giovedì 30 aprile 2015

Ho imparato ad amare di Lia Riley, recensione.

Ciao crazy
oggi vi parlo di Ho imparato ad amare di Lia Riley primo libro della Love Map Series pubblicato lo scorso 23 aprile da Newton Compton. Si tratta di un new adult composto da tre libri e una novella spin off che ci fanno conoscere la storia della californiana Talia e dell'australiano Bran.



Love map Series

1. Ho Imparato ad amare - 23 aprile 2015

2. Sideswiped

3. Inside Out


Autrice: Lia Riley
Casa editrice: Newton Compton
Genere: New adult




Natalia Stolfi ha ventuno anni e sta cercando di gettarsi il passato alle spalle. La sua vita è a una svolta: sta per lasciare la California per andare a studiare sei mesi a Melbourne. Lì in Australia nessuno sospetta che in realtà quella studentessa dall’aria fresca e spensierata stia sprofondando sotto il peso di ricordi dolorosi. Tutto sta procedendo secondo i piani, fino a quando Talia non incontra un surfista dagli occhi verdi e ipnotici che sembra incredibilmente in grado di capirla, di andare oltre le apparenze. Bran Lockhart è reduce da una brutta delusione d’amore, eppure niente può renderlo cieco di fronte a quella ragazza californiana che lo costringe ad abbassare ogni difesa. Non ha mai voluto nessun’altra come vuole Talia, ma dovrà cercare di capire se quella che c’è tra loro è davvero la scintilla che brilla una sola volta nella vita… e che nulla può spegnere.



E poi arrivano quei libri di cui ti continui a chiedere il senso…
Non posso dire che Ho imparato ad amare sia un brutto libro, sarei esagerata -e poi non lo dico mai di nessun libro, a dire il vero,  perchè magari a qualcun altro potrebbe piacere- ma sicuramente è il romanzo che ho concluso solo perché non mi piace lasciare nulla incompiuto e che una volta girata l’ultima pagina non mi ha lasciato assolutamente nulla...tranne un sospiro di sollievo.
Sono forse un po' cattiva? Effettivamente si,  ma soprattutto con la ce che in una così vasta scelta di libri che offre il mercato straniero ha scelto proprio questa serie alquanto mediocre... va bene che fa numero ma dovremmo cominciare a selezionare un po' meglio le letture e non giocare sulla quantità ma magari sulla qualità!



Rimane comunque il fatto che siamo di fronte ad una lettura leggera è come tale va presa, che consiglierei esclusivamente come tappabuchi o in un momento di passaggio per disintossicarsi da un libro impegnativo.
Ho imparato ad amare infatti pur essendo un libro che ha per protagonisti due personaggi complicati e con alle spalle delle esperienze che hanno cambiato il modo di affrontare la vita di entrambi, conserva per tutto il romanzo uno stile fresco, ironico e leggero. Questo aspetto ha  però penalizzato la storia e i protagonisti che nonostante il pov alternato meritavano a volte una maggiore introspezione, un maggior pathos che riuscisse così ad emozionare il lettore o anche solo a coinvolgerlo maggiormente, quel tanto di più da riuscire a sollevare il libro dalla insipidità assoluta.
La cosa che ho gradito meno di tutte, e che secondo me ha dato il contributo maggiore al mio pensiero negativo, è stato lo stile dell'autrice troppo avvezzo all'uso di anologie lungo tutta la narrazione, usate spesso per marcare un concetto in chiave ironica, volto a sdrammatizzare la situazione e a volte del tutto inopportuno, con il risultato di annoiare e soprattutto stancare il lettore.
Inoltre mi è sembrato che queste analogie perdessero il loro senso nella fase di traduzione perchè forse riferite ad usi e costumi ora australiani ora californiani.

«Vieni, facciamo una passeggiata».
«Va bene per te? Camminare mano nella mano?»
«Non credo che violeremmo la morale pubblica»
«Sto facendo un esperimento».
«E io sono il topo di laboratorio?»
«Un topo molto carino. Sto verificando la teoria secondo
 la quale posso diventare una persona migliore».
«E tenere una persona per mano ti sarà utile?»
«Se la mano è la tua, sì».

Per chiudere questo gioco al massacro vi dico che questo libro, che nella fase centrale sembrava essersi ripreso un pochino, nel suo banalissimo finale non lascia affatto appesi pur essendo il primo di una trilogia; al contrario a me è risultata una storia bella e fatta, tanto che mi chiedo cosa ci sarà mai da scrivere nei prossimi due libri?
La mia speranza è solo una e cioè quella di un sequel più corposo che riesca a intrattenere il lettore in maniera più decisa, con uno stile più maturo senza per questo perdere la sua freschezza e la sua ironia che nella giusta dose certo non disturba... ma come si sa il troppo stroppia, è sempre così!
Che dire, è stato un vero peccato perchè tengo a precisare che questo libro aveva tutte le possibilità di diventare un buon romanzo ahimè buttate al vento: la storia c'era ma è stata banalizzata, i personaggi complessi non sono stati affatto interiorizzati lasciando tutto allo strato superficiale, piccantino quanto basta ma con picchi all'eccesso quasi grotteschi per il contesto (vedi momento vibratore).


Infine l'unica cosa che mi preme sottolineare è come Lia Rilay abbia affrontato un problema molto diffuso -da cui lei stessa è affetta- che è la sindrome ossessiva compulsiva che meriterebbe un'attenzione maggiore e soprattutto una sensibilità da parte di tutti che non faccia additare le persone affette da questo disturbo come folli ma solo come persone particolari e spesso speciali!

Un bacio, Ale



 








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