giovedì 13 settembre 2018

ISOLA DI NEVE di Valentina D’Urbano, recensione in anteprima

Ciao ragazze,
con grandissimo piacere oggi vi parlo del ritorno di una delle migliori autrici italiane, qualcuna che, più che sfornare libri, partorisce istantanee di vita magistralmente scritte; ovviamente mi riferisco a Valentina D’Urbano, che con il suo Isola si neve, edito Longanesi, ci racconta l’esistenza di un misterioso prigioniero e di una ribelle ragazza dai capelli biondi.





Titolo: Isola di neve

Autore: Valentina D’Urbano

Editore: Longanesi

Data: 13 settembre 2018

Genere: narrativa romantica

Narrazione: Terza persona, Pov multiplo

Finale: Conclusivo







Un'isola che sa proteggere. Ma anche ferire. Un amore indimenticabile sepolto dal tempo. 2004. A ventotto anni, Manuel si sente già al capolinea: un errore imperdonabile ha distrutto la sua vita e ricominciare sembra impossibile. L'unico suo rifugio è Novembre, l'isola dove abitavano i suoi nonni. Sperduta nel mar Tirreno insieme alla sua gemella, Santa Brigida - l'isoletta del vecchio carcere, abbandonato -, Novembre sembra il posto perfetto per stare da solo. Ma i suoi piani vengono sconvolti da Edith, una giovane tedesca stravagante, giunta sull'isola per risolvere un mistero vecchio di cinquant'anni: la storia di Andreas von Berger - violinista dal talento straordinario e ultimo detenuto del carcere di Santa Brigida - e della donna che, secondo Edith, ha nascosto il suo inestimabile violino. L'unico indizio che Edith e Manuel hanno è il nome di quella donna: Tempesta. 1952. A soli diciassette anni, Neve sa già cosa le riserva il futuro: una vita aspra e miserabile sull'isola di Novembre. Figlia di un padre violento e nullafacente, Neve è l'unica in grado di provvedere alla sua famiglia. Tutto cambia quando, un giorno, nel carcere di Santa Brigida viene trasferito uno straniero. La sua cella si affaccia su una piccola spiaggia bianca e isolata su cui è proibito attraccare. È proprio lì che sbarca Neve, spinta da una curiosità divorante. Andreas è il contrario di come lo ha immaginato. È bellissimo, colto e gentile come nessun uomo dell'isola sarà mai, e conosce il mondo al di là del mare, quel mondo dove Neve non è mai stata. Separati dalle sbarre della cella, i due iniziano a conoscersi, ma fanno un patto: Neve non gli dirà mai il suo vero nome. Sarà lui a sceglierne uno per lei.



Se non avete mai letto un libro di Valentina d’Urbano dovete assolutamente recuperare; i gusti sono gusti ma alcuni talenti spiccano di raggiante obiettività e questa autrice è senza dubbio talentuosa.
Ho ritrovato la sua penna, il suo stile, con la stessa familiarità dell’abbraccio con una vecchia amica, ho rinvenuto nelle sue descrizioni la purezza di un pensiero poetico mai ridondante o troppo macchinoso, ho ritrovato in Valentina d’Urbano quell’essenza narrativa ricca di ossimori stilistici che la rendono unica nei suoi scritti. Probabilmente qualcuno storcerà il naso ma leggendo Isola di neve mi è tornato in mente il Verismo italiano, quella corrente letteraria di inizio secolo che in qualche modo azzerava filtri e ghirigori stilistici per approcciarsi senza filtri alle realtà della provincia coriacea, povera, ignorante di un’Italia che sembrerebbe scomparsa.
Tela immacolata di questa storia è Novembre, una piccola isola del Tirreno, dove Manuel, giovane complicato e tiglioso, si rifugia scappando, forse, da un’esistenza stessa che non vuole essere inseguita.

Una distesa di sassi e terra brulla, resa quasi inaccessibile da scogliere biancastre e aguzze che parevano cumuli di ossa.

In quel luogo, nella solitudine autunnale tipica di un posto di villeggiatura, incontra Edith e la sua passione per il violino.
Edith, però, non è lì per assaporare le abitudini isolane, per bearsi dei panorami mediterranei ma per scoprire qualcosa sulla vita di un giovane detenuto, Andreas von Berger, richiuso cinquant’anni prima nel carcere situato a Santa Brigida, una seconda isola vicina, piccola, descritta quasi fosse uno scoglio, ormai disabitata da anni. Edith, nonostante i presupposti, non è una cacciatrice di tesori; Andreas è stato un prodigioso musicista e si mormora che lì, tra le mura del vecchio carcere, sia nascosto il suo violino e una sua composizione, la ragazza vuole dare giustizia alla musica e al suo geniale suonatore.
Comincia così un’altalena tra passato e presente, tra ricerca e verità che vi terrà letteralmente incollati alle pagine. Verrete catapultati negli anni 50, in un’isola piena di vita, povertà e ignoranza, diventerete ospiti della famiglia di Neve, l’ultima di sette figlie femmine, quella ribelle, l’unica bionda, quasi fosse un indelebile segnale che la natura, con un bianco polpastrello, ha lasciato indicandola “speciale” (e questo ricorda molto il Rosso Malpelo Verista).
Odiata dal padre, che spesso le alza le mani, vittima prediletta di un uomo violento e alcolizzato, Neve intraprende una relazione segreta, nascosta, sbagliata con quel prigioniero che viene da terre lontane.
Tutto potrebbe suggerire di stare lontana da lui, però qualcosa la spinge a fuggire, coperta dal buio, per avvicinarsi a quella cella.

«Guarda che non devi avere paura» mormorò l’uomo. «Non ti faccio niente.»
«Lo so che non mi fai niente. Io sono fuori e tu dentro. Non ho paura» replicò Neve, scontrosa.

Neve e Andreas si parlano attraverso le sbarre, di nascosto, e Neve, incatenata a un futuro sterile e comunque con la speranza di poter lasciare un giorno l’isola e magari passeggiare tra i negozi di via del Corso a Roma, scopre il continente attraverso i racconti del misterioso straniero, così bello, più biondo di lei e con una sensibilità talmente marcata rispetto ai rudi pescatori di Novembre.
Un racconto mai privo di banalità, circondato da descrizioni secche ma potenti, da narrazioni di flutti e anime, un susseguirsi di fatti che lasciano al lettore la speranza della rivalsa. La curiosità e la voglia di vita della ragazzina ribelle incontrano l’esperienza e il talento di un uomo imprigionato e con poca aspettativa in un tripudio di sorrisi, dolore e amore.
I sogni di Neve corrono di pari passo con quelli di Edith; seppur con decenni di differenza, vengono percorsi con la stessa forza e in antitesi con il mal di vivere sempre più pungente di Manuel,

Manuel sentiva di non potersi salvare da solo. Da solo Manuel poteva solo affondare.

Raccontarvi le vicissitudini di questo libro, non rende però giustizia al magnifico modo con cui la D’Urbano descrive le anime dei suoi protagonisti, sempre così imperfetti, infelici e allo stesso tempo reali, naturali; nessun interprete in questo libro sembra nato dalla fantasia, ma è piuttosto un’ingiallita polaroid di una prozia, o l’istantanea di una vecchia compagna del liceo.
Menzione a parte, o sottolineatura speciale, (qualcosa che mi ha fatto battere il cuore), è il ricordo del nonno di Manuel: quel carabiniere alto, grosso e sempre buono con gli altri. Uno dei pochi ricordi felici di un protagonista apatico nei confronti dei sentimenti.
In conclusione, l’autrice si conferma gigante nel descrivere le minuscole sfumature dell’anima, corretta dei confronti di noi lettori e rispettosa con le pagine che ha riempito.
Isola di Neve è un libro pieno che ti lascerà vuoti, una storia profonda come il mare ma dolce come il dondolio delle sue onde.
Valentina d’Urbano non solo non mi ha delusa, bensì mi ha confermato il suo valore regalandomi un viaggio attraverso un amore diverso e attraverso la riscoperta dell’empatia nei confronti della vita.
Per questa ragione, concludo che l’attesa di questo libro è valso ogni secondo di trepidazione e per la gioia di attendeva come me, non può non essere considerato un indimenticabile.

Naike



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