martedì 29 dicembre 2015

Ossessione di Natale di Valentina C. Brin. Crazy for Xmas!

Ciao Crazy, 
benvenute al terzo appuntamento della nuova rubrica Crazy for Xmas. In questo periodo natalizio vi pubblicheremo due racconti a settimana scritti da autrici italiane del panorama self published, che hanno deciso di donare un loro piccolo racconto inedito in esclusiva gratuita per le lettrici di Crazy for romance.  Pronte allora a farvi riscaldare il cuore con tante letture ad effetto?
Oggi c'è con noi Ossessione di Natale di Valentina C. Brin che ci regala una piccola novella collegata al suo romanzo di successo Obsession, romance storico autopubblicato nel 2013, e si svolge cinque anni prima delle vicende raccontate nel libro.


E se il futuro conte di Collingwood, Ashton Spencer, e la sua serva Eleanor White si fossero già imbattuti l’uno nell’altra prima dei fatti narrati in Obsession? La mattina di Natale del 1710, complice un bracciale da dare in dono, alle porte della tenuta avviene il loro primo, breve ma intenso incontro.

 



Gladstone, 25 dicembre 1710

Il drappo dondolava dal ramo seguendo il movimento del vento.
Eleanor l’aveva legato il giorno prima, come faceva ogni volta in cui desiderava incontrare Daniel. Era il loro modo di fissare un incontro attraverso un codice segreto che non conosceva nessun altro: un pezzo di stoffa appeso al secondo ramo sulla destra dopo i cancelli della tenuta, qualche ora di attesa, e lui sarebbe arrivato. L’avrebbe fatto anche in quella fredda mattina di Natale, Eleanor ne era certa, perché come lei era disposta a mollare tutto ciò che l’aspettava a casa – il pranzo che sua madre stava preparando, gli auguri ai vicini, lo scambio dei regali –, allo stesso modo Daniel era pronto ad andare contro tutto e tutti per lei.
In fin dei conti quella era l’amicizia.
Così si mise seduta sotto il platano, la schiena appoggiata al tronco e la mantella di lana cotta avvolta addosso; il cappuccio calato sulla testa e il collo scaldato dai lunghi capelli rossi.
Attese, lo sguardo che vagava ora sulla sagoma sonnecchiosa del palazzo, ora sul cielo candido, pronto a minacciare neve. Daniel però non arrivò.
Pazienta, lo sai che devi aspettare, si disse dopo innumerevoli minuti di solitudine, forse ore. Il freddo iniziò a gelarle il naso. Eleanor cercò di scaldarlo soffiando tra le mani chiuse a coppa sul volto.
Per sopportare meglio l’attesa frugò nel taschino sotto la mantella: il bracciale di crine di cavallo era lì, a contatto con le dita. L’aveva intrecciato lei stessa sera dopo sera, davanti al fuoco del camino; un regalo che di certo impallidiva, se confrontato con i doni preziosi che il conte Spencer faceva ogni anno ai propri figli.
Tuttavia Daniel non l’avrebbe considerato un insulto, ne era sicura. Anzi, avrebbe accettato quel pensiero allo stesso modo in cui accettava qualunque altra cosa di lei.
Per essere certa che il bracciale fosse in perfette condizioni si mise a controllarne l’intreccio. Lo fece con cura e attenzione, così tanto da non accorgersi del giovane che si stava avvicinando ai cancelli. Il clangore dei cardini ruppe il silenzio ed Eleanor sollevò lo sguardo, il sorriso già sulle labbra; un’espressione che durò poco. Pochissimo.
La persona che aveva davanti non era Daniel.
Balzò in piedi e si rassettò la gonna, pronta per defilarsi prima di mettere nei guai se stessa e l’amico, ma quei brevi istanti di distrazione bastarono perché lui le si parasse davanti. Le afferrò il braccio con irruenza, le dita che premevano sulla pelle.
Non ci fu scampo.
«Lasciami!»
«Te lo puoi scordare», ringhiò quello. «Si può sapere cosa vuoi?!»
«Niente.» Eleanor cominciò a dimenarsi, lo sguardo basso per non far trapelare la grandezza della propria bugia. Quando la presa che la tratteneva si strinse, capì: non sarebbe riuscita a liberarsi. Non con le proprie forze.
L’agitazione iniziò a montare.
Non darlo a vedere. Calmati.
«Mi prendi in giro?!», continuò il ragazzo. «Sono ore che sei accampata qua fuori, ti vedo dal palazzo! Ti vedono tutti!»
Eleanor s’irrigidì. Tutti, aveva detto. E allora perché Daniel non l’aveva raggiunta?
Un orrendo presentimento a cui non avrebbe voluto credere fece capolino, ma non ebbe il tempo di preoccuparsene: lo strattone che le venne assestato la costrinse a rimanere presente, l’attenzione rivolta sul giovane che la tratteneva – su ciò che avrebbe potuto farle da un momento all’altro.
«Guardami.»
Obbedì.
Si trovò a sostenere occhi ostili, gelidi quanto il cielo sopra le loro teste, e labbra piene deturpate da una smorfia arrogante. Capelli neri, una bellezza ancora acerba eppure già capace di ferire. Un giovane Lord.
Il fratello di Daniel, Ashton Spencer.
«Sai chi sono?»
«No, signore», mentì.
«Certo, ovvio che no. O non avresti il fegato di raccontare menzogne.» Ashton le allontanò il cappuccio dal volto quanto bastava per poterla guardare meglio, e quando Eleanor si scostò le afferrò il mento. «Io invece credo di sapere chi sei», proseguì mentre la studiava, le palpebre socchiuse. «Sì, lo so bene. Tu sei quella pezzente che gironzola attorno a Daniel.»
«Come... Come mi avete chiamata?» Deglutì, Eleanor. Ingoiò l’agitazione e l’indignazione, e tutte le parole con cui avrebbe desiderato controbattere. Lui le afferrò anche l’altro braccio e si avvicinò al suo orecchio.
Era più alto di Daniel.
Più alto e molto più cattivo.
«Pezzente», le sussurrò tra i capelli. Eleanor tremò dall’umiliazione, lui rise.
La sua mano le scivolò lungo il braccio fino a raggiungere il pugno ancora socchiuso sul bracciale. Impiegò meno di un battito di ciglia per vincere la presa morbida delle dita e rubarglielo.
«E questo? Non mi dirai che è il tuo regalo per il mio caro fratellino, vero?!» Ashton ridacchiò, facendolo dondolare tra i loro volti. «Magari l’hai anche fatto con le tue piccole e sudicie mani.»
«Ridatemelo!»
Eleanor fece per afferrarlo, ma il ragazzo fu più svelto e si scostò, il braccialetto adesso ben saldo nella stretta del palmo. Sul suo volto campeggiava un’espressione di chiara, insostenibile superiorità.
«Se lo vorrai dovrai intonare un canto di Natale.» 
«È uno scherzo?»
«Sono serissimo.»
Gesù, lo era davvero. Nonostante quel blando sogghigno che gli schiudeva le labbra e la luce divertita che gli balenava nello sguardo, lo era. Irrimediabilmente, inevitabilmente. Lo era.
Eleanor fremette, lo stomaco ormai chiuso. Iniziò a canticchiare la prima melodia che le venne in mente, la voce flebile e tremante mentre quegli occhi continuavano a starle addosso.
Diavolo, come si vergognava!
Ashton però non sembrò soddisfatto.
«Più forte. Canta a voce alta, così che io possa sentirti.»
E lei lo fece, le guance a fuoco per l’imbarazzo e un macigno al posto dello stomaco, ormai corroso dall’ostilità e dal risentimento.
La voce tremò di nuovo.
Steccò una, due, tre volte.
«Pessima. Ridicola.»
«Ridatemelo!»
«Non ti ho dato il permesso di smettere di cantare.»
La voce di Eleanor uscì in un fremito spazientito: «Per favore...»
«Uno come me non farà mai favori a una come te», ribatté Ashton lasciando cadere il braccialetto nel terreno. Lei si chinò per raccoglierlo, ma il piede del Lord lo pestò prima che riuscisse ad afferrarlo.
La suola sporca di fango, il peso del suo corpo concentrato in un unico punto: era tutto lì, su quel regalo che avrebbe dovuto portare a Daniel l’affetto che provava per lui. E bastò per minare il controllo che le era rimasto.
La voce si spezzò e un dispiacere pungente, quasi disperato, le squassò il cuore.
«No, no, no! Perché l’avete fatto?!»
Si aggrappò alla caviglia di Ashton e cercò di spingerlo a sollevare il piede, ma quest’ultimo era un macigno che pestava, pestava, pestava.
«In nome di Dio, non vi ho fatto niente!» 
«Riempi la testa di mio fratello con le tue sciocchezze da contadina», ribatté gelido. «Ti sembra niente?»
Non c’era modo di recuperare il braccialetto. Non c’era che quella forza bruta e invincibile, non c’erano che rabbia e umiliazione, ed Eleanor iniziò a cedere. A piangere.
Lei, poi, che odiava piangere!
«Per favore.» Respira. «Il braccialetto.»
«No. Non ti serve. Daniel non verrà.»
«Non è vero, verrà. Lo fa sempre.»
«Non stasera.»
Ci fu qualcosa in quelle due parole che la colpì con la precisione di una scure. Forse fu il tono crudele con cui erano state pronunciate, oppure fu il silenzio che si lasciarono dietro. Qualunque cosa fosse, però, la costrinse a prestare seria attenzione ad Ashton.
Si alzò in piedi, le gonne sporche di terra. Non le pulì. Si strofinò gli occhi, invece. Asciugò le lacrime con il dorso, le labbra premute in una smorfia ostile e diffidente.
Lo odiava. Gesù, odiava quel ragazzo tanto quanto amava il suo gentile, candido fratello.
«Come fate a esserne certo? Dov’è Daniel?»
«Ho fatto in modo che non possa raggiungerti.» Il pollice e l’indice di Ashton si chiusero sulla testa di una chiave immaginaria. Un piccolo scatto col il polso e la ruotò, accompagnando il gesto a un sonoro schiocco di lingua. Clack. «È in punizione: rinchiuso dentro la sua camera da letto fino al nuovo anno. È quello che succede quando si pensa di poter infrangere le regole senza che nessuno se ne accorga. Prima o poi si finisce in gabbia.» 
Di nuovo silenzio, di nuovo implicazioni velenose. Crudeli.
Per un attimo Eleanor gli credette. Il suo cuore si ribellò, incendiato di risentimento, ma poi... Poi intravide una strana luce balenare negli occhi di Ashton, quasi che fosse divertito. I suoi fratelli avevano la medesima espressione quando si prendevano gioco di lei.
«Mentite.»
«Niente affatto. Dico la verità.»
«Va bene, ho capito. Me ne vado.» Elanor indicò con un cenno del capo il piede di Ashton, il volto accigliato in una smorfia di controllata indignazione e le narici frementi. «Prima però ridatemi il braccialetto.»
«È dozzinale!», la schernì lui con una smorfia di palese disgusto.
«Per voi, forse. Per me è importante.» Eleanor sostenne lo sguardo di Ashton nel silenzio, e quando il ragazzo non diede segno di volerla assecondare arrivò al limite. Iniziò a supplicare. «Per favore. È Natale.»
«E quindi?»
«Si dovrebbe mostrare misericordia.»
Ashton rise. Scosse la testa, le labbra che si aprivano in un sogghigno detestabile; una scena che rimestò la rabbia nello stomaco di Eleanor.
Fu sul punto di gettarsi nuovamente a terra per tempestare di pugni il suo piede fino a che non le avesse reso ciò che le aveva sottratto, quando il ragazzo si chinò a raccogliere il braccialetto e glielo sventolò davanti agli occhi. Era sporco di fango e sfilacciato in più punti; un risultato pessimo.
L’umiliazione fu così bruciante che le lacrime le inumidirono gli occhi.
Non era giusto.
Non. Era. Giusto.
«A me il regalo non l’hai fatto», puntualizzò Ashton. «Lo voglio.»
«Non ho niente per voi. E se anche l’avessi, state pur certo che lo darei all’ultimo dei senzatetto», sibilò Eleanor travolta dall’istinto. Allungò la mano verso il braccialetto, pronta a sfilarlo dalla sua presa, ma il giovane fu più svelto: lo scostò dalla traiettoria e le  afferrò il braccio.
Eleanor finì contro l’albero su cui si era appoggiata poco prima. L’attrito con la corteccia le avrebbe certamente scorticato la schiena, se non avesse indossato il bustino.
Si ritrovò in trappola, le mani di Ashton appoggiate sul tronco all’altezza del viso e i suoi occhi, baldanzosi e crudeli, intenti a fissarla come se fosse sterco.
«È questa la misericordia di cui parli? Negheresti a un cristiano il suo regalo di Natale?!»
«Vi prego, voglio andare a casa!»
Un pugno veloce le spezzò il respiro – un pugno che si schiantava sull’albero, vicino alla sua tempia, in un lampo d’inconcepibile ira.
«Voglio il mio diavolo di regalo.»
Eleanor ammutolì. L’unica cosa di cui si scoprì capace fu sostenere quello sguardo folle e furioso. Gesù, non l’avrebbe lasciata andare.
Non prima di averle strappato qualcosa che lei avrebbe desiderato negargli.
«Se non sarai tu a darmelo allora me lo prenderò io, in un modo o nell’altro.»
Eleanor si riempì i polmoni d’aria, pronta a gridare non appena lui le avesse messo le mani addosso, quando una voce proruppe a breve distanza: «Non avete sentito la ragazza? Ha detto che vuole andare a casa.»
Oh, il cuore, come batté!
Il sollievo si gonfiò e ne prese possesso, tramutando la voce di Eleanor in un flebile sospiro. «Daniel!»
Ashton invece non sembrò essere dello stesso umore leggero. Si voltò a fronteggiare il fratello con un cipiglio visibilmente scocciato; una reazione che Eleanor a stento considerò. Daniel era lì, a pochi metri da lei. Non importava che quello.
Poi, però, un dubbio l’assalì all’improvviso.
«Non eravate in punizione?»
Daniel si accigliò. Era così simile al fratello nei lineamenti, eppure così diverso da lui nella luce gentile che gli brillava negli occhi!
«No. Perché dovrei?!»
Ashton si voltò. Un attimo soltanto, uno sguardo lanciatole da sopra la spalla mentre le labbra si schiudevano in un sogghigno appena accennato. Fu più che sufficiente per capire.
Aveva mentito. Si era preso gioco di lei.
«Il braccialetto!», lo ammonì quando lo vide oltrepassare Daniel e incamminarsi verso i cancelli di Gladstone. Quello però continuò ad allontanarsi.
Si voltò indietro, un ultimo sogghigno sul volto, e sollevò il bracciale ormai sporco e sformato.
«Che avevo detto? Con le buone o con le cattive, pezzente. È il mio regalo di Natale.»

1 commento:

  1. Grazie mille per avermi aperto ancora una volta le porte del blog, ragazze. Siete strepitose!
    Un abbraccio e tanti cari auguri di un sereno 2016 :*

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