quasi due ore, lei balla a turno per tutti noi, anche con Luca, che come il resto di noi, è ammaliato dalla grazia di questa ragazza. Meno male che non c’è Micheal, non avrebbe gradito vederlo così rapito da un’altra persona, anche se donna.
Quando arrivano i momenti ti saluta, mi lascia per ultimo: «Peccato che ti sposi tra qualche giorno».
«Ehm già. Grazie per la tua partecipazione, sei stata bravissima».
«Tieni il mio bigliettino, chiamami quando vuoi».
La ringrazio di nuovo ma appena si gira, getto via il bigliettino, ho fatto soffrire abbastanza Emma in passato, ora sto attento a ogni minimo particolare, non voglio che il pensiero che possa tradirla un’altra volta, le attraversi la mente. Lei è la mia metà, lei è semplicemente Emma.
Prima di uscire, riesco a fare ascoltare ai miei amici la canzone che ho scritto per lei, la canto a occhi chiusi, perso tra le note e le parole. Quando finisco, li riapro, visto che intorno a me avverto solo silenzio, quello che vedo sono i miei amici con gli occhi lucidi, mi giro verso Tommaso, che mi dice:
«Questa canzone è voi due».
Dopo qualche altra birra, ci prepariamo per andare via, mi manca Emma, voglio tornare a casa e abbracciarla, dirle che la amo, che nessuna donna sarà al suo livello, mai.
Saluto gli altri, ma Tommaso si attarda, aspetta che saluto anche Luca e poi si avvicina:
«Sai, tanti anni fa quando me l’hai portata via, non avrei pensato che sarei stato felice di venire al vostro matrimonio. Anzi non ho proprio pensato che vi sareste potuti sposare. Ho sempre pensato che l’avresti fatta soffrire».
La verità era che l’avevo fatta soffrire, con i miei comportamenti e le mia decisioni, Tommaso aveva sempre avuto ragione su di me. Sono dovuti passare anni prima che diventassi l’uomo perfetto per lei: «Tommy, sai…»
«No, non mi devi dire nulla, volevo soltanto farti sapere che sono felice per voi». Detto questo, se ne va, lasciandomi solo. Le sue parole mi hanno messo un po’ di malinconia addosso, come ogni volta che penso al mio tradimento, e non posso tornare dalla mia Nuvoletta così. Quindi decido di fare una piccola deviazione e di calmarmi. Visto che la sala prove è vicino al Gianicolo, decido di schiarirmi le idee e andare lì, anche se fa freddo e il tempo non è dei migliori. Con il motorino ci metto pochi minuti e, con la strada illuminata solo dalle luminarie di Natale, imbocco la salita che mi porta sulla terrazza. Parcheggio davanti alla statua di Garibaldi, ma non mi fermo alla prima terrazza, perché, nonostante l’ora tarda è piena di coppiette, ma vado verso quella meno conosciuta, un po’ più giù. Penso di essere solo, fino a quando non vedo una ragazza mora, da sola, assorta nei suoi pensieri.
Mi siedo sul muretto, le mie gambe ciondolano nel vuoto, mi godo il panorama della città che non è più mia e rifletto su quanta strada ho fatto, da quando ero un ragazzo che sognava di diventare una rockstar e che sulla sua strada, invece, ha incontrato una ragazza irlandese che gli ha rubato il cuore.
All’improvviso sento piangere, mi volto verso la ragazza, è l’unica persona presente oltre me e decido di avvinarmi per sincerarmi che stia bene.
«Ehi, tutto bene?», le chiedo.
«No, il mondo fa schifo», mi risponde lei.
«E’ Natale vedrai che andrà tutto bene, è il periodo in cui succedono i miracoli».
«Quindi se desidero fortemente che io e Daniele supereremo tutte le difficoltà, il Natale lo farà succedere?»
«Se è un grande amore, non c’è bisogno del Natale, succederà perché non potrete più vivere uno senza l’altra», quello che le avevo appena detto era vero, perché l’avevo vissuto sulla mia pelle.
«E se non lo supereremo, riuscirò mai a vivere senza di lui?»
A quello non potevo rispondere, perché io senza Emma non avrei nemmeno più la forza di respirare, il mio silenzio doveva averlo preso come una risposta, perché mi disse: «Appunto, non posso. Grazie per le parole di conforto, comunque io sono Greta».
«Di niente Greta, io sono Lorenzo…», le avrei voluto dire che l’amore è la cura per tutto, che se c’è ed è forte, una coppia non ha bisogno di nient’altro per vivere, ma non me ne dà il tempo, perché mi saluta con un gesto della mano e se ne va. Ha un’aria malinconica e triste, due sentimenti che non si addicono molto a questo periodo dell’anno.
Visto che sta diventano sempre più freddo, decido di tornare a casa da Emma, parlare con Greta, mi ha fatto venire il bisogno di sentirla vicino e sentire che va tutto bene.
Emma
Il grande giorno è arrivato, sono a casa, attorniata dal parrucchiere e dalla truccatrice, non so come si dovrebbero sentire le spose la mattina del loro matrimonio, ma non credo così. Sono tesa, ho lo stomaco che mi fa male, e guardo la porta di casa come se fosse la mia salvezza. Sento di non essere pronta, anche se amo Lolli più della vita, sono spaventata da quello che ci succederà una volta sposati. Non so perché gli ho detto di sì quando me l’ha chiesto, non so perché adesso sto cercando di entrare nel mio vestito. Cerco di non far trasparire nulla all’esterno, a mia madre verrebbe un infarto se decidessi di non sposarmi e Viola mi farebbe percorrere la navata a forza. Vorrei tanto parlare con Lolli, farmi rassicurare, vorrei sentire dalla sua bocca che tutto andrà bene, che il matrimonio non ci cambierà. Ma lui non c’è, è a casa dei suoi genitori, insieme a Lucas. Ora ci sono solo io e mi sento morire. Sono pronta a uscire e non riesco a compiere un passo avanti, sono come bloccata, poi Viola mi afferra per un braccio:
«Emma, guardami, andrà tutto bene, stai andando a sposare il tuo Lolli, non un estraneo, è Lolli che ti aspetterà all’altare, capito?».
Annuisco con la testa, ma anche se l’ho ascoltata, non le ho sentite veramente, sono solo parole vuote, senza senso. Cerco la forza dentro di me e, mi avvio verso l’uscita, dove c’è la macchina che mi sta aspettando.
Ci avviamo verso la chiesa, è San Pancrazio, l’abbiamo scelta perché è quella più vicino a villa Pamphili, il luogo che più di tutti conta per noi. Da casa mia bastano pochi minuti e siamo già arrivati, scendo, c’è il fotografo e alcune persone che mi aspettano fuori, tra cui Luca che mi accompagnerà all’altare. Ma non posso, non ce la faccio, e invece di entrare in chiesa, corro verso l’entrata di Villa, non mi importa dei tacchi, del bouquet, del velo, è la paura a guidarmi, sono una codarda, perché so che con la mia fuga perderò Lolli, ma è più forte di me.
Sento gli sguardi della gente, ma è solo nella mia testa, perché è il venticinque dicembre e nel parco non c’è nessuno, ci sono solo io che corro, vestita con un abito da sposa.
Mi fermo solo quando arrivo al nostro albero, sento le mie forze venire a mancare, vorrei solo Lolli, non è da lui che sto scappando, ma è dai miei demoni, dalla paura di veder fallire l’ennesimo matrimonio, di vederci crollare.
Sono di spalle all’entrata, quindi non lo vedo arrivare, ma lo sento, prima di avvertire le sue braccia intorno al mio petto, prima delle sua labbra sulla mia spalla, lo sento vicino a me. Con Lolli è così, lui è il mio tutto, io non posso nemmeno pensare di esistere senza di lui, ma so che dopo quello che ho combinato, non potrà perdonarmi.
«Nuvoletta…»
Sento le sua mani che mi voltano, la sua presa è dura, fredda, ma non da farmi male, chiudo gli occhi, perché non voglio vedere la sua espressione ferita, non sopporto di vedere il dolore nei suoi occhi.
«Apri gli occhi e guardami».
Continuo testardamente a tenerli chiusi.
«Nuvoletta sono Lolli. Aprili gli occhi».
Faccio come dice e li apro, grazie alle scarpe con i tacchi siamo alla stessa altezza e l’espressione che vedo non è quello che mi aspettavo. Non è arrabbiato, né deluso, c’è tenerezza nel suo sguardo e, amore, tanto amore.
«Ora mi dici cosa stai provando?», mi chiede lui.
«Paura. Lolli io sono terrorizzata, non voglio che il matrimonio rovini tutto, che scombini il nostro equilibrio, che ci faccia dimenticare chi siamo noi, che ci trasformi in due persone che non si sopportano», davanti a quello sguardo e a quella domanda, non posso più nascondere nulla e gli dico tutto, tutto quello che ho covato dentro il mio cuore in questi ultimi giorni.
«Nuvoletta non succederà mai».
«Cosa ti dà questa sicurezza? »
«Perché ti amo».
A questo punto, mi avvicina ancora di più, i nostri petti si toccano, le nostre labbra si sfiorano, si accarezzano e poi si incontrano. Ci baciamo sotto il nostro albero, non è un bacio casto, né dolce, Lolli mi sta reclamando, mi sta dicendo che io e lui ci apparteniamo qualsiasi cosa accadrà. Ci stacchiamo soltanto quando sentiamo delle gocce bagnarci il viso, alziamo lo sguardo e ci accorgiamo che non è pioggia, ma neve. Neve a Roma per Natale, per il mio matrimonio non potevo chiedere di più.
Sentiamo Luca venire verso di noi, con un tono molto paterno mi dice: «Dovrei accompagnarti all’altare, nel caso te lo fossi dimenticata hai una chiesa pieni di invitati».
Mi porge il suo braccio e lo prendo, con la mano libera afferro la mano di Lolli e la stringo forte, noi siamo Lolli e Nuvoletta, niente ci può allontanare. Torniamo verso la chiesa, nel piazzale non c’è nessuno, sono tutti dentro ad aspettarci.
Lolli mi saluta con un bacio, sulla soglia della chiesa: «Ti aspetto dentro».
Annuisco e gli lascio la mano, aspettiamo due minuti, poi io e Luca iniziamo a camminare verso l’altare. Non mi faccio distrarre da nessuno, non mi importa di quello che stanno pensando vedendomi, l’unica persona che guardo è Lolli, distolgo lo sguardo da lui, solo per guardare Lucas, la nostra perfezione. Respiro profondamente quando arriviamo all’altare e prendo la mano di Lolli. Ci stiamo sposando, niente più ripensamenti, niente più tradimenti, niente più cattiverie. La cerimonia vola, non mi accorgo del tempo che passa, mi sembra che tutto vada avanti veloce, vorrei godermi di più ogni secondo, ma invece, siamo già fuori dalla chiesa, mentre ci lanciano il riso, avvolti dalla neve, il giorno di Natale io e Lolli ci siamo giurati di stare insieme per sempre.
Durante il ricevimento, Lolli mi sorprende, a un certo punto mi lascia e lo vedo avvicinarsi al palco, qualcuno, credo Fabio, gli passa una chitarra e poco dopo, inizio a sentire una melodia:
Finalmente sei mia,
dopo tanto
dolore
ferite
mesi,
anni,
vorrei regalarti parole d’amore,
ma nel mio cuore,
ci sei solo tu,
ci sei sempre stata tu,
finalmente sei mia,
dopo tanto,
dopo dolore,
ferite,
mesi,
anni,
ti regalo il mio cuore,
ti ho rubato una sera d’autunno,
ti ho cercato,
ti ho voluto,
sono sempre stato tuo
finalmente sei mia
dopo tanto,
dopo dolore,
ferite,
mesi,
anni
Ho le lacrime agli occhi, mentre cantava, mi guardava negli occhi, scende dal palco e, mi viene incontro, mi prende tra le braccia e iniziamo a ballare. Ho voluto solo canzoni natalizie, ma per il nostro ballo abbiamo fatto un’eccezione con Good riddance.
«Nuvoletta…»
«Dimmi Lolli».
«Buon Natale».
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