Ciao Crazy,
benvenute al terzo appuntamento della nuova rubrica Crazy for Xmas. In questo periodo natalizio vi pubblicheremo due racconti a settimana scritti da autrici italiane del panorama self published, che hanno deciso di donare un loro piccolo racconto inedito in esclusiva gratuita per le lettrici di Crazy for romance. Pronte allora a farvi riscaldare il cuore con tante letture ad effetto?
Oggi c'è con noi Ossessione di Natale di Valentina C. Brin che ci regala una piccola novella collegata al suo romanzo di successo Obsession, romance storico autopubblicato nel 2013, e si svolge cinque anni prima delle vicende raccontate nel libro.
E se il futuro conte di Collingwood, Ashton Spencer, e la
sua serva Eleanor White si fossero già imbattuti l’uno nell’altra prima dei
fatti narrati in Obsession? La mattina di Natale del 1710, complice un
bracciale da dare in dono, alle porte della tenuta avviene il loro primo, breve
ma intenso incontro.
Gladstone, 25 dicembre 1710
Il drappo dondolava dal ramo seguendo il movimento del
vento.
Eleanor l’aveva legato il giorno prima, come faceva ogni
volta in cui desiderava incontrare Daniel. Era il loro modo di fissare un
incontro attraverso un codice segreto che non conosceva nessun altro: un pezzo
di stoffa appeso al secondo ramo sulla destra dopo i cancelli della tenuta,
qualche ora di attesa, e lui sarebbe arrivato. L’avrebbe fatto anche in quella
fredda mattina di Natale, Eleanor ne era certa, perché come lei era disposta a
mollare tutto ciò che l’aspettava a casa – il pranzo che sua madre stava
preparando, gli auguri ai vicini, lo scambio dei regali –, allo stesso modo
Daniel era pronto ad andare contro tutto e tutti per lei.
In fin dei conti quella era l’amicizia.
Così si mise seduta sotto il platano, la schiena
appoggiata al tronco e la mantella di lana cotta avvolta addosso; il cappuccio
calato sulla testa e il collo scaldato dai lunghi capelli rossi.
Attese, lo sguardo che vagava ora sulla sagoma
sonnecchiosa del palazzo, ora sul cielo candido, pronto a minacciare neve.
Daniel però non arrivò.
Pazienta, lo sai che devi aspettare, si disse dopo
innumerevoli minuti di solitudine, forse ore. Il freddo iniziò a gelarle il
naso. Eleanor cercò di scaldarlo soffiando tra le mani chiuse a coppa sul
volto.
Per sopportare meglio l’attesa frugò nel taschino sotto
la mantella: il bracciale di crine di cavallo era lì, a contatto con le dita.
L’aveva intrecciato lei stessa sera dopo sera, davanti al fuoco del camino; un
regalo che di certo impallidiva, se confrontato con i doni preziosi che il
conte Spencer faceva ogni anno ai propri figli.
Tuttavia Daniel non l’avrebbe considerato un insulto, ne
era sicura. Anzi, avrebbe accettato quel pensiero allo stesso modo in cui
accettava qualunque altra cosa di lei.
Per essere certa che il bracciale fosse in perfette
condizioni si mise a controllarne l’intreccio. Lo fece con cura e attenzione,
così tanto da non accorgersi del giovane che si stava avvicinando ai cancelli.
Il clangore dei cardini ruppe il silenzio ed Eleanor sollevò lo sguardo, il
sorriso già sulle labbra; un’espressione che durò poco. Pochissimo.
La persona che aveva davanti non era Daniel.
Balzò in piedi e si rassettò la gonna, pronta per
defilarsi prima di mettere nei guai se stessa e l’amico, ma quei brevi istanti
di distrazione bastarono perché lui le si parasse davanti. Le afferrò il
braccio con irruenza, le dita che premevano sulla pelle.
Non ci fu scampo.
«Lasciami!»
«Te lo puoi scordare», ringhiò quello. «Si può sapere
cosa vuoi?!»
«Niente.» Eleanor cominciò a dimenarsi, lo sguardo basso
per non far trapelare la grandezza della propria bugia. Quando la presa che la
tratteneva si strinse, capì: non sarebbe riuscita a liberarsi. Non con le
proprie forze.
L’agitazione iniziò a montare.
Non darlo a vedere. Calmati.
«Mi prendi in giro?!», continuò il ragazzo. «Sono ore che
sei accampata qua fuori, ti vedo dal palazzo! Ti vedono tutti!»
Eleanor s’irrigidì. Tutti, aveva detto. E allora perché
Daniel non l’aveva raggiunta?
Un orrendo presentimento a cui non avrebbe voluto credere
fece capolino, ma non ebbe il tempo di preoccuparsene: lo strattone che le
venne assestato la costrinse a rimanere presente, l’attenzione rivolta sul
giovane che la tratteneva – su ciò che avrebbe potuto farle da un momento
all’altro.
«Guardami.»
Obbedì.
Si trovò a sostenere occhi ostili, gelidi quanto il cielo
sopra le loro teste, e labbra piene deturpate da una smorfia arrogante. Capelli
neri, una bellezza ancora acerba eppure già capace di ferire. Un giovane Lord.
Il fratello di Daniel, Ashton Spencer.
«Sai chi sono?»
«No, signore», mentì.
«Certo, ovvio che no. O non avresti il fegato di
raccontare menzogne.» Ashton le allontanò il cappuccio dal volto quanto bastava
per poterla guardare meglio, e quando Eleanor si scostò le afferrò il mento.
«Io invece credo di sapere chi sei», proseguì mentre la studiava, le palpebre
socchiuse. «Sì, lo so bene. Tu sei quella pezzente che gironzola attorno a
Daniel.»
«Come... Come mi avete chiamata?» Deglutì, Eleanor.
Ingoiò l’agitazione e l’indignazione, e tutte le parole con cui avrebbe
desiderato controbattere. Lui le afferrò anche l’altro braccio e si avvicinò al
suo orecchio.
Era più alto di Daniel.
Più alto e molto più cattivo.
«Pezzente», le sussurrò tra i capelli. Eleanor tremò
dall’umiliazione, lui rise.
La sua mano le scivolò lungo il braccio fino a
raggiungere il pugno ancora socchiuso sul bracciale. Impiegò meno di un battito
di ciglia per vincere la presa morbida delle dita e rubarglielo.
«E questo? Non mi dirai che è il tuo regalo per il mio
caro fratellino, vero?!» Ashton ridacchiò, facendolo dondolare tra i loro
volti. «Magari l’hai anche fatto con le tue piccole e sudicie mani.»
«Ridatemelo!»
Eleanor fece per afferrarlo, ma il ragazzo fu più svelto
e si scostò, il braccialetto adesso ben saldo nella stretta del palmo. Sul suo
volto campeggiava un’espressione di chiara, insostenibile superiorità.
«Se lo vorrai dovrai intonare un canto di Natale.»
«È uno scherzo?»
«Sono serissimo.»
Gesù, lo era davvero. Nonostante quel blando sogghigno
che gli schiudeva le labbra e la luce divertita che gli balenava nello sguardo,
lo era. Irrimediabilmente, inevitabilmente. Lo era.
Eleanor fremette, lo stomaco ormai chiuso. Iniziò a
canticchiare la prima melodia che le venne in mente, la voce flebile e tremante
mentre quegli occhi continuavano a starle addosso.
Diavolo, come si vergognava!
Ashton però non sembrò soddisfatto.
«Più forte. Canta a voce alta, così che io possa
sentirti.»
E lei lo fece, le guance a fuoco per l’imbarazzo e un
macigno al posto dello stomaco, ormai corroso dall’ostilità e dal risentimento.
La voce tremò di nuovo.
Steccò una, due, tre volte.
«Pessima. Ridicola.»
«Ridatemelo!»
«Non ti ho dato il permesso di smettere di cantare.»
La voce di Eleanor uscì in un fremito spazientito: «Per
favore...»
«Uno come me non farà mai favori a una come te», ribatté
Ashton lasciando cadere il braccialetto nel terreno. Lei si chinò per
raccoglierlo, ma il piede del Lord lo pestò prima che riuscisse ad afferrarlo.
La suola sporca di fango, il peso del suo corpo
concentrato in un unico punto: era tutto lì, su quel regalo che avrebbe dovuto
portare a Daniel l’affetto che provava per lui. E bastò per minare il controllo
che le era rimasto.
La voce si spezzò e un dispiacere pungente, quasi
disperato, le squassò il cuore.
«No, no, no! Perché l’avete fatto?!»
Si aggrappò alla caviglia di Ashton e cercò di spingerlo
a sollevare il piede, ma quest’ultimo era un macigno che pestava, pestava,
pestava.
«In nome di Dio, non vi ho fatto niente!»
«Riempi la testa di mio fratello con le tue sciocchezze
da contadina», ribatté gelido. «Ti sembra niente?»
Non c’era modo di recuperare il braccialetto. Non c’era
che quella forza bruta e invincibile, non c’erano che rabbia e umiliazione, ed
Eleanor iniziò a cedere. A piangere.
Lei, poi, che odiava piangere!
«Per favore.» Respira. «Il braccialetto.»
«No. Non ti serve. Daniel non verrà.»
«Non è vero, verrà. Lo fa sempre.»
«Non stasera.»
Ci fu qualcosa in quelle due parole che la colpì con la
precisione di una scure. Forse fu il tono crudele con cui erano state
pronunciate, oppure fu il silenzio che si lasciarono dietro. Qualunque cosa
fosse, però, la costrinse a prestare seria attenzione ad Ashton.
Si alzò in piedi, le gonne sporche di terra. Non le pulì.
Si strofinò gli occhi, invece. Asciugò le lacrime con il dorso, le labbra
premute in una smorfia ostile e diffidente.
Lo odiava. Gesù, odiava quel ragazzo tanto quanto amava
il suo gentile, candido fratello.
«Come fate a esserne certo? Dov’è Daniel?»
«Ho fatto in modo che non possa raggiungerti.» Il pollice
e l’indice di Ashton si chiusero sulla testa di una chiave immaginaria. Un
piccolo scatto col il polso e la ruotò, accompagnando il gesto a un sonoro
schiocco di lingua. Clack. «È in punizione: rinchiuso dentro la sua camera da
letto fino al nuovo anno. È quello che succede quando si pensa di poter
infrangere le regole senza che nessuno se ne accorga. Prima o poi si finisce in
gabbia.»
Di nuovo silenzio, di nuovo implicazioni velenose.
Crudeli.
Per un attimo Eleanor gli credette. Il suo cuore si
ribellò, incendiato di risentimento, ma poi... Poi intravide una strana luce
balenare negli occhi di Ashton, quasi che fosse divertito. I suoi fratelli
avevano la medesima espressione quando si prendevano gioco di lei.
«Mentite.»
«Niente affatto. Dico la verità.»
«Va bene, ho capito. Me ne vado.» Elanor indicò con un
cenno del capo il piede di Ashton, il volto accigliato in una smorfia di
controllata indignazione e le narici frementi. «Prima però ridatemi il
braccialetto.»
«È dozzinale!», la schernì lui con una smorfia di palese
disgusto.
«Per voi, forse. Per me è importante.» Eleanor sostenne
lo sguardo di Ashton nel silenzio, e quando il ragazzo non diede segno di
volerla assecondare arrivò al limite. Iniziò a supplicare. «Per favore. È
Natale.»
«E quindi?»
«Si dovrebbe mostrare misericordia.»
Ashton rise. Scosse la testa, le labbra che si aprivano
in un sogghigno detestabile; una scena che rimestò la rabbia nello stomaco di
Eleanor.
Fu sul punto di gettarsi nuovamente a terra per
tempestare di pugni il suo piede fino a che non le avesse reso ciò che le aveva
sottratto, quando il ragazzo si chinò a raccogliere il braccialetto e glielo
sventolò davanti agli occhi. Era sporco di fango e sfilacciato in più punti; un
risultato pessimo.
L’umiliazione fu così bruciante che le lacrime le
inumidirono gli occhi.
Non era giusto.
Non. Era. Giusto.
«A me il regalo non l’hai fatto», puntualizzò Ashton. «Lo
voglio.»
«Non ho niente per voi. E se anche l’avessi, state pur
certo che lo darei all’ultimo dei senzatetto», sibilò Eleanor travolta
dall’istinto. Allungò la mano verso il braccialetto, pronta a sfilarlo dalla
sua presa, ma il giovane fu più svelto: lo scostò dalla traiettoria e le afferrò il braccio.
Eleanor finì contro l’albero su cui si era appoggiata
poco prima. L’attrito con la corteccia le avrebbe certamente scorticato la
schiena, se non avesse indossato il bustino.
Si ritrovò in trappola, le mani di Ashton appoggiate sul
tronco all’altezza del viso e i suoi occhi, baldanzosi e crudeli, intenti a
fissarla come se fosse sterco.
«È questa la misericordia di cui parli? Negheresti a un
cristiano il suo regalo di Natale?!»
«Vi prego, voglio andare a casa!»
Un pugno veloce le spezzò il respiro – un pugno che si
schiantava sull’albero, vicino alla sua tempia, in un lampo d’inconcepibile
ira.
«Voglio il mio diavolo di regalo.»
Eleanor ammutolì. L’unica cosa di cui si scoprì capace fu
sostenere quello sguardo folle e furioso. Gesù, non l’avrebbe lasciata andare.
Non prima di averle strappato qualcosa che lei avrebbe
desiderato negargli.
«Se non sarai tu a darmelo allora me lo prenderò io, in
un modo o nell’altro.»
Eleanor si riempì i polmoni d’aria, pronta a gridare non
appena lui le avesse messo le mani addosso, quando una voce proruppe a breve
distanza: «Non avete sentito la ragazza? Ha detto che vuole andare a casa.»
Oh, il cuore, come batté!
Il sollievo si gonfiò e ne prese possesso, tramutando la
voce di Eleanor in un flebile sospiro. «Daniel!»
Ashton invece non sembrò essere dello stesso umore
leggero. Si voltò a fronteggiare il fratello con un cipiglio visibilmente
scocciato; una reazione che Eleanor a stento considerò. Daniel era lì, a pochi
metri da lei. Non importava che quello.
Poi, però, un dubbio l’assalì all’improvviso.
«Non eravate in punizione?»
Daniel si accigliò. Era così simile al fratello nei
lineamenti, eppure così diverso da lui nella luce gentile che gli brillava
negli occhi!
«No. Perché dovrei?!»
Ashton si voltò. Un attimo soltanto, uno sguardo
lanciatole da sopra la spalla mentre le labbra si schiudevano in un sogghigno
appena accennato. Fu più che sufficiente per capire.
Aveva mentito. Si era preso gioco di lei.
«Il braccialetto!», lo ammonì quando lo vide oltrepassare
Daniel e incamminarsi verso i cancelli di Gladstone. Quello però continuò ad
allontanarsi.
Si voltò indietro, un ultimo sogghigno sul volto, e
sollevò il bracciale ormai sporco e sformato.
«Che avevo detto? Con le buone o con le cattive,
pezzente. È il mio regalo di Natale.»
Grazie mille per avermi aperto ancora una volta le porte del blog, ragazze. Siete strepitose!
RispondiEliminaUn abbraccio e tanti cari auguri di un sereno 2016 :*